Omesso versamento IVA e crisi aziendale: come dimostrare assenza dolo?

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La Cass. pen. Sez. III, nella sentenza  n. 37301 del 9 settembre 2014 formula il seguente principio di diritto: l’imputato, accusato di omesso versamento dell’IVA, ex art. 10 ter del DL 74/2000, può invocare l’assenza del dolo o l’assoluta impossibilità di adempiere all’obbligazione tributaria assolvendo gli oneri di allegazione che, per quanto attiene alla crisi di liquidità, dovranno investire sia l’aspetto della non imputabilità al sostituto di imposta della crisi economica che avrebbe investito l’azienda, sia circostanza che detta crisi non possa essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso, da parte dell’imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto.

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Occorre cioè, secondo la S.C.,  la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un’improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili. La controversia è incardinata sulle seguenti determinanti processuali: la Corte d’Appello di Genova confermava la pronuncia del Tribunale di Massa che aveva riconosciuto il contribuente, per l’anno di imposta 2007, colpevole del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, (omesso versamento di IVA) e lo aveva condannato alla pena di giustizia, ritenendo irrilevanti le giustificazioni basate sulle difficoltà economiche dell’azienda. Da parte sua l’imputato ricorre per cassazione affidando, i motivi del ricorso, alle seguente censure:

a)    contrariamente a quanto desunto dalla Corte d’Appello, il comportamento del contribuente non era contraddistinto da dolo, in quanto l’omesso versamento dell’IVA fu determinato da mancanza di disponibilità economiche, avendo l’imputato tentato di far fronte ai debiti dapprima con risorse di altre società e poi con propri mezzi;

b)    non può esser attribuita all’imputato una responsabilità oggettiva sulla base delle dichiarazioni rese dal Curatore fallimentare. Peraltro una diversa interpretazione delle dichiarazioni rese da quest’ultimo, avrebbe portato a una diversa formulazione della sentenza, in quanto l’elevatezza del volume di affari, non comporterebbe de plano anche l’esistenza di elevati profitti, soprattutto laddove esiste, come nel caso di specie, una notevole esposizione debitoria.

Secondo la S.C. le censure sono fondate in quanto il debito IVA non era l’unico che la società aveva verso l’Erario, ma era l’unico rimasto insoluto: a fronte di una tale tesi difensiva, che tendeva, evidentemente, ad escludere l’intento di privilegiare altre classi di creditori piuttosto che il Fisco, il giudice di merito avrebbe dovuto spiegare perché riteneva non plausibile il tentativo di pagare tutti i debiti verso l’Erario, tentativo non riuscito per una dedotta impossibilità oggettiva. Nella condivisibile decisione della S.C., essendo il reato commesso nel p.i. 2007, avrà pesato l’inequivocabile orientamento assunto dalla Corte costituzionale. Giova rammentare che il Giudice delle Leggi, con la sentenza n. 80, dell’8 aprile 2014, ha  dichiarato l’illegittimità costituzionale della prefata norma  “nella  parte in cui, in relazione ad omissioni di  versamenti  realizzatisi  sino  al  17 settembre 2011,  è  prevista  una  soglia  di  punibilità  di  50.000  euro, inferiore  a  quelle  stabilite,  originariamente  e   fino   all’intervento modificativo concretizzatosi con il D.L.  n.  138/2011,  per  i  delitti  di omessa dichiarazione (euro 77.468,53)  e  di  dichiarazione  infedele  (euro 103.291,38), dovendosi ravvisare una disparità, a  sfavore  dell’autore  del mancato versamento, lesiva del principio di uguaglianza (art. 3  Cost.),  sì da reputare sussistente, per il reato in oggetto, il più alto limite di euro 103.291,38,  onde  evitare  la  violazione  del  diritto   garantito   dalla Costituzione”. Il Giudice delle Leggi ha dunque dichiarato l’illegittimità dell’art. 10 ter del D. Lgs. 74/2000, nella  parte  in  cui, con riferimento ai  fatti  commessi  sino  al  16  settembre  2011,  punisce l’omesso versamento dell’IVA, dovuta in  base  alla  relativa  dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo  di  imposta,  ad  € 103.291,38.

 

 

Piero Bertolaso

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