Pane e Derivati: di cosa si nutrono le banche e che cosa le intossica. Il caso MPS

Paolo Righini 24/01/13
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In questi giorni non si parla d’altro: la crisi finanziaria di MPS, provocata dall’impiego, da parte di tale istituto, di contratti di finanza derivata finalizzati a nascondere perdite pregresse.

Ma… cosa sono i contratti derivati? A cosa servono? Rappresentano la personificazione del “male finanziario assoluto”?

Per iniziare, vorrei parlarvi di un derivato… buono. Sì, buono anche… da mangiare, perché si tratta di un derivato sul “Prosciutto di Parma” che – qui è tradizione – stipulano quotidianamente le aziende produttrici a gestione familiare. Dunque, non certo “rampanti” della finanza.

Ebbene, immaginate di avere qualche migliaio di Euro da investire. Potete recarvi in banca e lì scegliere un titolo, oppure, potete andare – non sorprendeteVi – in un prosciuttificio!  Lì, non avrete difficoltà a siglare un accordo di questo tipo:

1. investirete i Vostri risparmi nell’acquisto di una partita di cosce fresche di maiale appena macellato;

2. queste verranno prese in consegna dal produttore di prosciutti, il quale si impegnerà a curarne la stagionatura (baliatico: sugnatura, salatura, ecc.);

3. quest’ultimo, dopo dodici / quattordici mesi, si impegna ad acquistare da Voi i pro-sciutti, da lui amorevolmente accuditi, al prezzo (ecco qui il contratto “derivato”) che, a quella data, risulterà dalla Borsa Merci della Camera di Commercio di Parma per i beni di pari tipologia (stagionatura, pezzatura, ecc.).

Si tratta di un contratto da qualificarsi, a tutti gli effetti, come derivato, perché il prezzo di questo, per l’appunto “deriva” dall’andamento di un valore esterno, rilevabile in maniera obiettiva. Quello della Camera di Commercio di Parma.

Evidente, in un caso del genere, il contemperamento dei reciproci interessi: necessità Vostre di investimento da un lato e bisogni finanziari della produzione dall’altro; si incontrano, creando sinergia.

Altrettanto evidente è la componente (moderatamente) speculativa del con-tratto derivata dalla variabile “andamento del prezzo del prosciutto alla Borsa Merci”: se il prezzo del prosciutto cala molto, Voi, che avete investito nell’acquisto delle cosce fresche, potreste anche rimetterci una parte del capitale. Per converso, se il prezzo del bene sale più del previsto, il produttore, pagherà di più i Vostri prosciutti, riducendo i propri guadagni, anzi, addirittura, potrebbe azzerandoli del tutto e rimetterci.

Questo schema, come altri ben più sofisticati e vari, lo si può replicare in mille maniere, mantenendo come valori sottostanti ai quali fare riferimento quello delle merci (commodities), oppure qualsiasi altro, come, ad esempio, il cambio delle valute (currency swap), oppure – e qui entriamo in medias res – i tassi di interesse. Esistono, infatti, contratti derivati detti I.R.S. (interest rate swap), in cui le parti si scambiano flussi di denaro parametrati a diversi tassi di interesse.

Questo, in origine, sarebbe dovuto servire a soddisfare reciproche e comple-mentari necessità finanziarie.

Sennonché – ed è questo che avvelena il mondo finanziario e, di seguito, la quotidianità di ciascuno di noi, perché il tutto si scarica sull’economia reale – detti contratti si possono facilmente prestare a fini assolutamente, rectius, esclusivamente speculativi; vere e proprie scommesse sull’andamento di un tasso piuttosto di un altro. In questi caso, ad aggravare il tutto, si rimarchi che, players di mercato e parti negoziali, quando si tratta di banche che contrattano tra loro, confondono i reciproci ruoli.

