Considerazioni spicciole sul Broccoli Case

Sergio Franza 06/02/14
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Il cosiddetto ” Broccoli Case ” (caso G 2/13) pendente davanti l’Enlarged Board of Appeal dell’EPO (European Patent Office), riguarda la richiesta di brevetto del metodo di produzione di un broccolo contro cui sono state presentate due opposizioni in parte basate sulla non brevettabilità di nuove varietà vegetali e dei procedimenti essenzialmente biologici per ottenerle. Oltre a porre nuovamente sotto i riflettori il problema della brevettabilità delle forme di vita, fornisce lo spunto per alcune considerazioni sulle modalità di tutela utilizzate per difendere il patrimonio genetico, le conoscenze tradizionali e le varietà animali e vegetali italiane.
Nel 1999 la società Plant Bioscience Limited presentò all’EPO la domanda per ottenere un brevetto riguardante un metodo per la produzione un broccolo (Brassica oleracea) dotato di proprietà anticancerogene dovute ad un livello particolarmente alto di glucorafanina. La pianta miracolosa (attualmente commercializzata nel Regno Unito dalla Monsanto con il marchio Broccolo Beneforté) deriva da un broccolo selvatico siciliano che venne studiato da Richard Mithen, uno degli inventori del broccolo anticancro, nei primi anni ’80, durante una ricerca condotta in Sicilia. Le proprietà anticancerogene del Broccolo Beneforté sono espressione del corredo genetico del broccolo selvatico siciliano.
Nel giugno del 2002 il brevetto europeo venne concesso (brevetto EP 1 609 819), ma nel 2003 due società, Syngenta e Limagrain, si opposero alla decisione dell’EPO. Tra i motivi sui quali si fondavano le opposizioni, figurava la non brevettabilità in base all’art. 53 (b) della EPC (European Patent Convention). La norma prevede che non siano brevettabili “le varietà vegetali o le razze animali, come pure i procedimenti essenzialmente biologici per l’ottenimento di vegetali o di animali. Tale disposizione non si applica ai procedimenti microbiologici e ai prodotti ottenuti mediante questi procedimenti”. Le due società opponenti rilevavano che, essendo state usate tecniche tradizionali di ibridazione consistenti in procedimenti essenzialmente biologici, il metodo di produzione del nuovo broccolo non poteva essere brevettato, e la forma di protezione accordabile consisteva nella privativa per nuove varietà vegetali.
Il 23 novembre 2004 l’Opposition Board dell’EPO rigettò l’opposizione proposta da Syngenta e Lingrain e confermò la validità del brevetto concesso alla Plant Bioscience Limited.
Le due società si appellarono e dopo una prima decisione dell’Enlarged Board of Appeal loro favorevole, la modificazione dei claims brevettuali da parte della Plant Bioscience Limited vanificò sostanzialmente la vittoria di Syngenta e Lingrain. La Plant Bioscience, che in un primo tempo aveva chiesto il brevetto sul processo di produzione, adesso chiede che le venga riconosciuto il brevetto sul prodotto. L’Enlarged Board si dovrà nuovamente pronunciare sulla validità del brevetto tenendo conto delle modifiche apportate alle rivendicazioni brevettuali.
La complessità della procedura (più di 6.000 pagine di atti) non consente di dare conto in questa sede delle argomentazioni addotte dalle parti e dei profili procedimentali. Si tenga anche conto che oltre alle tre società direttamente coinvolte, sono state inviate più di venti memorie da parte di vari soggetti in qualità di amici curiae. Nessuna memoria è stata inviata da soggetti italiani, nonostante la questione riguardi risorse genetiche individuate in Sicilia, sulle quali l’Italia potrebbe avanzare delle pretese sulla base della Convenzione sulla Biodiversità, che riconosce agli stati la proprietà delle risorse genetiche del proprio territorio.
Il “Broccoli Case” avrà un notevole peso sugli sviluppi futuri dei brevetti nel settore agroalimentare, e suggerisce immediatamente due considerazioni.
