Riflessioni sul ddl 1577

Scarica PDF Stampa
Le riflessioni che seguono mirano a divulgare i contenuti della riforma contenuta all’art.9 del DDL n.1577 che riguarda la dirigenza in generale ed i segretari comunali in particolare. Per economicità del discorso omette il testo dell’art.9 licenziato dal Senato, mentre si concentrerà l’attenzione sulla ricostruzione ontologica della disposizione al fine di far emergere gli aspetti positivi, se ce ne fossero, e negativi, se ce ne fossero.

Dirigenza in Generale. La disposizione si articola sancendo la volontà di unificare i ruoli dei dirigenti in funzione di tre aree, in pratica corrispondenti alle aree di contrattazione collettiva nazionale: Stato, Regioni ed infine Enti di Area Vasta unitamente ai Comuni. Vengono eliminati i ruoli specifici risalenti a ciascuna Amministrazione Ministeriale e degli altri Enti Pubblici creando ruoli unificati (art.9, c.1, lett.b)).
Per i dirigenti statali rappresenta invero un ritorno al passato per quanto attiene al ruolo unico, risalente al d.lgs. n.29/1993 e superato solo nel 2002 con la modifica introdotta dalla c.d. “legge Frattini”. Sempre per i Ministeri viene altresì precisata l’eliminazione delle due fasce attualmente previste dall’art.23 del d.lgs. n.165/2001, novellato dalla riforma innanzi richiamata ed in particolare dall’art. 3 della L. 145/2002. Per le restanti aree, Regioni ed altri EELL, l’intervento rappresenta una novità.
L’assetto attuale radica il ruolo della dirigenza presso ciascun ente territoriale che, nell’ambito della propria autonomia, provvede alla selezione dei dirigenti incardinandoli nei propri ruoli.
Con il DDL 1577 tutto ciò viene superato. Ciascun Ente locale non dovrebbe più avere la facoltà di indire concorsi autonomi per l’assunzione della propria dirigenza, ma quest’ultima verrà attinta da un ruolo unico per le Regioni e per gli altri EE.LL. territoriali, il cui accesso sarà gestito ad un livello sovraordinato. Questo almeno si evince dall’art.9, c.1, lett.c) n.1, là dove si prevede una cadenza annuale del concorso per i tre ruoli (Stato, Regioni, altri EE.LL. territoriali) secondo criteri univoci.
Il sistema di assunzione richiama alla mente l’esperienza francese dove il reclutamento delle Amministrazioni Territoriali avviene in modo centralizzato a cura della Funzione pubblica territoriale.
Sotto questo profilo è indiscutibile che il modello teorico è francamente condivisibile, tuttavia emergono fin da subito alcune criticità che emergeranno nel corso della riflessione.
Nel sistema francese non è contemplata la possibilità di assunzioni a tempo determinato fuori dal ruolo, come viceversa è previsto in Italia dagli artt.19 del d.lgs. n.165/2001 e dall’art.110 del d.lgs. n.267/2000.
In Francia la facoltà di scelta della dirigenza da parte dei vertici politici locali è riconosciuta, ma prevale un rigido principio meritocratico del concorso pubblico che in Italia si fa fatica a rispettare, nonostante le esigenze di spending review. Si vedrà in conclusione come questo parallelismo comunque apprezzabile con il sistema francese, venga poi vanificato da una lettura più attenta circa le modalità di conferimento degli incarichi.
Altra differenza sostanziale riguarda i contenuti della delega e, considerate le premesse, l’elasticità dei meccanismi di reclutamento. L’art.9, c.1, lett.c), n.1, prevede che l’accesso ai ruoli possa avvenire attraverso corso-concorso o concorso. Nel primo caso i vincitori verrebbero assunti prima come funzionario e dopo quattro anni assunti come dirigenti dopo un “esame”. Qui arriviamo al paradosso. Il periodo di quatto anni di servizio del funzionario o dirigente in fieri, può essere ridotto in ragione dell’esperienza lavorativa nel settore pubblico o all’estero. In sostanza alla rigidità e chiarezza del modello francese, il modello italiano introduce principi fortemente elastici la cui applicazione è rimessa al legislatore delegato che, ad oggi, sembra fortemente incline al reclutamento intuitu persone e, con questo sistema, ampliare gli spazi per far maturare esperienze utili a velocizzare l’inserimento nei ruoli.
