Legge 107: deleghe ‘aperte’ per una riforma condivisa

Redazione 10/01/17
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di Giancarlo Cerini, direttore di “Rivista dell’istruzione”, già dirigente tecnico del Miur

Una ripartenza in salita

L’emanazione dei nove decreti legislativi per dare compiuta attuazione alla legge 107/2015, la c.d. “Buona scuola”, non è un problema di natura tecnica, ma squisitamente politico. Intanto bisogna prendere atto che siamo agli sgoccioli del termine di 18 mesi concessi dal legislatore all’esecutivo per la definizione dei decreti (cui si possono aggiungere tre mesi tecnici previsti dal comma 182 della legge 107/2015). Nel caso della riforma della scuola, poi, la questione è più complessa, perché è in gioco la ‘tenuta’ della legge 107/2015, frutto di una stagione di forti contrasti. Basti pensare che è stato tentato un referendum abrogativo su alcuni punti caratterizzanti la legge (però senza raccogliere le firme necessarie) e che lo stesso premier di allora Renzi l’ha considerata come la riforma meno riuscita del suo palmares.

Come non bastasse, la percezione del cambiamento tra i docenti è fortemente critica e le tormentate vicende di inizio dell’anno scolastico 2016-17 (in particolare la precarietà nella mobilità dei docenti) hanno eroso una quota consistente di credito che la “Buona scuola” aveva raccolto nei primi mesi, con il suo battage sul merito, la modernizzazione, la semplificazione delle regole.

Gli spazi politici e tecnici delle deleghe

Dunque, la scrittura delle deleghe rappresenta un’occasione, più unica che rara, per riprendere il filo del discorso, attraverso un dialogo aperto con la società civile (oltre che con gli operatori scolastici) per costruire quella ‘narrazione positiva’ di cui ogni grande sistema istituzionale ha bisogno per godere della fiducia dell’opinione pubblica. Oggi le preoccupazioni dei genitori sembrano piuttosto corte (la possibilità di sostituire a scuola la mensa con un panino, il circolo di WhatsApp delle mamme, la richiesta di telecamere nella scuola, i compiti a casa da ‘alleggerire’, la settimana corta comunque…). Difficile spostare l’attenzione sul valore non solo simbolico dell’istruzione pubblica per il futuro dei ragazzi e per le sorti del Paese (per il quale si è parlato anche di ‘declinismo’).

Qualche evidenza positiva va però colta. I barometri sulla fiducia verso le istituzioni vedono ancora la scuola ai primi posti (subito dopo il Pontefice e le Forze dell’ordine). Quando una comunità è in pericolo (v. terremoto) la scuola viene vissuta come un bene-rifugio indispensabile per attestare la permanenza della vita civile. Ancora, qua e là nella scuola reale emergono buone esperienze di qualità (si pensi a quell’istituto di Catania che è risalito di 800 posizioni nella graduatoria, pur operando in un contesto difficile) che fanno ben sperare per il futuro.

Le riforme della scuola dovrebbero assecondare questi processi e fornire le migliori condizioni a chi opera nella scuola per compiere al meglio il proprio lavoro. Ogni scuola è un’istituzione a km zero, dirimpettaia della propria comunità, salvaguardata non solo da pietre sicure, ma da persone e professionisti ad alta responsabilità pubblica. Le deleghe dovrebbero sostenere questa idea di scuola.

Le strategie del cambiamento

Sappiamo, poi, che non bastano le leggi per fare le riforme, perché il cambiamento è innanzi tutto un processo culturale e professionale: cioè contano molto di più le idee, i valori, le passioni, i comportamenti delle persone.

Non sempre le riforme riescono a costruire questa cornice emozionale. È capitato in alcuni momenti magici della storia della nostra scuola: il tempo pieno, l’integrazione scolastica, le sperimentazioni dei bienni, i programmi delle elementari, l’infanzia… quando cioè strumenti normativi leggeri (non grandi riforme di struttura), accompagnate però da politiche attive, hanno messo in moto storie vere, che intercettano esigenze reali e rendono gli insegnanti protagonisti dell’innovazione e veri e propri soggetti sociali. I provvedimenti delegati richiedono energia, pazienza, concertazione, risorse insieme al buon governo del ‘quotidiano’.

La scuola ‘migliore’

Le nove deleghe in gestazione ci possono aiutare a fare una scuola migliore? Alcune certamente sì.

