Riforma condominio, come licenziare l’amministratore: tutti i casi

Redazione 22/11/12
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Come noto, la riforma del condominio appena convertita in legge conferisce molte più responsabilità agli amministratori, piantando paletti più stretti soprattutto per coloro che, ricoprendo tale ruolo, che non risiedono ufficialmente nella struttura che si trovano a dirigere.

A fronte di un arricchimento normativo e decisionale della figura dell’amministratore, la nuova legge include dei puntuali contrappesi per consentire agli inquilini di chiedere la revoca del mandato per la figura principale nella gestione dell’ente condominiale.

L’area su cui l’amministratore si troverà a svolgere più specificamente la propria funzione è quella economica-finanziaria dell’istituto, in primis tramite l’apertura di un conto corrente condominiale e, quindi, sulla copertura degli oneri cui è chiamato a rendere conto in virtù delle nuove norme sulla trasparenza, in primis quelli fiscali.

E sono proprio le omissioni in questo genere di doveri che mettono principalmente l’amministratore all’angolo, finendo per costituire base sufficiente per la sua rimozione dall’incarico.

Gli esempi di “gravi irregolarità” enunciati dalla nuova legge sul condominio possono essere veicolo di sollevamento dell’amministratore dal suo incarico qualora l’assemblea dei residenti si esprima favorevolmente a maggioranza dei partecipanti, che rappresentino almeno la metà dei millesimi.

Il licenziamento dell’amministratore può avvenire sia in seguito al pronunciamento del giudice, che dopo l’esposto di un singolo condòmino in sede di assemblea, che viene così chiamata a pronunciarsi sulla “sfiducia” al vertice della struttura.

La casistica di possibile benservito, in realtà, è molto ampia e mette l’amministratore in una condizione di continuo resoconto al cospetto dell’assemblea, in un quadro che assomiglia molto a un microcosmo democratico dove il “Parlamento” può porre la sfiducia nei confronti del “premier”.

Tra le possibilità di aprire una “crisi” di condominio, ecco che ci si può collegare alla mancata convocazione dell’assemblea per effettuare le regolari votazioni sui bilanci condominiali o qualora l’amministratore si faccia colpevole di un ingiustificato ritardo nella chiamata per l’elezione del suo successore.

Quindi, troviamo tra i comportamenti passibili di licenziamento, anche la non osservanza di disposizioni indicate direttamente dall’autorità giudiziaria, amministrativa o il mancato ottemperamento delle delibere approvate dall’assemblea dei residenti.

Inoltre, sul fronte economico, deve essere sempre ben distinto il patrimonio dell’amministratore da quello dell’ente chiamato a governare: ragion per cui, in caso emergano situazioni di incertezza tra il portafogli di uno e dell’altro, è possibile chiedere di rimettere il mandato.

Tra i compiti dell’amministratore, figura poi quello di tenere costantemente aggiornata l’anagrafe condominiale. Così, l’incuria di questo ulteriore obbligo è passibile di messa in discussione della figura di amministratore, così come l’aver redatto in maniera approssimativa i verbali delle riunioni.

Passiamo quindi, all’eventualità di eliminazione dai faldoni immobiliari delle specifiche per crediti inevasi, al pari delle ipoteche, o ancora, la troppa disattenzione verso gli inquilini morosi, in particolar modo dopo il sesto mese di mancato saldo dei servizi comuni: anche queste sono carte in mano ai condòmini per chiedere la revoca il loro “leader”.

Infine, l’amministratore deve essere molto attento anche sul versante comunicativo: divulgare informazioni inesatte o incomplete, in particolare sui pagamenti, oppure una comprovata omertà nei confronti dell’assemblea, o, ancor più gravemente, il silenzio su eventuali riscritture delle tabelle dei millesimi costituiscono comportamenti che possono pregiudicare seriamente il mandato dell’amministratore.

Naturalmente, l’essere decaduto per uno o più di questi comportamenti, comporta per l’amministratore l’impossibilità di accedere nuovamente alla carica.

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