La difficile difesa personale nel processo tributario telematico

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Processo tributario telematico: le nuove regole processuali

Il giorno 1° luglio 2019  è stato il PTT day: per tutti i ricorsi e gli appelli notificati da tale data non è più consentito opporsi alle pretese di natura tributaria (cartelle di pagamento, avvisi di accertamento, ecc.) utilizzando supporti cartacei, notificando gli atti personalmente o mediante plico raccomandato con avviso di ricevimento, ma è necessario osservare la procedura del “processo tributario telematico” per cui il ricorso deve essere notificato (anche nella fase di reclamo-mediazione) esclusivamente a mezzo posta elettronica certificata e la costituzione  in giudizio va eseguita mediante il portale della Giustizia tributaria.

Tutto ciò non “può” ma “deve” essere fatto dal proprio ufficio senza doversi recare dapprima presso l’ente impositore (Agenzia delle entrate, Agente della riscossione, ecc.) e, successivamente, depositare il fascicolo processuale presso la segreteria della commissione tributaria provinciale.

Chi ha notificato il ricorso su supporto cartaceo entro il 30 giugno 209 può svolgere l’attività processuale sempre secondo tale modalità, fermo restando che per qualsiasi atto processuale successivo può esercitare l’opzione per la procedura telematica, la quale però, diventerà un obbligo qualora decida di impugnare la sentenza sfavorevole emessa dalla commissione tributaria provinciale.

Tutto facile, quindi?

La risposta è negativa per il contribuente che voglia difendersi personalmente: è ammessa la procedura cartacea di impugnazione e quella telematica  può essere non un’opzione ma un obbligo, con l’avvertenza che per entrambe le soluzioni si corre il rischio di incespicare, involontariamente, nell’inammissibilità del ricorso.

La regola processuale “semplificata”

L’art. 16-bis, comma 3, del d.lgs. 31.12.1992, n. 546), afferma che le parti notificano e depositano gli atti processuali e i documenti “esclusivamente con modalità telematiche”, secondo quanto è previsto dal d.m. 23.12.2013, n. 163, e dai successivi decreti di attuazione

Tale rigida regola subisce un’eccezione: se il valore della controversia (espresso in solo addebito di imposta, ovvero di sanzioni se la causa ha per oggetto soltanto tale pretesa) non è superiore a 3.000 euro, il contribuente può difendersi personalmente. Secondo il successivo comma 3-bis egli ha la “facoltà di utilizzare, per le notifiche e i depositi, le modalità telematiche … previa indicazione nel ricorso o nel primo atto difensivo dell’indirizzo di posta elettronica certificata al quale ricevere le comunicazioni e le notificazioni”.

Volendo contestare l’atto impositivo, opportunamente e cautelativamente, il contribuente deve verificare la regola di esposizione del ricorso: l’art. 18 impone l’obbligo di indicare (comma 2, lett. b) “l’indirizzo di posta elettronica certificata”,  ma l’omissione non rende inammissibile l’atto né comporta l’aumento del 50% del contributo unificato dovuto. Il ricorso quindi può essere notificato anche con consegna diretta o a mezzo del servizio postale, in plico raccomandato con avviso di ricevimento, depositando il fascicolo processuale con copia del’’atto, munita dell’attestato di conformità all’originale notificato, presso la segreteria della commissione.

Ma è proprio ora che insorge la penalizzazione imposta dal sistema: il comma 2 dell’art. 16-bis è categorico quando afferma che se l’atto è privo dell’indirizzo di posta elettronica certificata e se questo non è reperibile dai pubblici elenchi “le comunicazioni sono eseguite esclusivamente mediante deposito in segreteria”.

Sostanzialmente, la norma esclude il contribuente dalla conoscenza dell’iter processuale, laddove gli impone una vera e propria “Via Crucis” cioè il doversi recare, spesso, presso la segreteria per conoscere la data di fissazione dell’udienza e, quindi, per leggere le controdeduzioni dell’ente impositore e per poter partecipare alla discussione della controversia.

La regola processuale telematica

Se il contribuente osserva, diligentemente, il dettato del citato art. 18, nel ricorso evidenzia la propria casella PEC ma la presenza di tale indirizzo “impone” l’obbligo di  osservare il rito telematico, come è previsto dal citato comma 3-bis essendo necessario attivare la procedura telematica a causa del fatto che “le parti … notificano e depositano gli atti processuali … esclusivamente con modalità telematiche” (comma 3).

In sostanza, il contribuente deve districarsi tra difficoltà procedurali piuttosto importanti poiché, preliminarmente, le regole informatiche assurgono a ruolo fondamentale e solo successivamente quelle di rito del contenzioso intervengono lasciando, infine, spazio a quelle sostanziali.

E’ necessario possedere un computer, disporre dell’indirizzo di posta elettronica certificata, registrarsi al SIGIT, osservare gli standard processuali (art. 10 del d.d. 4.8.2015), notificare il ricorso a mezzo Pec, certificarne la conformità dell’atto, e depositare telematicamente l’atto munito della certificazione di conformità e delle ricevute di invio e accettazione. Inoltre, non vanno dimenticati il formato PDF/A, la firma digitale che deve essere soltanto in forma CAdES e gli “errori bloccanti”.  A ciò va aggiunto che è necessario acquisire anche la casella PEC, con ulteriore onere aggiuntivo al contributo unificato.

In definitiva è una vera e propria fatica di Sisifo, davvero pesante per chi non ha una preparazione informatica.

Entro il termine di impugnazione di 60 giorni dalla data di notifica dell’atto, il cittadino (ad es., artigiano in pensione, pastore, ecc.) riuscirà ad acquisire le nozioni informatiche e procedurali (nonché di diritto sostanziale) per affermare che il “processo tributario è semplice”?

Alla fine, forse, è opportuno ricorrere ad un difensore la cui richiesta di compenso, probabilmente porterà ad escludere il contenzioso per le liti minori a causa sia del costo sia del rischio che la commissione respinga il ricorso con addebito delle spese processuali.

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