Le deleghe, nel senso esteso qui ipotizzato di un processo riformatore non da subire ma da costruire, possono essere l’occasione per stabilire un rapporto di fiducia con la scuola e verso la scuola. Si pensi in particolare a:

  • il diritto all’educazione dell’infanzia;
  • il diritto a buona inclusione e a integrazione;
  • la formazione degli insegnanti;
  • la cultura musicale e artistica, che tanta presa ha nelle esperienze dei giovani;
  • un’istruzione professionale di qualità;
  • una valutazione di carattere formativo degli allievi, ma anche delle istituzioni scolastiche.

Su quest’ultimo tema il Paese si aspetta l’affidabilità di modalità e strumenti di valutazione, finalizzati al miglioramento: questo significa riconoscere, spronare, promuovere i talenti, non limitarsi a giudicare o a prendere atto di successi e insuccessi[1]. Lo hanno confermato le oltre 2.000 scuole che stanno partecipando alla sperimentazione della certificazione delle competenze per il primo ciclo: oltre il 90% ha riconosciuto che è opportuno andare oltre il voto e che una valutazione negativa deve comunque contenere un messaggio di forte incoraggiamento.

La cornice dello “Zero-sei”

Prendiamo lo “Zero-sei”: nel termine evocativo c’è una sfida per il Paese, per affrontare il tema del declino demografico e della qualità della vita, evitando gli scivoloni del fertility day o della richiesta di installare telecamere nei nidi d’infanzia e nelle scuole materne. Il baricentro del sistema educativo per l’infanzia si sposta verso il Ministero dell’istruzione (sarà però necessaria una struttura di governo assai ‘agguerrita’), riconoscendo la preminente funzione educativa anche dell’asilo nido. La stessa Corte Costituzionale ha da sempre sostenuto questa funzione, anche se la recente sentenza n. 284/2016 ridimensiona il concetto di ‘standard strutturali, organizzativi e di qualità’ a un mero adattamento alle istanze locali.

Occorre dunque saggezza nel profilo giuridico del nuovo sistema, perché deve far interagire (non unificare!) il segmento 0-3 (i nidi) con il segmento 3-6 (le scuole), due strutture di pari valore educativo. Tuttavia le prime sono gestite da comuni e privati; le seconde da Stato, comuni e soggetto privati (paritari). Ci sono quindi storie, professionalità, identità educative diverse, che andranno salvaguardate, pur offrendo un quadro di riferimento pedagogico unitario e regole di funzionamento coordinate[2]. Ad esempio, in materia di curricoli è opportuno che i nidi abbiano i loro “Orientamenti educativi” e le scuole dell’infanzia le loro “Indicazioni nazionali per il curricolo”, per rendere possibile il raccordo curricolare con gli istituti comprensivi ormai generalizzati. Linee guida 0-6 potranno poi definire le prospettive di continuità…

Accompagnare i nuovi insegnanti

Anche il tema della formazione dei docenti è di quelli ‘caldi’: pensiamo alle polemiche sulla falcidia di candidati ai concorsi ordinari. Qualcosa non funziona: o nella preparazione universitaria o nelle procedure concorsuali. Comunque emerge una richiesta di serietà, rigore, competenza per tutti coloro che si apprestano a svolgere la professione docente e per le strutture che li preparano, li formano e li scelgono.

Ben venga dunque una formazione iniziale che si sposta fin dentro la scuola, in forma di praticantato e tirocinio prolungato per i futuri docenti, con progressiva assunzione dei compiti di insegnamento. Non dimentichiamo che già oggi si è rafforzata la formazione in ingresso (anno di formazione) per i docenti-neoassunti (d.m. 850/2015), con l’affidamento a un collega tutor di funzioni di accompagnamento, supporto e supervisione professionale. Di particolare rilievo i momenti di peer review tra i docenti e la collaborazione nell’elaborazione del patto per lo sviluppo professionale e del portfolio[3].

Formazione in servizio per tutti

La formazione in servizio non è compresa tra le deleghe perché già è operativo il Piano nazionale per la formazione, definita dalla legge 107/2015 come “obbligatoria, permanente, strutturale”[4]. Anche in questo caso ci si potrebbe attardare sul conteggio delle ore di formazione obbligatorie, ma forse è più conveniente cambiare criteri (non le ore, ma la qualità della formazione: laboratorio, studio individuale, sperimentazione in classe, lavoro on line, documentazione, ecc.).

