La tariffa del servizio idrico dopo il referendum e dopo la Manovra bis

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I recenti provvedimenti governativi in materia di finanza pubblica sono intervenuti sulla normativa in materia di servizi pubblici, anche al fine di porre rimedio al vuoto legislativo determinatosi a seguito della consultazione referendaria che si è svolta il 12 e il 13 giugno scorso. Tuttavia non è stata dedicata alcuna disposizione a uno dei temi centrali dei quesiti referendari ossia quello che ha coinvolto il problema della tariffa del servizio idrico integrato. Ciò sembrerebbe deporre a favore della tesi che si tenterà di esporre ossia la sostanziale invarianza metodologica nel calcolo della tariffa del servizio idrico integrato.

Diversamente opinando le problematiche connesse all’eventuale rimodulazione tariffaria risulterebbero di difficile soluzione anche in considerazione degli inevitabili riflessi sui contratti di gestione del servizio già stipulati. 

La consultazione referendaria che si è svolta il 12 e il 13 giugno scorso ha determinato l’abrogazione parziale dell’art. 154, comma 1, del D.lgs.  152/2006 e s.m.i. (Codice ambientale), limitatamente alla parte in cui  prevedeva che i proventi ricavati dal sistema tariffario del servizio idrico integrato dovessero finanziare anche l’adeguata remunerazione del capitale investito dal gestore per la realizzazione e per la manutenzione straordinaria delle infrastrutture funzionali al servizio idrico integrato. La normativa abrogata prevedeva in modo esplicito che nella determinazione della tariffa del servizio idrico integrato si dovesse tener conto anche dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito.

A seguito dell’esito referendario si è aperto un interessante dibattito in merito alle conseguenze ed agli effetti concreti che la vittoria del sì produrrà nel sistema del ciclo idrico integrato, con particolare riferimento alla modalità di determinazione delle tariffe del servizio.

Va da subito evidenziato che, contrariamente a quanto potrebbe apparire a seguito dell’esito referendario, le ricadute sul piano tariffario potrebbero essere ben più limitate rispetto alle aspettative dei sostenitori del sì.

La ricostruzione delle motivazioni che potrebbero essere poste a fondamento di questa tesi partono non tanto dalle norme che il referendum ha abrogato, quanto dalle norme del Codice ambientale che rimangono vigenti.

L’art. 149, comma 4, del D.lgs n. 152/2006 che non è stato oggetto di abrogazione stabilisce testualmente  che “ il piano economico finanziario ……..prevede con cadenza annuale, l’andamento dei costi di gestione e di investimento……Esso è integrato dalla previsione annuale dei proventi da tariffa, estesa a tutto il periodo di affidamento…Il piano (economico finanziario) ….dovrà garantire il raggiungimento dell’equilibrio economico finanziario…”.

Inoltre l’art. 154, comma 1, prevede:” La tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell’entità dei costi di gestione delle opere (dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito – parte abrogata a seguito del referendum) e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento dell’Autorità di Ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio “chi inquina paga”. Tutte le quote della tariffa del sii hanno natura di corrispettivo”.

I principi desumibili dalle predette disposizioni, tuttora vigenti, sono così sintetizzabili:

1) la gestione del servizio idrico integrato deve rispettare il vincolo dell’equilibrio economico-finanziario;

2) la tariffa del servizio idrico integrato deve coprire tutti i costi necessari alla gestione operativa del servizio e alla realizzazione degli investimenti funzionali al servizio stesso.

Preliminarmente appare utile definire con chiarezza il contenuto della locuzione “remunerazione del capitale investito” con l’intento di spazzare via i dubbi terminologici che possono avere determinato equivoci nell’ambito della discussione referendaria.

La remunerazione del capitale investito non rappresenta il profitto dell’impresa che gestisce il servizio, ma il costo del capitale necessario al finanziamento degli investimenti.

I profitti della società di gestione del servizio derivano, invece, dalla capacità  della stessa da un lato di essere efficiente nella gestione operativa, dall’altro di minimizzare i costi dei fattori produttivi, incluso il capitale.