Nel caso di MPS, il contratto di finanza derivata che sta contribuendo a generare la crisi dell’istituto consiste in un derivato sui tassi di interesse, in ragione del quale:

 la banca italiana paga alla banca giapponese Nomura un flusso di denaro pari a quello generato da gran parte dei titoli di stato (BTP) che la prima si trova in porta-foglio, cioè all’incirca il 4,2% annuo su 25 miliardi di Euro, dunque, pressappoco 1 miliardo di Euro all’anno;

 per contro, la banca giapponese, sempre calcolandolo sugli stessi BTP di cui so-pra, versa ad MPS un tasso variabile pari all’Euribor; Euribor che, ad oggi (ecco qui l’origine del disastro), risulta pari allo 0,20% del valore di questi, dunque, circa 65 milioni di Euro.

Conclusione: MPS, a “bocce ferme”, paga a Nomura un differenziale pari a, circa, 945 milioni di Euro ogni anno!

Perché si è giunti a questo.

Per il vero, attraverso tale derivato, non si sarebbe voluto speculare, bensì dare seguito ad un’operazione di maquillage di bilancio, tramite la quale si sarebbero volute spalmare perdite pregresse (500 milioni di Euro circa), derivate da altre operazioni finite male (Alexandria e Santorini), non su un unico esercizio annuale di bilancio, bensì su trenta anni (per l’appunto, la durata dei BTP). In questo modo, la passività, sarebbe passata praticamente inosservata. Sennonché, il pericoloso congegno di finanza derivata, era stato messo a punto nell’anno 2009, quando, cioè, il tasso Euribor era ben diverso dallo 0,20 di oggi (si avvicinava al 3% annuo) e questo faceva sì che Nomura versasse una somma ben più elevata di quanto accade ora, andando (parzialmente) a compensare il flusso di denaro proveniente da MPS (la differenza, era pur sempre favorevole a Nomura ed in questa consisteva la remunerazione della stessa). Tuttavia, riducendosi, ora, l’Euribor ai minimi termini… eccoti il disastro.

Ora, che lezioni trarre da questo?

Non certo di demonizzare i derivati!

Si tratta di un qualche cosa che, per l’economia tutta, non solo per la finanza, risulta paragonabile a quello che ha rappresentato l’invenzione della ruota per il tra-sporto: senza i contratti di finanza derivata, non si raggiungerebbe facilmente l’obiettivo di dare stabilità ai prezzi delle materie / merci, ovvero ai tassi di interesse (vi siete mai chiesti perché la farina costa sempre uguale durante tutto l’anno, mentre il frumento matura d’estate? Ebbene, questo dipende, in parte, dai contratti derivati che stabilizzano i valori delle merci).

Invece, quello che va affermato con vigore, è che andrebbe posto un limite, valido a livello planetario (altrimenti la finanza andrebbe ad operare lì dove tale limite non viene posto), alla negoziazione di contratti derivati sui mercati OTC (over the counter), cioè nei cosiddetti “mercati non regolamentati”.

Attenzione, mercati non regolamentati non significa certo illegali, ci manche-rebbe altro; significa, invece, mercati in cui le parti negoziano direttamente tra di loro in assenza – sta qui la differenza principale con i mercati regolamentati – di una “ca-mera di compensazione”.

Tale organismo, che gestisce le operazioni di compensazione nella negoziazione di prodotti finanziari, si interpone tra le parti e, imponendo il versamento di idonee cauzioni, garantisce il buon fine di tutte le transazioni. Se tutto passasse attraverso la camera di compensazione, le operazioni rischio-se o spurie, come quella posta in essere tra MPS e Nomura verrebbero alla luce inevitabilmente. Ne deriverebbe un guadagno enorme di trasparenza per gli investitori.

Non solo, operazioni dubbie come quella in esame – rammento che si trattava di mero maquillage finanziario – verrebbero smascherate da subito, dunque, nemmeno ipotizzate, né tanto meno, poste in essere. Tante altre affermazioni e buoni propositi potrebbero seguire, tipo quello di reistituire la separazione forzata tra investment banks e merchant banks: le nostre banche italiane, non dovrebbero giocare troppo con i contratti di finanza derivata e restare legate, come è stato da sempre all’economia reale.

Ma si tratta di questioni enormi, che dovrebbero venire affrontate dalla politica internazionale, non certo demandate a venir regolate dalla “mano invisibile” di Smithiana memoria, nume protettore dei mercati. Nume assai distratto, parrebbe…

 

 

Paolo Righini

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