Sul fronte degli incarichi dirigenziali, si diceva dei tre ruoli unici nazionali e della novità assoluta per Regioni ed altri EE.LL. territoriali. L’art.9, c.1, lett.f), codifica quanto già oggi avviene, ovvero la osmosi tra i tre ruoli e dunque la possibilità per i vertici politici di conferire incarichi dirigenziali a soggetti appartenenti indistintamente ad uno dei tre.
La novità non è di poco conto. Fino ad oggi il conferimento di un incarico dirigenziale ad un soggetto non appartenente al ruolo dirigenziale dell’Amministrazione di appartenenza, passava attraverso gli strumenti dell’art.19 del d.lgs. n.165/2001 e dell’art.110 del Tuel, nei limiti percentuali ivi previsti, salvo l’ipotesi di mobilità da un ruolo all’altro. La novella contenuta nel DDL 1577 apre la strada ad un diverso meccanismo molto più elastico, o quanto meno così dovrebbe essere.
L’incarico dirigenziale a soggetti appartenenti ai tre ruoli è in pratica libero, creando un mercato “professionale” dei dirigenti. Se per un verso l’arricchimento professionale derivante dall’approccio a diverse esperienze è utile, è anche vero che il dirigente perde probabilmente in specializzazione che, in un ordinamento definito “alluvionale” per la quantità di interventi del legislatore, appare un fattore negativo.
I maggiori dubbi di legittimità costituzionale vertono tuttavia sul meccanismo di decadenza automatica dall’incarico esteso a tutta la dirigenza pubblica. L’art.9, c.1, lett.g), prevede per tutta la dirigenza un’automatica decadenza dell’incarico ogni 4 anni, rinnovabili di altri 2. La Corte Costituzionale ha già avuto modo di affermare, con la sentenza n. 103 del 2007 e con la 81/2010, che la cessazione automatica, ex lege e generalizzata, degli incarichi dirigenziali contrasta “con i principi costituzionali di buon andamento e imparzialità e, in particolare, «il principio di continuità dell’azione amministrativa che è strettamente correlato a quello di buon andamento dell’azione stessa”. Questa valutazione rimane ovviamente subordinata all’idoneità del procedimento di rinnovo attraverso avviso pubblico “facoltativo” indicato nella disposizione e se quel procedimento sarà caratterizzato da idonee garanzie per il dirigente non confermato.

Segretari Comunali. Arriviamo dunque alla disposizione che elimina una figura storica nell’ordinamento della P.A.: i segretari comunali. Il primo aspetto che è utile sottolineare, salvo difficili smentite da parte del legislatore delegato, riguarda la prefigurata “trasformazione” dei segretari comunali in Dirigenti Apicali. Dalla disposizione licenziata dal Senato non vi è traccia di tale postulato, salvo per il periodo transitorio che durerà fino ad un massimo di tre anni. L’art.9, c.1, lett.b) n.4, dopo aver sancito l’abrogazione dei segretari comunali, recita testualmente che alla dirigenza del presente articolo, quindi dell’intero articolo 9, verranno attribuiti compiti di attuazione dell’indirizzo politico, coordinamento dell’attività amministrativa e controllo di legalità. Il legislatore non dispone che ai novelli dirigenti ex segretari comunali sono attribuite queste “funzioni dirigenziali”, ma quelle funzioni (coordinamento, attuazione indirizzo politico, tutela legalità) potranno essere attribuite a tutte le categorie di dirigenti contemplate dall’art.9; altrimenti avrebbe dovuto esplicitamente collegare le funzioni a questa specifica categoria contemplata “nel presente numero”.
