CGA Sicilia, antenne telefoniche: i comuni possono vietare l’installazione

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Un Comune può legittimamente vietare, con propria disposizione regolamentare, installazioni di stazioni radio-base per le trasmissioni telefoniche in aree specificamente individuate ed a meno di 200 metri da “strutture sanitarie scolastiche ed altri siti sensibili”.
Le previsioni del regolamento comunale possono, quindi, essere più restrittive di quelle previste dal legislatore.
La legge quadro n. 36 del 2001, in effetti, affida allo Stato le funzioni relative “alla determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, in considerazione del preminente interesse nazionale alla definizione dei criteri unitari e di normative omogenee”, al fine di tutelare la salute degli individui dagli effetti dell’esposizione a determinati livelli di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici.
Questo, però, non impedisce ai Comuni di fissare limiti di distanza più gravosi di quelli determinati dal D.P.C.M. dell’8.7.2003.
Lo ha sancito il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana con la sentenza sul ricorso in appello n. 423/2012, proposto dal Comune di San Filippo del Mela (in provincia di Messina).
Il Comune aveva negato alla Vodafone l’autorizzazione all’installazione dell’antenna per le trasmissioni telefoniche perché il sito individuato dal gestore ricadeva a meno di 200 metri da una scuola elementare e dal suo baby park ed a 140 metri da un oratorio parrocchiale.
Il Tar aveva giudicato il provvedimento illegittimo, ritenendo il principio comunitario di “precauzione” già stato soddisfatto dalla legge nazionale.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa, invece, ha valutato il regolamento del Comune di San Filippo del Mela conforme al dettato della legge 36/2001, il cui art. 8 dispone: “I Comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici”.
I giudici di seconda istanza hanno ritenuto che l’individuazione da parte dell’Ente locale di aree maggiormente sensibili, da sottoporre a particolare tutela, non era, come sosteneva la Vodafone, un’invasione nel campo di esclusiva competenza dello Stato al quale spettava il compito di adottare, con decreto ministeriale, puntuali criteri.
Il Comune si è, legittimamente, posto il problema di contenere il più possibile il rischio di esposizione della popolazione alle immissioni, specie per quei soggetti che hanno presumibili minori difese ordinarie, come bambini, anziani o ammalati.
L’Ente locale non ha negato, e non avrebbe potuto farlo, l’autorizzazione all’istallazione della stazione radio-base su tutto il proprio territorio, ma ha individuato, nel proprio regolamento, una serie di aree “idonee” ed un espresso divieto di localizzazione in specifiche zone e siti dalle particolari caratteristiche.
Il Comune ha motivato la propria attività amministrativa con l’onere di dovere contemperare la possibilità di copertura territoriale e le facoltà riconosciutegli, in subiecta materia, dall’art. 8 della legge 36/2001, che legittima appunto l’Ente locale a disciplinare l’installazione delle stazioni radio base nel proprio territorio in modo da “assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici”.
Il CGA, già in passato (sentenza n. 179/2012) aveva sancito che: “Sia la disciplina delle distanze c.d. di rispetto, che quella delle altezze degli impianti, così come prevista dal contestato Regolamento, in realtà assumono come base di calcolo la variegata conformazione tipologica e funzionale attribuita alle aree di insediamento ed agli edifici dal vigente strumento urbanistico, nessuno dei quali, infatti, viene pregiudizialmente escluso come possibile sede di collocazione di impianti o di torri di supporto specificamente costruite allo scopo”.

Luciano Catania

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