La misura era stata richiesta a seguito di un comportamento persecutore con ripetute minacce telefoniche ricevute dalla vittima da parte della moglie di un collega.
I giudici si erano pronunciati respingendo la richiesta di misura cautelare, precisando che era necessario dimostrare concretamente la lesione attraverso una perizia medica che accertasse lo stato di disagio della vittima.
La Suprema Corte, ritenendo troppo ristretto l’ambito di applicazione della misura cautelare definito dai giudici, hanno stabilito, invece, che “non è necessario che la molestia debba sfociare in una patologia conclamata, ed anzi la tutela cautelare deve essere apprestata prima che il disagio sfoci in vera patologia”.
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