Le ginocchia sbucciate: il bullismo e la metafora della net generation

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L’attento osservatore di molti anni fa avrebbe notato giovani adolescenti giocare felici insieme agli amici nelle strade del quartiere, forse a pallone od a qualsiasi altra attività ludica che avesse richiesto lo stare insieme, la condivisione delle regole, la gioiosa emulazione, l’interazione con l’altro nello spazio psichico della comunicazione e della relazione: una formativa palestra dove si intrecciavano regole e valori, emozioni e sentimenti quale solido lastricato della via che porta all’età adulta.

Le madri attente e premurose dall’uscio o dal balcone di casa potevano sorvegliare i propri figli ben sapendo che malauguratamente sarebbero potuti ritornare con qualche ginocchio sbucciato da curare immediatamente, accompagnando tale provvido intervento con una sonora sgridata senza, del resto, dover iniziare chissà quale azione penale.

Qualcuno dirà: erano altri tempi; pur tuttavia anche allora esistevano adolescenti ribelli e prepotenti.

Oggi il compito della famiglia di prendersi cura dei figli è divenuto esercizio complesso e delicato: da un lato si avverte l’avvenuto mutamento dal punto di vista sociale che si è dipanato in questi ultimi 70 anni passando dal livello di famiglia autoritaria degli anni 40 e 50 a quella democratica degli anni 70 e 80 a quella affettiva dei tempi recenti, dall’altro il veloce cambiamento non ha reso possibile fare riferimento certo alla sapiente esperienza dei propri genitori essendo saltati i rassicuranti  punti di riferimento che il repentino sviluppo tecnologico e sociale ha travolto.

Nel mondo tecnologico avanzato i giovani adolescenti oggi sono più informati e capaci di manovrare cellulari, computer ecc., sembrano più sicuri ma molto più fragili; a scuola dimostrano insicurezza mentre i genitori chiedono loro grandi risultati. Appaiono turbolenti, capricciosi, arrabbiati, dispettosi e difficilmente contenibili. Di contro i genitori sono preoccupati per contenerli, per vederli giudicati dagli insegnanti, perché sovente viene criticata la loro capacità educativa.

IL BULLISMO, IL BULLO E LA VITTIMA

A livello legislativo non esiste il reato di bullismo, pur tuttavia sono penalmente perseguibili quelle costellazione di reati che richiamano comportamenti, atteggiamenti che rimandano alla violazione della legge penale o civile. Nella fattispecie sono considerati atti di bullismo:

* insulti, offese: se rivolte al singolo (art 594 c.p.);

* diffamazione: quando si offende l’altrui reputazione comunicando con più persone (art. 595 c.p.);

* piccoli furti (art. 624 c.p.);

* estorsione: quando si costringe con minaccia per procurare a sé ingiusto profitto (art. 629 c.p.);

* lesione personale: quando si cagiona una lesione al corpo o nella mente (art.582 c.p.);

* percosse (art. 581 c.p.);

* danneggiamento di cose altrui (art. 635 c.p.);

* deturpamento e imbrattamento di cose altrui (art. 939 c.p.);

* minacce (art.612 c.p.);

* prese in giro o disturbo alle persone (art. 660 c.p.).

Poiché sovente i comportamenti di bullismo sono agiti da giovani minorenni la responsabilità del danno cagionato dal fatto illecito è in capo ai genitori (art. 2048 c.c.) per “culpa in educando”.  Infatti l’art. 30 della Costituzione afferma: <<è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli>>.

Ancora: l’art. 147 del codice civile sottolinea l’obbligo genitoriale ad <<educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli>>. Da ciò discende che l’educazione non consiste solo in parole, ma soprattutto di comportamenti e di presenza accanto ai figli per sostenerli nello sviluppo psicofisico ed euritmico della loro personalità.

Il dott. Leymann negli anni 80 connotò con il termine bullismo le azioni aggressive che avvenivano in ambito scolastico caratterizzate da intenzionalità, ripetitività, fragilità della vittima nel gioco perverso di una relazione malata che ricerca l’affermazione aggressiva del potere.

Lo psicologo inglese Winnicott definì l’aggressività energia positiva perché orientata all’azione, alla relazione del Sé con il mondo esterno e dunque alla vita come espressione primitiva dell’amore nella ricerca dell’Altro e che può assumere colorazione positiva nella leale competizione ed una negativa quando è distruttiva, frustrante ed ostile.

Qui si sperimenta il bullo che nella incapacità di creare rapporti significativi punta al bersaglio e nel targeting individua con facilità estrema la persona debole, mancante di autostima, di fragilità emotiva, di disagio.

CULPA IN EDUCANDO, IN VIGILANDO, IN ORGANIZZANDO A SCUOLA

A scuola il bullo evidenzia sovente la mancanza di comportamenti di autocontrollo pulsionale, di comportamenti empatici, la difficoltà ad accettare e rispettare le regole.

Nell’ambiente scolastico non possono essere tollerate le quotidiane sopraffazioni ed umiliazioni di alcuni ragazzi a danno dei più deboli come se fossero normali comportamenti: è da notare allora la “culpa in vigilando” della scuola dove gli operatori scolastici sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione dei diritti: chi si iscrive a scuola ha il diritto di ricevere un formazione attenta e serena e che siano impediti ed evitati atti illegittimi perturbanti il corretto esercizio di tale diritto.

Per tali e con tali motivazioni la scuola può essere richiamata a risarcire i danni per “culpa in organizzando” (art. 2043 c.c.) se il Dirigente non ha posto in essere tutte le misure organizzative per garantire la disciplina degli alunni.

PERCHE’ BULLO?

L’azione del bullo è un coacervo di significati e “significanti”:

E’ nociva perché produce sentimenti prolungati d’odio, perché è la cornice emotiva che fa esplodere l’impulso, perché fa riferimento a tensioni nate in tempi lontani perché richiama bisogni frustrati d’affetto, di comprensione e di valorizzazione; è il primato del paradosso: la vittima fragile è percepita invidiata per l’affettività che richiama ed allora la tenerezza per l’Altro è camuffata dalla avversione e tale precipitato si solidifica in collera ed aggressività. L’attacco si scatena pertanto da un bisogno affettivo rimosso e la sofferenza deriva dalla frustrazione di quel bisogno e si trasforma in impulso avversivo.

E’ seduttiva perché c’è qualcosa di piacevole prima del gesto impulsivo, un senso di energia, è potersi dire: <<guarda che cosa sono capace di fare io… a te; guardatemi sono il più forte>>.

E’ amplificata perché l’azione sovente è attuata alla presenza di altri: non a caso oltre al bullo e alla sua vittima sono presenti il suo aiutante, i suoi sostenitori, lo spettatore ignavo che osserva e non interviene ed infine il “cineoperatore” che filma l’azione violenta e la colloca in rete. Coinvolge entrambi i sessi anche se tra le femmine “il combattimento” ha il fine di punire chi insidia la relazione tra fidanzati.

CYBERBULLISMO: IL BULLO NEL MONDO DIGITALE

E’ possibile notare nei genitori una attenzione crescente ai rischi sottesi all’uso dei nuovi strumenti tecnologici e quali forme di protezione è possibile mettere in campo a fronte della diffusione ed ampiezza del fenomeno, della diversificazione dei nuovi strumenti di comunicazione, della loro affascinante integrazione.

Gli adolescenti della così detta “generation 2.0”sanno cosa e come vanno usati gli strumenti che padroneggiano: il cellulare come estensione della voce, della penna e della macchina fotografica, internet come comunicazione tra pari senza limiti di tempo e di spazio, l’integrazione dei mezzi digitali come socializzazione. Si viene così a costruire una innovativa cultura: quella digitale policentrica che permette di memorizzare, costruire, manipolare, integrare e scambiare elementi simbolici e segni fatti di suoni, immagini, basti pensare agli emoji che riempiono gli SMS degli adolescenti. La società si è rovesciata, ora sono i giovani che insegnano alle generazioni precedenti l’uso delle nuove tecnologie.

Sonia Livingstone ha affermato che i giovani amano socializzare in rete per entrar a far parte di nuovi gruppi di interesse e per condividere passioni.

Ma in questo nuovo arcipelago simbolico dove nel web si sedimentano pensieri, interessi ed emozioni si annida il cyber bullismo: protetto dall’idea dell’anonimato (ma che la Polizia Postale subito svela) compie il suo attacco. Così come nei bagni della scuola compaiono scritte sui muri, frasi volgari o messaggi d’amore che mai si avrebbe il coraggio di proferire alla luce del sole, così nel web vengono lanciati furti di identità, messaggi oltraggiosi o violenti, frasi volgari per offendere e denigrare il malcapitato, così l’offesa si amplifica rilanciata in rete.

Un adolescente ha scritto: <<Cari genitori, cari insegnanti aiutatemi ad affrontare i problemi giorno per giorno, non chiedetemi di dimostrare di essere un fenomeno, un eroe del nulla che si sente forte, che solo se “si fa bullo” può dire di esistere>>.

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La Fondazione Francolini Franceschi in Santarcangelo di Romagna ha inteso promuovere il Convegno “Bullismo e cyberbulliyng” e pubblicare gli atti con l’obiettivo di far incontrare studiosi e professionisti per una comune riflessione sul tema, articolando un confronto a più voci, animando una contaminazione di linguaggi, intrecciando le diverse discipline: psicologia, sociologia, giurisprudenza ed educazione.

Si è voluto offrire ai genitori, agli insegnanti ed alle agenzie educative approfondire l’analisi del problema per rimettere a tema le “buone relazioni” tra adolescenti in un mondo in rapida trasformazione perché come affermava Martin Luther King <<abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo imparato l’arte di vivere come fratelli>>.

 

Maurizio Bartolucci

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