Allora, senatrice, come capirci qualcosa in questo caos? Davvero serviva anche il decreto?
Il decreto Irpef passato al Senato giovedì contiene l’emendamento che rinvia il pagamento della Tasi al 16 ottobre limitatamente a quei Comuni dove non si sia provveduto a deliberare l’aliquota entro il 23 maggio scorso. Poi, venerdì, il governo ha pensato di approvare in Consiglio dei ministri anche un decreto ad hoc per rendere immediatamente operativo lo slittamento. Con il passaggio alla Camera del decreto Irpef, forse, avrebbe potuto non esserci bisogno del provvedimento d’urgenza, ma evidentemente il governo ha preferito procedere in questo modo.
Il rinvio riguarda solo le prime case?
Nell’emendamento si parla di Tasi tutta, cioè per tutti gli immobili ad essa sottoposti, dunque non solo le prime case, ma anche gli uffici, i negozi, le banche e gli immobili strumentali. Naturalmente, tutti questi immobili dovranno pagare l’acconto nelle località dove sia stata deliberata l’aliquota, oppure passeranno al 16 ottobre come specificato nel testo.
Ma è vero che si pagherà di più rispetto agli anni scorsi? Negli ultimi giorni sono circolate diverse voci e il sottosegretario Delrio si è affrettato a smentire…
In linea di massima la Tasi non sarà più cara. Complessivamente, si pagherà di meno, essendo il massimo delle aliquote previste per la Tasi inferiore a quello relativo all’Imu. Ovviamente, ciò non toglie che nei Comuni dove l’aliquota sia rimasta più bassa nei mesi passati, ora sia potuta salire al 10,6 per mille, cioè al livello più alto consentito, chiedendo dunque qualcosa in più. Poi, dipenderà anche dai Comuni, ma chi era già al massimo non potrà più innalzare l’aliquota. Va comunque sottolineato che la Tasi, non essendo un’imposta sulla mera proprietà come l’Imu, vanta una maggiore distribuzione, tramite l’allargamento della platea dei soggetti coinvolti, anche agli inquilini.
Certo che contribuenti e Centri di assistenza sono in preda al panico, per dei calcoli complicatissimi e riferimenti normativi che cambiano di continuo…
Sulla Tasi, sappiamo che solo il 10% dei Comuni è pronto coi bollettini precompilati. Forse, sarebbe stato d’aiuto rimandare l’obbligo al 2015, risparmiando lo stress dei Caf o del commercialista, per arrivare, in qualche caso, a importi anche di poche decine di euro. Personalmente, non condivido questa impostazione di politica tributaria: servono istruzioni più semplici, come avviene con la Tares, ora Tari. Si riceve a casa il dovuto e, in caso, si chiedono conferme o si contesta a chi di dovere.
Quando esattamente la situazione sulla fiscalità immobiliare è sfuggita di mano?
Oggi, ricorrere al vecchio bollettino del 2008 risolverebbe molte grane che si affrontano quotidianamente quando si avvicina la scadenza. E invece, nell’arco di pochi anni siamo passati dall’Ici all’Imu, e poi dall’Imu alla Tasi. Lo scorso anno, sull’Imu prima casa ha pesato il veto di Berlusconi, ma, se devo dire la verità, a stupirmi è stato soprattutto l’atteggiamento della Lega Nord, perché, se c’è un’imposta federale, quella è proprio l’Imu.
E i Comuni in tutto questo? Da una parte lo Stato con le sue dispute politiche, dall’altra il cittadino-contribuente che deve faticare oltre l’inverosimile per svolgere una delle azioni meno gradite in assoluto: pagare una tassa…come ne escono gli enti locali?
Con il decreto-emendamento sulla Tasi, si è cercato di venire incontro a un grosso problema di liquidità per i Comuni che non hanno deliberato in tempo l’aliquota, cioè alla liquidità immediata garantita dal gettito della tassa sulla casa, che serve a coprire servizi fondamentali. Il governo ha assicurato che elargirà un anticipo del 50%, un esborso che dovrebbe essere pari a 6-700 milioni di euro.
Certo che in tutto questo l’ennesimo rinvio dei bilanci comunali non ha certo aiutato. Che ne pensa?
Da una parte, c’è una confusione di regole. I Comuni per completare il bilancio e con loro molti revisori dei conti, in assenza di normativa chiara, preferiscono rimandare fino a che non saranno arrivati chiarimenti definitivi nella varie materie in gioco. Dall’altra parte, c’è il vizio di saltare la predisposizione dei bilanci a dicembre. In questo modo, è obbligatorio per gli enti iniziare l’iter di approvazione del bilancio già a settembre, quando, invece, le priorità sono altre. Di solito, si comincia con calma a novembre e, fino a che veniva concessa una proroga al 28 febbraio, la cosa poteva anche essere tollerata, ma ora questi continui rinvii hanno certamente contribuito a creare l’incertezza sulle aliquote che conosciamo.
Cosa si dovrebbe fare?
Sicuramente, mettere ordine ai controlli di gestione, definendo tempi certi e stretti per il raggiungimento degli obiettivi e per l’approvazione dei bilanci. In questo senso, il 2013 è stato l’annus horribilis. Poi, perché respingere le variazioni di bilancio? Queste si possono sempre fare nell’anno in corso.
Non crede che anche da parte dei Comuni manchi un po’ di autocritica? Abbiamo visto l’Anci, con il presidente Piero Fassino, fiondarsi a palazzo Chigi per chiedere il rimborso della Tasi, ma se mancano le delibere…
Ognuno si deve assumere un pezzettino di responsabilità, Fassino in qualità di rappresentante svolge naturalmente la sua funzione. In generale, comunque, credo che l’Anci dovrebbe spendersi di più per definire obiettivi chiari nei confronti dei dirigenti e per le regole e il loro rispetto nei tempi giusti.
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