In sostanza viene definita una “funzione apicale” attribuibile a tutti i dirigenti, di ruolo e non di ruolo, salvo un periodo temporale di riserva per i segretari comunali. Questi confluiscono del resto nel mare magnum della dirigenza degli EE.LL. e in tal caso il legislatore è stato puntuale indicando quello contemplato al numero 3.
Quindi il primo dato da sfatare riguarda l’affermazione secondo cui i segretari comunali diventano di diritto Dirigenti Apicali, distintamente dagli altri dirigenti degli enti locali. I segretari comunali diventeranno dirigenti degli enti locali e, trascorsi fino ad un massimo di 3 anni, quella funzione di direzione apicale, potrà essere conferita a qualsivoglia dirigente dello Stato, delle Regioni o degli altri EELL territoriali. Verrà dunque meno la specificità del ruolo ed un domani gli ex segretari comunali, divenuti ufficialmente dirigenti, potranno o dovranno svolgere funzioni anche diverse da quelle della direzione apicale.
In molti esultano perché in compenso viene codificata l’appartenenza alla dirigenza dei Segretari Comunali di fascia A e B, confluendo gli stessi direttamente nel ruolo della dirigenza locale. Allo stesso modo sembra positiva la disposizione secondo cui confluiscono nei ruoli della dirigenza i segretari di fascia C dopo 2 anni. Non è dato capire quale sarà la specifica disciplina di accesso, ma si presume che, alla luce degli orientamenti della Corte Costituzionale, non potrà mancare un concorso pubblico, eventualmente con una quota di riserva.
Francamente questi ultimi due “risultati” appaiono più una vittoria di Pirro che altro. La giurisprudenza riconosceva ormai in modo consolidato la qualifica dirigenziale alle prime due fasce e, per quanto riguarda la fascia C, la prospettiva dell’accesso alle fasce superiori attraverso ulteriori corsi concorsi, era prevista ed attuata.
L’aspetto che appare evidentemente sottovalutato da coloro che esaltano i contenuti della riforma, riguarda la mancata distinzione del ruolo specifico rispetto al resto della dirigenza locale. Una già è stata espressa, ma la seconda probabilmente appare ancora più dirompente.
Se tutti i segretari comunali dopo la riforma saranno dirigenti locali, decorsi i tre anni, o il periodo inferiore che il legislatore delegato deciderà, la funzione di direzione apicale potrà essere non solo conferita a qualsivoglia dirigente di ruolo, ma potrà altresì essere conferita esternamente a soggetti non appartenenti ai ruoli della dirigenza, attraverso l’istituto attualmente disciplinato dall’art.110 del d.lgs. n.267/2000, o ancora ad altri dirigenti, cumulando la funzione con ulteriori incarichi.
Fino ad oggi l’incarico di segretario comunale non era fungibile.
Domani la Direzione Apicale, che non rappresenta, ripeto, un ruolo ma una sfera di competenze propedeutiche all’esercizio di una funzione, sarà attribuibile a terzi estranei ai ruoli o, nell’ottica del risparmio, cumulabile con altre funzioni dirigenziali.
I sostenitori della riforma potranno dire che una simile ricostruzione è fuorviante, ma è anche vero che nella delega non è in alcun modo prevista l’inconferibilità della direzione “apicale” con altre funzioni nell’ambito del medesimo ente. Allo stesso modo non vi è traccia di un’esclusività nell’attribuzione della funzione apicale a dirigenti di ruolo. Questo si traduce in una inesorabile riduzione dei posti.
Possiamo solo sperare che il legislatore delegato ci stupisca.
Questo significa che progressivamente i posti ricoperti dai segretari si ridurranno, con buona pace di chi difende la riforma come un grande risultato per la categoria degli ex segretari, e sarà molto alto il rischio di esuberi e di collocamenti in disponibilità proprio per gli appartenenti a questa .

