Regolamento sulle unioni civili al comune di Palermo

Sereno Scolaro 01/03/13
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Nessuno dubita che la regione Sicilia abbia natura di regione a statuto speciale, essendo oltretutto stata la prima regione con tale caratterizzazione, fin da prima della Costituzione, anzi della Repubblica (R.D. Lgs. 15 maggio 1946, n. 455, di seguito convertito nella L. Cost. 28 febbraio 1948, n. 2); per altro, andando a ri-vedere l’art. 14 dello Statuto (sulle materie di competenza esclusiva regionale), oppure l’art. 17 (sulle materie di competenza legislativa regionale “entro i limiti dei princìpi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato”) sembrava (ma è solo una percezione, superficiale) che alcune materie non rientrassero nelle competenze legislative della regione Sicilia.

Forse, si tratta di un errore, dato che all’A.R.S. sono state depositate 2 P.d.L. sulle unioni c.d. di fatto.

Più o meno contestualmente, sia ha notizia che anche la Giunta comunale di Palermo abbia deliberato l’approvazione di uno schema di regolamento istitutivo del registro comunale delle unioni civili, proposto al consiglio comunale.

Probabilmente, sulla scia di quanto avvenuto in altri comuni, in cui, surrettiziamente, i comuni assumono iniziative in questo senso che possono – collocarsi nell’alveo della promozione di una diversa prospettiva, quale stimolo ad un legislatore nazionale, finora, restio ad intervenire in materia. E fin tanto che si tratti di fare “promozione”, le iniziative possono anche starci.

Per quanto noto, una volta avvenuta l’iscrizione nel registro (comunale) delle unioni civili, le persone interessate (o, pudicamente, le coppie) non potranno subire alcuna discriminazione in materia di casa, sanità e servizi sociali, politiche per i giovani, sport e tempo libero, diritti e partecipazione alla vita pubblica e politica, prevedendosi altresì come i benefici concessi alla coppia permarranno anche dopo la morte di uno dei due conviventi. In alcuni casi, come in molte legislazioni regionali in materia di E.R.P., si considerano, già, da quasi 30 anni, i c.d. “nuclei di stabile convivenza”, ma non si comprende quali altre “discriminazioni” possano aversi per il fatto di coabitare.

Il punto è altro, cioè il fatto che, piaccia o non piaccia, le trasformazioni della società sono tali da non poter essere frenate, ma che occorre affrontarle in termini di riconoscimento dei cd. “diritti di cittadinanza” e delle libertà delle persone, dove libertà è tutt’altro che arbitrio.

Seguendo queste strade, è da escludere che il matrimonio, o il testamento e le successioni (od altri istituti del c.d. ordinamento civile) trovino regolazione a livello comunale o, se vada bene, regionale?

 

Sereno Scolaro

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