Acquisto di merce con marchio contraffatto: illecito amministrativo, no reato penale

Redazione 15/06/12
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Non può configurarsi una responsabilità penale per il reato di ricettazione (art. 648 cod. pen.) o di acquisto di cose di sospetta provenienza (art. 712 cod. pen.) per l’acquirente finale di un prodotto con marchio contraffatto o comunque di origine e provenienza diversa da quella indicata, ma piuttosto l’illecito amministrativo previsto dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv. in l. 14 maggio 2005, n. 35, nella versione modificata dalla legge 23 luglio 2009, n. 99. Quest’ultima fattispecie va infatti considerata prevalente rispetto sia al delitto che alla contravvenzione previsti dal codice penale.

Lo affermano le Sezioni Unite Penali della Cassazione, con sentenza 8 giugno 2012, n. 22225.

L’imputato era stato condannato dalla Corte d’Appello di Brescia per tentata ricettazione, avendo posto in essere atti idonei e diretti in modo univoco a ricevere un orologio Rolex contraffatto, senza tuttavia riuscire nel proprio intento a causa dei controlli doganali.

Ravvisata l’ipotesi di particolare tenuità di cui all’art. 648 co. 2, i giudici di appello avevano applicato una pena sostitutiva pari a 2.480 euro, riconoscendo altresì il diritto al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, a favore della società Rolex.

Il legale dell’imputato proponeva così ricorso per cassazione, sostenendo che la condotta di acquisto di merce contraffatta ricadeva nell’ambito di applicazione dell’illecito amministrativo di cui all’art. 1, comma 7 del d.l. n. 35 del 2005, che punisce con la sanzione pecuniaria da 100 a 7.000 euro “l’acquirente finale che acquista a qualsiasi titolo cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l’entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà industriale“.

E proprio sullo sfondo delle due diverse qualificazioni – quella di ricettazione, applicata dalla Corte d’Appello, e quella di illecito amministrativo, avanzata dal difensore dell’imputato – prende forma un potenziale contrasto giurisprudenziale, oggetto dell’ordinanza di rimessione e adesso ridolto dalle Sezioni Unite.

Per la Suprema Corte il rapporto di specialità tra le due norme, che porta ad affermare il principio di diritto secondo cui si esclude la rilevanza penale della condotta de qua, trova fondamento:

1) con riguardo al soggetto agente, che, mentre per i reati codicistici può essere “chiunque”, per l’illecito amministrativo può essere il solo acquirente finale;

2) per l’oggetto, attesa la maggiore specificità delle “cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l’entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà industriale” rispetto alle “cose provenienti da delitto” di cui all’art. 648 cod. pen.;

3) per l’eliminazione della formula “senza averne accertata la legittima provenienza”, il cui venir meno consente di allargare l’ambito applicativo dell’elemento psicologico dell’agente, ammettendo indifferentemente dolo o colpa.

Qui la sentenza delle Sezioni Unite Penali della Cassazione, n. 22225/2012

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