Efficacia della sentenza penale di condanna nel giudizio civile o amministrativo di danno

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1. La sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale.

2. La stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata a norma dell’articolo 442, salvo che vi si opponga la parte civile che non abbia accettato il rito abbreviato.

sommario: I. I limiti dell’effetto vincolante della sentenza di condanna. II. Sentenza a seguito di giudizio abbreviato.

I. I limiti dell’effetto vincolante della sentenza di condanna.

La sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso.

Questa efficacia si esplica nei confronti del condannato o del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale [CORDERO; 1152; DALIA-FERRAIOLI MDPP7; 814; NORMANDO, Il valore gli effetti e l’efficacia del giudicato penale, in SPANGHER Trattato, VI, 59; TONINI12; 901] .

La disposizione contiene una regola di prova legale in contrasto con il principio generale del libero convincimento del giudice.

Infatti, in presenza della sentenza irrevocabile di condanna e delle altre condizioni di efficacia previste, il giudice civile o amministrativo è vincolato nella propria decisione per quanto riguarda gli elementi essenziali del fatto-reato devoluto in sede civile o amministrativa quale illecito che determina la responsabilità risarcitoria o restitutoria.

Quanto all’accertamento della sussistenza del fatto” o che “l’imputato lo ha commesso”, il giudice civile o amministrativo, non può accertare che il fatto, inteso come condotta materiale dell’illecito, non sia avvenuto, o che l’imputato non lo abbia commesso, persino in presenza di risultanze oggettive che rendessero errato tale giudizio. In tali casi, il giudice civile o amministrativo deve comunque decidere “come se” in realtà il fatto esistesse o l’imputato lo avesse commesso; la sentenza irrevocabile di condanna è dunque divenuta la “prova” documentale, inoppugnabile ed insuperabile della responsabilità dell’imputato.

E così il giudizio di fatto del giudice penale rappresentato nel documento-sentenza circola nell’ordinamento e approda al giudizio di responsabilità consentito per il solo giudizio sul quantum risarcitorio o sull’oggetto e le modalità della restituzione (è evidente che, invece, ove già sia stato determinato in sede penale il quantum del risarcimento o siano già stati definiti oggetto e modalità delle restituzioni, il giudizio civile di merito non ha corso, essendo direttamente esperibile da parte del creditore la procedura esecutiva).

Quanto al giudizio “di diritto”, la formula dell’”illiceità penale” appare ambigua ed imprecisa.

Innanzitutto, appare singolare che il vincolo del giudicato possa riferirsi ad una valutazione di diritto, quale la qualificazione giuridica del fatto; infatti, la formula dell’illiceità penale del fatto non altro significa e può significare che, appunto, il fatto è valutato insindacabilmente come penalmente rilevante.

In altri termini, ogni altro accertamento giurisdizionale sul “fatto” oggetto di una sentenza di condanna passata in giudicato, non potrà mai più giuridicamente rivalutare quel fatto e ritenerlo non penalmente rilevante.

Sotto un aspetto di carattere generale, una simile regola risulta in contrasto con un principio generale della giurisdizione secondo il quale al giudice spetta sempre il pieno potere di valutazione e interpretazione in diritto (iura novit curia).

La formula dell’”illiceità penale”, vincolante rispetto al giudizio civile, ha comunque un significato assorbente, essendo l’illiceità “civile” e quindi la responsabilità civile che ne consegue, un corollario dell’illiceità “penale”, nel senso, ovvio, che ogni fatto che è previsto come reato, automaticamente costituisce un illecito civile [FRANZONI (1) 72; GIARDA (2) 28; PENNISI (3) 783; SQUARCIA (4) 1314; TORTORANO (5) 110;].

Questa espressione compatta non definisce però il “tipo” di illiceità penale, nel senso che nella disposizione normativa non è precisato se il vincolo del giudicato, operi “purché” il fatto oggetto del giudizio divenuto definitivo, rimanga all’interno della categoria degli illeciti penali oppure se, viceversa, il vincolo del giudicato è da intendersi in modo assolutamente stringente come limite invalicabile anche rispetto alla specifica tipologia di illecito penale accertata nella sentenza di condanna divenuta irrevocabile.

Come ben si comprende, mentre nel primo caso il giudice civile nel corso del giudizio di responsabilità per i danni derivanti da reato potrebbe modificare il titolo del reato, nel secondo caso una simile evenienza non sarebbe possibile ed il giudice civile dovrebbe attenersi rigorosamente e automaticamente alla specifica qualificazione giuridica del fatto come esplicitata nella sentenza definitiva di condanna, subendo la massima limitazione del principio, altrimenti incoercibile, del libero convincimento.

In ogni caso, va notato che per quanto possa essere rigido il vincolo “in diritto”, ex art. 651, esso è destinato a venire meno allorquando intervenga un’abrogazione espressa o tacita della norma incriminatrice (anche per effetto di una sentenza della Corte costituzionale). In tal caso, ai sensi dell’art. 673, la sentenza di condanna ancorché divenuta irrevocabile è “revocata” dal giudice dell’esecuzione [cfr. infra, sub art. 673].

II. Sentenza a seguito di giudizio abbreviato.

Le stesse regole del comma 1 sono estese alla sentenza divenuta irrevocabile pronunciata a seguito di giudizio abbreviato, salvo che vi si opponga la parte civile che non abbia accettato il rito abbreviato.

La disposizione appare criptica.

Infatti, sotto un primo aspetto, non si comprende per quale ragione si debba accordare alla parte civile che già non ha accettato il rito abbreviato, essendosi opposta a norma del comma 4 dell’art. 441 comma 4, anche il vantaggio di avvalersi della sentenza di condanna pronunciata a seguito del giudizio che, appunto, questa non aveva accettato. Si tratta insomma di una disposizione palesemente squilibrata in senso accusatorio in danno dell’imputato ed un chiaro “peso” conseguente alla scelta del giudizio abbreviato che in caso di condanna è in grado di generare sempre una responsabilità civile automatica per i danni conseguenti dal reato, persino quando, appunto, la parte civile non abbia accettato il rito abbreviato.

Considerato poi l’indubbio vantaggio attribuito alla parte civile che, pur non avendo accettato il rito abbreviato, si trova nella possibilità di far valere il vincolo del giudicato derivante dalla sentenza di condanna dell’imputato (piuttosto che, altrimenti, dover attivare un autonomo giudizio civile, privo di condizionamenti normativi e quindi suscettibile di esiti anche avversi all’attore costituitosi come danneggiato dal reato) sfugge il senso della disposizione, non comprendendosi per quale ragione la parte civile dovrebbe opporsi alla grande agevolazione concessa dal legislatore [si dovrebbe al limite, immaginare un percorso civilistico teso all’aggravamento delle responsabilità come configurate nel giudizio abbreviato; nei lavori preparatori il punto non è chiarito: “…l’inciso è stato inserito su suggerimento della Corte di cassazione…la formula è stata adottata…., perché vale a meglio coordinare il precetto dell’art. 651 comma 2 con quello dell’art. 444 comma 2” (Relazione al Progetto definitivo, 202)].

Bibliografia:

(1) FRANZONI, Il danno risarcibile, Milano 2004; (2) GIARDA, La persona offesa dal reato nel processo penale, Milano 1971; (3) PENNISI, voce Parte civile, EdD. I, Agg., Milano 1997, 783; (4) SQUARCIA, Il danno da reato, derivante da lesione di interessi legittimi, è risarcibile anche in sede penale, RDPP 2001,1314; (5) TORTORANO, Il danno meramente patrimoniale, Torino 2000

Angelo Alessandro Sammarco

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