Inasprimento delle pene per i reati contro la pubblica amministrazione. Ma che fine fa l’abuso d’ufficio?

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Il disegno di legge n. 3008 A.C.  che detta disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso, nonché ulteriori modifiche al codice di procedura penale, alle relative norme di attuazione e alla legge 6 novembre 2012, n. 190, è divenuto legge con l’approvazione  da parte della Camera dei Deputati intervenuta in data 22 maggio 2015.

La legge, in linea con l’obiettivo di abbattere la corruzione e di ridurre il divario esistente tra l’Italia e gli altri Paesi europei in materia,  dispone un inasprimento delle pene con riguardo a taluni delitti contro la pubblica amministrazione dando seguito alla normativa sulla prevenzione della corruzione introdotta con la legge delega n. 190/2012 e proseguita con i decreti legislativi di attuazione n. 33/2013 e n. 39/2013.

E’ evidente a tal proposito il collegamento esistente tra la trasparenza amministrativa che consente, attraverso il controllo civico, la verifica dell’azione amministrativa e dell’efficiente o non efficiente, uso delle risorse pubbliche, e la lotta alla corruzione attraverso gli strumenti di prevenzione posti dall’ordinamento giuridico a tutela di tale finalità.

E’ anche  evidente che la prevenzione della corruzione è azione a più ampio raggio rispetto al reato di corruzione che, pur nelle diverse sue esplicazioni, rimane circoscritto agli episodi di ingiusto arricchimento del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio attraverso lo sfruttamento della propria posizione all’interno della pubblica amministrazione o del servizio cui egli è preposto.

Mentre la prevenzione è azione volta a impedire che la corruzione penetri nelle pubbliche amministrazioni attraverso la mancata attuazione degli strumenti organizzativi necessari allo scopo e la mancata attuazione  degli obblighi di trasparenza in capo alle stesse.

Scorrendo le disposizioni normative che la nuova legge ha introdotto, emerge un effettivo inasprimento delle pene per alcuni reati contro la pubblica amministrazione e dunque la volontà del legislatore nazionale di adeguare le proprie norme agli orientamenti assunti sul piano europeo contro la corruzione.  Ciò che però appare meno chiaro è la conciliabilità di tale inasprimento con il precedente decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28 che, nel dettare disposizioni in materia di non punibilità per  particolare  tenuità del fatto, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera m), della  legge 28 aprile 2014, n. 67, ha in qualche modo ridotto l’incidenza dell’abuso d’ ufficio di cui all’art. 323 del codice penale che, lo ricordiamo, si verifica allorché, salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procuri a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arrechi ad altri un danno ingiusto.

L’abuso d’ufficio rientra infatti tra i reati che per la particolare tenuità del fatto vanno inseriti nella depenalizzazione operata dal citato decreto n. 28/2015, emanato in attuazione della delega conferita dal Parlamento al Governo ai sensi dell’art. 1, co. 1, lett. m), della legge n. 67/2014, ove si dispone che il  Governo  e’  delegato  ad  adottare  uno  o  più   decreti legislativi per la riforma del sistema delle pene, con le modalità e nei termini previsti dai commi 2 e 3  e  nel  rispetto  dei  seguenti principi e criteri direttivi: m) escludere la punibilita’ di condotte sanzionate  con  la  sola pena pecuniaria o con pene detentive  non  superiori  nel  massimo  a cinque anni, quando risulti la particolare tenuità dell’offesa e  la non abitualità del comportamento, senza pregiudizio per  l’esercizio dell’azione civile per il  risarcimento  del  danno  e  adeguando  la relativa normativa processuale penale.

La pena prevista per il reato di abuso d’ufficio rimane la reclusione da uno a quattro anni, che può essere aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità. Non vi è stata alcuna modifica da parte della nuova legge varata dal Parlamento nei giorni scorsi.

Sembrerebbe dunque che vi sia una profonda contraddizione tra la ratio legis volta a contrastare la corruzione di cui alla nuova legge che inasprisce le pene per i reati contro la pubblica amministrazione, tra i quali rientra la corruzione,  e la previsione di non punibilità dell’abuso d’ufficio la cui pena si contiene nei quattro anni di reclusione salvo i casi di particolare gravità. Eppure i fatti dimostrano che la maggior parte dei reati di corruzione prendono spunto da un intervento interno, fosse anche della politica, che ingerendosi nelle azioni di competenza di funzionari e dirigenti, e talvolta senza peraltro comparire ufficialmente, determina il fatto da cui scaturisce la corruzione.

Lucia Maniscalco

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