La prima riguarda il mancato invio di memorie da parte di soggetti italiani in veste di amici curiae. Le associazioni degli agricoltori e la regione Sicilia avrebbero potuto argomentare pro o contro la concessione del brevetto alla Plant Bioscience e, soprattutto, esprimere la loro posizione sul tema della brevettabilità dei processi biologici e delle varietà animali e vegetali, segnalando implicitamente alle società impegnate nelle attività di bioprospecting l’intenzione di non assistere passivamente al saccheggio del proprio patrimonio di biodiversità.
La considerazione più importante, però, riguarda le strategie seguite nella difesa, valorizzazione e sfruttamento economico del patrimonio italiano di biodiversità, di produzioni tipiche e di conoscenze tradizionali.
Lo strumento più usato in Italia per la protezione dei beni immateriali nel settore agroalimentare è il marchio nelle sue varie forme, senza quasi prendere in considerazione brevetti e diritto d’autore. Così, ad esempio, ci si preoccupa (giustamente) di tutelare la mozzarella di bufala campana con il marchio DOP, mentre negli Stati Uniti la Leprino Foods è il più grande produttore al mondo di mozzarella, con vendite pari a $2,6 miliardi nel 2009 e basa la propria attività su oltre cento brevetti che riguardano formaggi (e in particolare mozzarella e similari per la preparazione di pizze). E’ vero che la mozzarella di bufala DOP è qualcosa di completamente diverso dalla mozzarella della Leprino Foods, ma è anche vero che forse c’è qualcosa da imparare da un modello di tutela e sfruttamento economico dei prodotti agroalimentari diverso da quello che utilizza quasi solo i marchi.
Un altro confronto significativo riguarda le diete. La dieta mediterranea è stata riconosciuta dall’UNESCO patrimonio immateriale dell’umanità, e l’Italia è uno dei Paesi ai quali è associata l’idea di dieta mediterranea. Dal momento del riconoscimento dell’UNESCO è iniziata tra alcune cittadine italiane la corsa ad accaparrarsi il titolo di culla della dieta mediterranea, per meglio sfruttare le potenzialità economiche ottenibili dall’associare il nome di un territorio alla dieta (in sostanza, attrarre turisti). Negli Stati Uniti, senza alcuna pretesa di ottenere riconoscimenti dall’UNESCO, la Weight Watchers International Inc., grazie ai brevetti su una dieta e sui prodotti collegati, ha ottenuto nel 2012 un profitto netto di $ 257.426.000 (nel 2011 il profitto netto generato è stato addirittura di $ 304.344.000 – Fonte: ANNUAL REPORT PURSUANT TO SECTION 13 OR 15(d) OF THE SECURITIES EXCHANGE ACT OF 1934 for the fiscal year ended December 29, 2012 della Weight Watchers International Inc.). Non si può brevettare la dieta mediterranea, ma è possibile brevettare una dieta ispirata ad essa e allo stesso tempo seguire (anche solo in parte) l’esempio della Weight Watchers, mirando ad estrarre profitti non solo dai turisti, ma anche da centinaia di milioni di persone che non visiteranno mai l’Italia. Va in questo senso l’iniziativa di un imprenditore, Antonio Ranaldo, che ha fondato una start-up denominata Chef Dovunque s.r.l. e che progetta di confezionare e distribuire kit predosati (brevettati) per realizzare primi piatti della cucina italiana. La strategia di internazionalizzazione punta su Europa, Stati Uniti, Australia, Cina e Giappone; invece di tentare di far venire in Italia i potenziali consumatori, si è deciso di portare ai consumatori la cucina italiana, in un certo senso imitando l’idea che ispira le quattro grandi catene di pizzerie americane (Domino’s, Pizza Hut, Papa John’s e Little Caesars) che si contendono un mercato mondiale che vale miliardi di dollari. Il successo di queste grandi catene è tale che, per quanto possa sembrare strano, moltissime persone negli Stati Uniti considerano la pizza un tipico piatto americano, non italiano.
In conclusione, sembra possibile affermare che il caso del Broccolo Beneforté pone in risalto la varietà di strumenti giuridici per la tutela dei beni immateriali e suggerisce l’adozione, in futuro, di altre strategie di protezione e valorizzazione economica oltre a quella basata sui marchi. E per ora, alla Sicilia va il vanto di aver dato all’umanità una nuova arma contro il cancro, alla Monsanto vanno i profitti.

Sergio Franza

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