In sintesi : l’art 154 è stato abrogato soltanto nella parte in cui prevedeva che in tariffa potesse essere ribaltata l’adeguata remunerazione del capitale investito. La parte  restante della norma, tuttora vigente, prevede espressamente che attraverso la tariffa sia assicurata la piena copertura dei costi. In considerazione del fatto che la remunerazione del capitale investito altro non è se non  il costo del capitale, è ragionevole sostenere che esso potrebbe essere finanziato con i proventi tariffari nonostante l’esito referendario.

Si ritiene, difatti, che soltanto a fronte di un’esplicita previsione diretta ad escludere la possibilità di remunerare il capitale, anche a prescindere dal ribaltamento in tariffa, l’esito referendario sortirebbe gli effetti che sono stati attribuiti da molti, effetti che in questa eventualità potrebbero definirsi molto problematici poiché la mancata realizzazione degli investimenti andrebbe ad incidere in maniera drastica nella tanto ricercata efficienza del servizio.

Posto che l’obbligo di mantenere l’equilibrio economico-finanziario, ai sensi dell’art. 149, comma 4, del D.lgs 152/2006 e s.m.i. , non può venir meno e che la remunerazione del capitale è un costo, la domanda che gli esiti della consultazione referendaria implicitamente impongono è eventualmente in quale modo tale costo debba essere preventivamente calcolato.

Nella modalità di determinazione del costo del capitale, merita  una particolare riflessione l’aspetto relativo all’adeguatezza della misura del saggio di remunerazione.

Il metodo normalizzato per il calcolo della tariffa idrica prevede che l’interesse sui capitali investiti nella gestione idrica sia quantificato in modo forfetario al 7% annuo del valore capitale investito.

Tale previsione, introdotta da un Decreto Ministeriale del 1996 (il c.d. Metodo normalizzato per la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato, può rappresentare un valore privo di  riferimenti con il reale costo del capitale: in alcuni casi e momenti temporali  il 7% potrebbe essere troppo, in altri casi troppo poco.

Chi scrive ritiene che innanzitutto non sia corretto applicare un tasso di remunerazione del capitale in una misura fissa, senza tener conto preliminarmente della natura del finanziamento degli investimenti: posto che, in linea di principio, gli investimenti di un’azienda sono finanziati sia da capitale di debito sia da capitale di rischio, il costo del capitale potrebbe essere calcolato sulla base della media ponderata tra il costo del capitale proprio  e il costo del capitale di debito.

Inoltre il costo del capitale dovrebbe essere correlato agli scenari macroeconomici, con particolare riferimento agli andamenti attesi dell’inflazione.  Ipotizzare una remunerazione variabile del costo del capitale, in funzione della tipologia dei finanziamenti e del costo del credito (quindi dell’andamento dei tassi)  potrebbe essere un’efficace soluzione al problema.  Ma il referendum non ha interessato questo aspetto che dovrebbe essere pertanto ripensato in sede legislativa.

Al fine di trarre una conclusione di massima da queste riflessioni, si potrebbe ragionevolmente sostenere che il referendum del 12 e 13 giugno, seppur foriero di una chiara e netta volontà popolare che come tale deve essere tenuta in debita considerazione, potrebbe tuttavia non sortire gli effetti sperati.

Secondo quanto si è avuto modo di illustrare nel corso della riflessione sin qui condotta, difatti, la mera rimozione “chirurgica” dell’inciso relativo all’adeguata remunerazione del capitale investito rischia di essere vanificata allorché si consideri che la sua eliminazione non appare, di per sé, sufficiente a mutare il senso complessivo della disposizione normativa nella quale risulta inserita, né tantomeno la ratio sottesa alla disciplina della gestione del servizio idrico nel suo complesso.

A ben vedere, se davvero si volesse perseguire la finalità sottesa al quesito referendario  eliminando qualsiasi margine di speculazione da parte del gestore del servizio sulla tariffa, una valida soluzione potrebbe essere rappresentata dalla revisione del tasso di remunerazione del capitale, che dovrebbe essere determinata in misura variabile in relazione al reale costo del capitale investito.

In questa sede, quindi, non rimane che auspicare un tempestivo intervento del legislatore che riporti chiarezza in un settore così profondamente connesso ai bisogni fondamentali della collettività, nel pieno rispetto della volontà popolare e nella consapevolezza che l’efficienza del servizio è comunque un valore che merita di essere perseguito, pur nel rispetto dei fondamentali principi di solidarietà, equità ed economicità. 

Angela Moriconi

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