Procedimenti di conferimento degli incarichi e di revoca. L’art.9, c.1, lett.f), prevede un procedimento di conferimento sulla base di criteri oggettivi predeterminati che in linea di massima escludono margini di discrezionalità da parte degli organi politici. Cosa diversa riguarda gli incarichi relativi ad uffici di vertice e gli incarichi corrispondenti ad uffici di livello dirigenziale generale. Per gli enti locali sarà ragionevolmente la c.d. “Direzione Apicale”.
In questo senso sembrerebbe crearsi una dicotomia tra incarichi dirigenziali, chiamiamoli circoscritti ad ambiti specifici e puntuali, rispetto agli incarichi dirigenziali chiamati a svolgere funzioni di “coordinamento generale di altri dirigenti e, ragionevolmente, di direzione nell’ottica del perseguimento degli obiettivi dell’organo politico.
Per i primi la disposizione fa riferimento alla definizione di requisiti predeterminati sotto il profilo delle competenze e delle esperienze professionali, alla complessità qualitative e quantitativa dell’incarico. La “regolamentazione” generale avviene a cura della Commissione. Successivamente ciascuna amministrazione definirà “i requisiti ed i criteri” nel “quadro” della disciplina generale ed in ragione delle specifiche esigenze. A questo punto la disposizione non contempla un intervento della Commissione e, salvo sorprese, si può presumere che ciascuna Amministrazione provveda autonomamente all’assunzione.
Quali saranno tuttavia i margini di autoregolamentazione di ciascuna amministrazione non è dato saperlo oggi. Quello che si può dire che la delega offre maglie larghissime là dove recita che saranno rilevanti “le attitudini” del singolo dirigente, aprendo spazi infiniti a valutazioni psico-attitudinali, i precedenti incarichi e le valutazioni, entrambe a influenzate dagli organi politici, le esperienze maturate anche nel settore privato, che di regola è estraneo ai dirigenti al servizio esclusivo della nazione.
La dicotomia nel procedimento di conferimento degli incarichi dirigenziali ordinari rispetto a quelli di vertice o generali, nasce dalla lettura della disposizione che suddivide con un punto e virgola, la disciplina generale, delineata in precedenza, rispetto a quella dei dirigenti generali e di vertice.
Per i dirigenti generali e di vertice la Commissione prevista dalla lett.b) dell’art.9, avrà il compito di espletare la preselezione e fornire una rosa di nomi all’organo politico. Questi provvede a scegliere in piena autonomia.
Quindi la Commissione di cui alla lett.b) svolge una funzione, per così dire, di amministrazione attiva, esclusivamente nel caso di incarichi di vertice e di direzione generale mentre, per le altre fattispecie, la Commissione assume meramente il ruolo di autorità di regolamentazione.
Se dunque la lett.f) della disposizione in esame dispone che gli incarichi dirigenziali non di livello generale, avvengano a cura dell’Amministrazione pubblica procedente mediante procedura con avviso pubblico, e questo perché diversamente dagli incarichi generali non contempla un intervento della Commissione, significa anche che i dirigenti generali, scelti dall’organo politico nell’ambito di una rosa di nomi secondo una valutazione fiduciaria, selezioneranno i dirigenti non di vertice da incaricare.
Entrambe le figure, è utile rammentarlo, avranno incarichi di quattro anni liberamente prorogabili.
Se tutto ciò non produce dubbi sull’autonomia della dirigenza che, a scanso di equivoci, dovrebbe essere al servizio esclusivo della nazione, significa negare l’evidenza.
Quest’ultima chiave di lettura sistematica delle disposizioni rileva anche che sotto il profilo ontologico siamo ben lontani da quel sistema meritocratico che il modello francese rappresenta. L’allontanamento del processo di selezione per l’iscrizione al ruolo della dirigenza dai vertici delle amministrazioni viene smentito dalle modalità di conferimento degli incarichi, svuotando di fatto il ruolo della Commissione ex lett.b) e radicando in capo al vertice politico la scelta della dirigenza generale o di vertice e, a cascata, degli altri dirigenti.

Alberto Bignone

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento