Infortunio in itinere: non sussiste se il tragitto casa – lavoro cambia

Luisa Camboni 11/01/14
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La Cassazione civile – sezione Lavoro – con sentenza n. 1458 – 22 gennaio 2013 – ha, così, deciso: “ In tema di “infortunio in itinere”, la variazione del percorso o l’utilizzo di un’autovettura in luogo del servizio metropolitano rappresenta un rischio elettivo nell’ambito del tragitto che costituisce l’occasione di lavoro, in quanto conseguente alla libera scelta del lavoratore, da cui discende la permanenza o meno della copertura assicurativa o, comunque, la configurabilità o meno di un’ipotesi di infortunio sul lavoro ai fini del periodo di comporto, a seconda delle caratteristiche della deviazione alla stregua delle due condizioni, indicate dalla giurisprudenza costituzionale, delle dimensioni temporali e dell’aggravamento del rischio”.

La vicenda è la seguente: una dipendente di una società, a causa di un sinistro stradale, accaduto mentre si recava sul posto di lavoro, si assentava per malattia per un periodo assai lungo, superando, così, il cosiddetto “periodo di comporto”. La società provvedeva ad inviare alla dipendente una lettera di licenziamento proprio per superamento del “periodo di comporto”.

La dipendente contestava alla società questa decisione, adducendo che il sinistro si era verificato mentre si recava a lavoro e, per questo, la riteneva responsabile di quanto accadutole e illegittimo il licenziamento.

Prima di proseguire l’esame della sentenza de qua è bene soffermarci, seppur brevemente, sul concetto del cosiddetto “periodo di comporto”. Per “periodo di comporto” si intende la somma di tutte le assenze per malattia verificatesi in un determinato periodo di tempo. Durante il “periodo di comporto” – id est malattia – il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro. Superato detto periodo sia il lavoratore pubblico che privato può essere licenziato. Si ricordi che il “periodo di comporto” è diverso a seconda della categoria di lavoratori e viene stabilito dal contratto collettivo.

La vicenda giunge, così, nelle aule di giustizia.

Sia il Giudice di prime cure che i Giudici di Appello respingevano la pretesa della dipendente, dandole torto adducendo quale motivazione la circostanza che il sinistro si era verificato non nel tradizionale percorso di strada che la stessa percorreva, quotidianamente, per raggiungere il posto di lavoro e, quindi, non poteva qualificarsi come infortunio sul lavoro, tecnicamente indicato con l’espressione “infortunio in itinere”. Per tale motivo non le si poteva riconoscere il diritto alla conservazione del posto fino alla sua completa guarigione.

La ricorrente non si fermava ai due gradi di giudizio e ricorreva ai Giudici di Piazza Cavour, ma il risultato rimaneva invariato. Perché? Quid iuris?

I Giudici, con la toga di Ermellino, così, decidevano: il licenziamento è legittimo in quanto la dipendente, per sua libera volontà, aveva percorso un diverso tratto di strada per raggiungere il posto di lavoro, conseguentemente il sinistro in cui la stessa fu coinvolta esulava completamente dalla responsabilità dell’azienda.

In sostanza la dipendente avrebbe avuto diritto a mantenere il posto di lavoro se il sinistro si fosse verificato nel normale tratto che percorreva, quotidianamente, per raggiungere il posto di lavoro. In questo caso, infatti, scatta per il lavoratore la copertura assicurativa. Invece, nel caso posto all’attenzione dei Giudici di Piazza Cavour non sussiste alcuna copertura assicurativa in quanto l’incidente si era verificato al di fuori del normale tragitto casa – lavoro.

Con questa pronuncia la Suprema Corte mette, così, in guardia il lavoratore: se questi sceglie volontariamente, per raggiungere il posto di lavoro, una strada diversa dal percorso abituale e rimane coinvolto in un sinistro, si accolla il rischio di infortunio e, nel caso di superamento del “periodo di comporto” il licenziamento da parte del datore di lavoro è legittimo.

Luisa Camboni

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