Avvocati, la Corte di Giustizia dice sì alle tariffe massime previste dal decreto Bersani

Redazione 30/03/11
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La Corte di Giustizia, con decisione depositata ieri, ha sancito che l’obbligo per l’avvocato italiano di “rispettare le tariffe massime in materia di onorari non viola gli articoli 43 e 49 del Trattato CE, perchè non è d’ostacolo all’accesso al mercato e, dunque, alla concorrenza”.

La Commissione europea aveva chiesto alla Corte di Bruxelles di “constatare che, prevedendo disposizioni che impongono agli avvocati l’obbligo di rispettare tariffe massime, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 43 CE e 49 CE”.

1. La norma incriminata contenuta nel decreto Bersani

Il decreto legge 4 luglio 2006, n. 223 (GURI n. 153, del 4 luglio 2006), convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248 (GURI n. 186, dell’11 agosto 2006), c.d. «decreto Bersani», è intervenuto sulle disposizioni in materia di onorari d’avvocato. L’art. 2 del predetto decreto, intitolato «Disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore dei servizi professionali», ai suoi nn. 1 e 2, dispone quanto segue:

«1. In conformità al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonché al fine di assicurare agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali:

a)      l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti;

(…)

2.      Sono fatte salve le disposizioni riguardanti (…) le eventuali tariffe massime prefissate in via generale a tutela degli utenti. Il giudice provvede alla liquidazione delle spese di giudizio e dei compensi professionali, in caso di liquidazione giudiziale e di gratuito patrocinio, sulla base della tariffa professionale (…)».

2. Il ricorso della Commissione contro le tariffe massime

Secondo la Commissione, “un tariffario massimo obbligatorio, che si applichi indipendentemente dalla qualità della prestazione, dal lavoro necessario per effettuarla e dai costi sostenuti per attuarla, potrebbe rendere il mercato italiano delle prestazioni legali non attraente per i professionisti stabiliti in altri Stati membri”.

Ed ancora: “il margine di guadagno massimo è fissato indipendentemente dalla qualità del servizio prestato, dall’esperienza dell’avvocato, dalla sua specializzazione, dal tempo da lui dedicato alla causa, dalla situazione economica del cliente, e, ancor più, dall’eventualità che l’avvocato sia tenuto a spostarsi per lunghi tragitti”.

Insomma, “il sistema di tariffazione italiano pregiudica la libertà contrattuale dell’avvocato impedendogli di fare offerte ad hoc in determinate situazioni e/o a clienti particolari”.

Con la conseguenza che “Le disposizioni controverse potrebbero comportare una perdita di competitività per gli avvocati stabiliti in altri Stati membri perché esse privano gli stessi di efficaci tecniche di penetrazione nel mercato legale italiano”.

3. Il giudizio della Corte

“Le tariffe massime applicabili agli onorari degli avvocati costituiscono norme giuridicamente vincolanti in quanto sono previste da un testo di legge[decreto Bersani, n.d.r.].

Infatti, anche considerando che gli avvocati e i loro clienti sono, in concreto, liberi di pattuire contrattualmente il compenso degli avvocati su base oraria o a seconda dell’esito della causa, “resta nondimeno il fatto che le tariffe massime continuano ad essere obbligatorie nell’ipotesi in cui non esista un patto tra gli avvocati e i clienti”.

Ciò posto, “una normativa di uno Stato membro non costituisce una restrizione ai sensi del Trattato CE per il solo fatto che altri Stati membri applichino regole meno severe o economicamente più vantaggiose ai prestatori di servizi simili stabiliti sul loro territorio” (v. sentenza 28 aprile 2009, Commissione/Italia, cit., punto 63 e giurisprudenza ivi citata).

Una restrizione del genere esisterebbe solo se detti avvocati fossero privati della possibilità di penetrare nel mercato dello Stato membro ospitante in condizioni di concorrenza normali ed efficaci” (v., in tal senso, sentenza CaixaBank France, cit., punti 13 e 14; 5 dicembre 2006, cause riunite C‑94/04 e C‑202/04, Cipolla e a., Racc. pag. I‑11421, punto 59, nonché 11 marzo 2010, causa C‑384/08, Attanasio Group, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 45).

Allo stato, non c’è prova della superiore impossibilità di penetrazione, ed anzi “la normativa italiana sugli onorari è in atto caratterizzata da una flessibilità che sembra permettere un corretto compenso per qualsiasi tipo di prestazione fornita dagli avvocati”.

Qui il testo integrale della sentenza della Corte.

Redazione

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