La riforma del lavoro tra decreto legge e disegno di legge

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Davvero singolare il dibattito politico sulla riforma del mercato del lavoro.

Il Consiglio dei Ministri approva il disegno di legge “salvo intese” di riforma del mercato del lavoro e alcuni esponenti politici protestano.

Sulla stampa si leggono molte dichiarazioni di questo tenore: “La decisione di procedere alla riforma del lavoro con un disegno di legge anziché per decreto legge è una decisione molto grave che rischia di creare squilibri politici e modificare in peggio il risultato ottenuto su una riforma così importante“.

Altri esponenti si dichiarano “sollevati” dalla scelta del Governo.

Di fronte a tale scenario bisogna dare ragione a quei commentatori che, spesso cavalcando ad arte il diffuso malcontento dell’opinione pubblica, denunciano continuamente la crisi della politica e dei partiti.

I Parlamentari del nostro Paese considerano “grave” la decisione – per una volta costituzionalmente ineccepibile – di procedere con un disegno di legge, esercitando il diritto di iniziativa legislativa nelle forme ordinarie connaturate ad una democrazia parlamentare.

Da cosa deriva la preoccupazione di chi avrebbe preferito un decreto legge?

Forse dall’esigenza di “fare presto” per il bene del Paese!

Il Parlamento è sovrano e può farlo.

E’ sufficiente ricordare, in questa stessa legislatura, l’iter di un disegno di legge presentato dal Governo in forma ordinaria, come prevede la Costituzione: disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri il 27 giugno 2008 diventato legge, dopo ovviamente la deliberazione conforme delle due Camere, in Legge 23 luglio 2008 n. 124 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 25 luglio 2008.

Meno di un mese!

La Legge conteneva “Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato” poi dichiarate incostituzionali con sentenza della Corte n. 262/2009.

Ma non è questo che rileva in questa sede.

La vicenda dimostra che il Parlamento, ove rilevi l’urgenza per il Paese dell’approvazione di norme, può procedere anche in tempi brevissimi.

Anche i tempi brevissimi di conversione dei recenti decreti legge contenenti misure rilevanti in materia economica, sia i due decreti estivi del Governo Berlusconi che il decreto “salva Italia” del Governo Monti lo dimostrano ulteriormente.

Oppure le proteste derivano dal rischio di “modificare in peggio il risultato ottenuto su una riforma così importante”?!

Bollare come negativo per il Paese l’esercizio della democrazia parlamentare, perché il dibattito politico-parlamentare rischia di peggiorare la proposta del Governo, è la negazione stessa della democrazia.

Chi d’altra parte riscontra un “sollievo” nella decisione del Governo di procedere con disegno di legge, non tanto perché in tal modo si ha la possibilità di un ampio dibattito parlamentare su un tema che riguarda il futuro di tutti i cittadini quanto per le difficoltà interne di partito, non offre certamente un indizio dello stato di salute del nostro sistema politico.

E’ inutile nascondersi come il mito ottocentesco dell’onnipotenza della legge è tramontato, inducendo molti studiosi di diritto a parlare di “crisi della legge”, come da ultimo, in un recente seminario di studi e ricerche parlamentari, ha fatto il prof. Gianliborio Mazzola.

Nonostante la Costituzione sancisca il ruolo centrale dell’organo rappresentativo, il Parlamento, la prassi si è sempre più discostata dal disegno costituzionale essendosi rafforzato il potere dell’esecutivo.

Da questo nuovo assetto politico e sociale, caratterizzato da una società sempre più articolata e frammentata, sono scaturite una serie di conseguenze, tra cui: la violazione della separazione dei poteri; l’alterazione della forma di governo e degli equilibri istituzionali; la proliferazione di tante fattispecie normative.

Nell’attuale Legislatura tutto ciò ha assunto dei tratti paradossali e sempre più si è prodotto uno scambio di ruoli tra gli organi politici fondamentali del Paese: Parlamento e Governo.

Lo strumento legislativo cui ricorrere (esempio legge ordinaria, decreto legge, legge delega etc.) è deciso dal Governo; gli oggetti e le priorità su cui intervenire sono fissati dal Governo; il Governo si attribuisce altresì poteri legislativi, ad esempio, mediante il ricorso alle leggi delega od ad altri strumenti che saranno analizzati successivamente.

Una situazione simile ha indotto alcuni studiosi a parlare di «Governo legislatore» per indicare lo stato dei rapporti fra Governo e Parlamento.

Il procedimento legislativo ordinario è diventato “residuale” e le distorsioni delle procedure parlamentari sono evidenti.

A tutto ciò si aggiunge il frequente ricorso da parte del Governo alla “questione di fiducia” che di fatto impedisce la modifica di un testo legislativo ed obbliga il Parlamento ad una votazione finale su un articolato “preconfezionato”.

Spesso il Governo utilizza la decretazione d’urgenza per realizzare il proprio indirizzo politico e ricorre frequentemente a disposizioni che determinano un’auto-attribuzione di competenze a vantaggio di soggetti dell’Amministrazione attiva e più in generale del Governo.

Il Presidente della Repubblica è intervenuto ripetutamente, con lettere motivate, evidenziando: la scarsa qualità della legislazione; l’impossibilità da parte delle Assemblee parlamentari di effettuare un esame accurato; la difficoltà per gli uffici del Capo dello Stato di procedere ai relativi controlli.

Il Presidente della Repubblica ha così attribuito al Governo la responsabilità dell’eterogeneità e dell’ampiezza delle materie trattate e, nel contempo, ha cercato di stimolare il Parlamento a farsi carico in maniera più responsabile dei controlli sulle iniziative governative.

L’ultima lettera del Presidente della Repubblica del 23 febbraio 2012 è stata inviata ai Presidenti di Camera e Senato, Gianfranco Fini e Renato Schifani, nonché al Presidente del Consiglio, Mario Monti, per evidenziare i contenuti della sentenza n.22 del 2012 della Corte costituzionale.

Tale decisione della Corte ha annullato un articolo della legge di conversione del decreto-legge 29 dicembre 2010 n. 225 (cd. “mille proroghe”) per “estraneità alla materia ed alle finalità del medesimo”; la norma in oggetto , a giudizio della Corte, è stata approvata in violazione dello speciale procedimento di conversione in legge di un decreto-legge previsto dall’articolo 77 della Costituzione.

In questo scenario poco rassicurante è evidente che non è solo la legge ad aver perso il suo originario ruolo descritto dalla Costituzione, ma è l’intero sistema delle fonti normative a risultarne alterato.

L’inarrestabile perdita di centralità della legge può essere considerata causa ed effetto sia dell’indebolimento dell’istituzione parlamentare che del contestuale rafforzamento dell’organo esecutivo.

A tutto ciò si aggiunge la ridotta capacità di mediazione sociale del sistema dei partiti e soprattutto la “contestata lunghezza” del procedimento legislativo ordinario per cui il Governo non “disporrebbe” di tempi certi per l’esame dei testi normativi.

Ma quando come negli ultimi giorni vari esponenti politici di primo piano giungono a definire “grave” la decisione di seguire l’iter costituzionale ordinario di formazione della legge, allora forse la crisi sta diventando irreversibile.

C’è molto dunque da riflettere sul dibattito degli ultimi giorni, naturalmente sul merito della riforma su cui torneremo, ma anche sull’atteggiamento e sul ruolo delle forze politiche in un momento cruciale per il futuro del nostro Paese.

Carlo Rapicavoli

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