Restano aperte numerose questioni, come la certificazione delle attività, il riconoscimento dei crediti maturati, l’equilibrio tra le esigenze della scuola e le scelte libere e personali dei soggetti, la spendibilità della formazione acquisita. Sono problemi che dovranno essere affrontati con un contratto di lavoro più coraggioso e con oculate soluzioni legislative.

Anche in questo caso si può procedere attraverso la delega per il riordino dello stato giuridico del personale, che rappresenta la ‘madre’ di tutte le deleghe, perché dovrebbe riassumere il nuovo quadro normativo d’insieme. Lo stato giuridico del personale è un tassello importante di questo assetto, ma poiché la materia è oggetto di interesse contrattuale, sarà necessario procedere con molta cautela, acquisendo un sostanziale via libera delle parti sociali.

E per il merito?

Anche sul problema del merito, che non è oggetto di delega, ma rimesso alla sperimentazione triennale delle scuole, è possibile ricucire il dialogo tra le parti, caratterizzandolo come ‘merito cooperativo’ piuttosto che ‘competizione per un premio’[5]. Il fondo per il merito si potrebbe trasformare in un fondo per promuovere la ricerca sull’insegnamento, sul lavoro d’aula, sui metodi più efficaci, riconoscendo l’impegno e il merito di quei docenti disponibili a sviluppare metodi innovativi, a documentarli e a metterli a disposizione dei colleghi. Non dimentichiamo che in molte realtà l’apprezzamento della qualità dell’insegnamento (lettera a del comma 129) non ha avuto luogo, proprio per mancanza di indicatori, evidenze, possibilità di verifiche. Tutti i docenti dovrebbero aspirare al merito, tutti dovrebbero diventare buoni insegnanti.

Il fondo del merito (200 milioni annui) è una risorsa, ma ancor più lo sono i fondi messi a disposizione per la formazione e il miglioramento della professionalità. Se sommiamo i fondi per l’organizzazione della formazione e quelli per la card per l’autoformazione, si arriva a circa 370 milioni annui. Appare, dunque, opportuno accantonare la logica della competizione che si intravede dietro l’erogazione (in busta chiusa!) di qualche incentivo, per mettere a punto strumenti e modalità (non necessariamente a pioggia) per incentivare lo sviluppo complessivo della comunità professionale, a partire dai docenti migliori e più motivati, riaprendo anche l’annosa questione delle figure intermedie o di staff, che sono le grandi dimenticate della legge 107/2015.

Cantieri aperti per la riforma ‘possibile’

Si possono riaprire molti cantieri, per mettere a punto soluzioni condivise anche sulle questioni più spinose, come l’assegnazione dei docenti alle scuole (più che la chiamata diretta) che dovrebbe essere affidata a una valutazione d’ingresso operata da una commissione del collegio dei docenti (recuperando per il dirigente la bella immagine di ‘costruttore di comunità’[6]. Perché le buone scuole sono ‘comunità professionali’. Analogamente si dovrebbe procedere per altre innovazioni, come l’organico di potenziamento che, correttamente impiegato, potrebbe trasformarsi in ‘carburante’ per far decollare nuovi spazi di autonomia organizzativa e didattica.

La speranza è che ‘buone deleghe’ possano riconciliare il popolo della scuola con le riforme necessarie, attraverso testi e provvedimenti agili e comprensibili (anche se le prime indiscrezioni parlano di testi assai laboriosi e dettagliati), per costruire la buona scuola da tutti auspicata.

 

[1] G. Cerini, Valutazione formativa: novità in vista?, in “Rivista dell’istruzione”, n. 4, luglio-agosto 2016, Maggioli, Rimini.

[2] G. Cerini, Zero-sei con il trattino, in “Scuola e Formazione”, n. 4, ottobre-dicembre 2016, Cisl, Roma.

[3] G. Cerini, Anno di formazione: step by step, in “Notizie della Scuola”, n. 9, 1-15 gennaio 2016, Tecnodid, Napoli.

[4] G. Cerini, Cosa cambia con la formazione in servizio obbligatoria?, in “Rivista dell’istruzione”, n. 2, marzo-aprile 2016, Maggioli, Rimini.

[5] G. Cerini, Il bonus per il merito: come sta andando?, in “Rivista dell’istruzione”, n. 5, settembre-ottobre 2016, Maggioli, Rimini.

[6] G. Cerini, Chi sono i dirigenti di nuova generazione?, in “Rivista dell’istruzione”, n. 1, gennaio-febbraio 2016, Maggioli, Rimini.

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