Altro che sanatoria, ora sono gli immigrati a fuggire dalla crisi

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Non servono più pugni di ferro contro gli scafisti, espulsioni facili o trattati di dubbia amicizia a contrasto dell’immigrazione clandestina: oggi, a lasciare il nostro Paese, gli immigrati provvedono in autonomia. E’ la preoccupante fotografia di due indagini svolte da Sportello dei diritti e Fondazione Ismu, che denunciano, forse per la prima volta in vent’anni, come la direzione di marcia dei lavoratori stranieri si stia pericolosamente invertendo, diretta lontano dai nostri confini nazionali e dalla profonda crisi economica al loro interno.

La notizia non può essere interpretata con la faciloneria di chi vede di buon occhio una diminuzione della popolazione immigrata nel nostro Paese. Al contrario, si tratta di uno degli indicatori più preoccupanti in Italia da quando è esplosa la crisi, volendo stabilire il “big bang” della recessione globale nella seconda parte del 2006, con il crollo dei muti subprime e gli effetti a cascata sulle economie dei maggiori Paesi occidentali, fino all’altalena di speculazioni dell’ultimo periodo.

Finora, infatti, la riserva di manodopera dei lavoratori provenienti da altri Paesi aveva garantito, oltre che la messa in cassaforte di contributi previdenziali a tutto vantaggio di chi la pensione la percepisce già, la sopravvivenza di molte attività economiche, se non la loro nascita ex novo. Oggi, invece, questo trend capovolto ha tutta l’aria di essere il sintomo peggiore di una crisi ormai sistemica, che nel mercato del lavoro italiano si riflette con conseguenze devastanti.

La fuga degli immigrati, infatti, spiega meglio di ogni dato statistico le forti difficoltà di settori come l’edilizia e l’agricoltura, dove le maestranze di nazionalità estera rappresentano ormai un ingranaggio insostituibile. Oggi, invece, lamentano gli immigrati, non solo le vie canoniche di accesso al lavoro sono quasi inaccessibili, ma è addirittura il sommerso, uno degli “sport nazionali” più praticati, a chiudere le porte a chi, spesso disperato, è costretto ad accettare un salario infimo, rinunciando a ogni genere di tutela sociale, pur di guadagnarsi da vivere.

Secondo le parole di Giovanni D’Agata, fondatore dello Sportello dei diritti “In quattro anni si è ridotto di oltre tre quarti il numero degli arrivi ed è aumentata notevolmente la quantità di partenze”. I dati sono incontrovertibili: se tra il 2005 e il 2010 il saldo migratorio si attestava a 330mila unità, il rapporto tra entrate e uscite, negli ultimi 12 mesi è precipitato a 102mila. Anche i permessi rilasciati sono in flessione: addirittura -40% nel 2011 rispetto all’anno precedente.

Proprio in questi giorni, però, sta scaldando i motori la nuova legge di regolarizzazione del governo Monti, che aprirà il 15 settembre una finestra di 30 giorni per consentire ai lavoratori clandestini sul nostro territorio di mettere a norma la propria posizione, dimostrando una permanenza non successiva al 31 dicembre 2011. Resta da vedere in quanti, tra imprenditori e lavoratori, risponderanno alla chiamata di quella che il ministro per la Cooperazione Andrea Riccardi ha negato essere una vera e propria sanatoria.

Ciò che mettono in luce gli osservatori, è come gli immigrati sembrano aver scoperto un‘Italia diversa dall’Eldorado che appariva in passato dove, soprattutto, gli effetti negativi della crisi economica non saranno assorbiti nel breve periodo. Sempre più, infatti, sono gli extracomunitari che tornano nei propri Paesi, magari attingendo al gruzzolo accumulato negli anni di occupazione: secondo la Fondazione Ismu, in Lombardia, dove le presenze immigrate sfiorano il milione, uno straniero su dieci ha in programma di trasferirsi nell’arco di un anno.

Ecco, dunque, che un governo come quello attuale, così attento a tutti i campanelli d’allarme economici e finanziari, non potrà di certo ignorare la portata di un fenomeno, certo ancora agli albori, che va contrastato sul nascere per non arrecare ulteriore danno al benessere di tutti, dagli imprenditori che richiedono forza lavoro straniera, agli immigrati stessi, per finire coi già soffocanti conti della previdenza pubblica, di cui i regolari provenienti dall’estero sono assidui – e spesso non corrisposti – contribuenti.

Francesco Maltoni

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