Spending review: la nuova panacea

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Ecco la nuova panacea: la spending review!

Ed ecco l’uomo dei miracoli, il supercommissario Bondi, che annuncia per settembre il “redde rationem” della spesa pubblica.

E come sempre – stando agli annunci che temo non saranno smentiti – l’attenzione è sempre puntata sulle autonomie locali nei quali ci sarebbero eccessi di spesa per decine di miliardi.

Da cosa siano determinati questi eccessi di spesa non è dato sapere né si conoscono le fonti di dati che conducono a questa conclusione.

Eppure la Relazione della Corte dei Conti sulla gestione finanziaria degli Enti Locali negli esercizi 2010 – 2011 ci delinea un quadro diverso e fornisce dati di valutazione fondamentali che dovrebbero orientare, in modo diametralmente opposto a quello attuale, gli interventi sulla finanza locale da parte del Governo.

Dalla relazione emerge infatti che i risultati della finanza locale nel 2011 hanno già risentito pesantemente delle manovre anti-crisi.

Vediamo allora su quali aspetti sembra orientarsi l’intervento del Governo orientato dal supercommissario.

Innanzitutto la centralizzazione degli acquisti dei beni e dei servizi tramite la CONSIP. Una soluzione nuova: è sufficiente ricordare che la previsione è già contenuta nell’art. 26 della Legge 23 dicembre 1999 n. 488! Era necessario un super tecnico per ribadire questa soluzione?

E’ vero, nelle forniture si possono annidare sprechi. Ma è sufficiente fissare limiti massimi nei parametri prezzo – qualità; sarebbero i costi e i fabbisogni standard di cui sembra si siano perse le tracce nella valutazione del Governo sebbene il processo di raccolta ed elaborazione dei dati continua senza aver più ben chiaro a che scopo.

Preoccupano invece le modalità di rilevazione dei dati, questi non solo annunciati ma contenuti nella Legge 135/2015.

L’art. 16 indica come parametro proporzionale per i tagli agli Enti Locali le spese sostenute per consumi intermedi desunte, per l’anno 2011, dal SIOPE.

Parametrare il taglio ai consumi intermedi attesta di fatto la volontà di non voler tenere conto né della razionalizzazione già avviata e realizzata da parte di alcuni enti, nonché la incapacità di individuare, effettivamente quella ancora da fare.

E’ facile incorrere in un equivoco di fondo: intendere i consumi intermedi come le spese di funzionamento (penne, carta, attrezzature informatiche, affitti, arredi, auto blu, ecc.).

Un tema questo su cui si dibatte da anni ed affrontata dal Governo ribadendo la norma che sancisce la nullità dei contratti che non siano stati stipulati attraverso gli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip.

Ma poiché il fulcro dell’analisi del Governo appare essere il consumo intermedio di ogni singolo ente, sarebbe stato necessario, preliminarmente, entrare nel merito della natura del concetto di “consumo intermedio”, come desunto dalla banca dati Siope, cui fa riferimento l’art. 16 del D. L. 95/2012.

Sarebbe stato agevole rilevare come nelle spese per “consumi intermedi” rientrano voci ben più consistenti delle spese di funzionamento, molto diverse anche per Enti dello stesso comparto in ambito nazionale, e che certamente non possono essere prese come riferimento per parametrare l’entità dei tagli, soprattutto se questi devono essere realizzati“con invarianza dei servizi ai cittadini”.

Va ricordato che la spesa dei Comuni e delle Province per consumi intermedi contiene valori per l’acquisto di servizi pubblici locali che vengono erogati ai cittadini, a differenza di quella dello Stato.

Per le Province ad esempio i consumi intermedi ammontano a circa 3,7 miliardi di euro, ovvero la spesa corrente (8,45 miliardi) cui sostanzialmente viene detratta la spesa per il personale (2,223 miliardi) e i trasferimenti correnti ad altri soggetti della PA (1,51 miliardi), oltre agli interessi passivi.

Il taglio di 500 milioni, peraltro, viene ad intaccare l’anno 2012 e dunque i bilanci in corso; le Province dovrebbero dunque, negli ultimi 5 mesi dell’anno 2012, contrarre i propri consumi intermedi di oltre il 13% su base annua (e dunque quasi il 26% il doppio se consideriamo che si deve agire sui 6 mesi rimanente del 2012).

Le voci più significative che compongono la spesa per consumi intermedi delle Province sono le seguenti:

 

Contratti di servizio per trasporto pubblico locale

 

€ 1.134.092.057,89

 

Corsi di formazione professionale

 

€    367.644.864,69

 

Manutenzione ordinaria e riparazioni di edifici scolastici e viabilità

 

€    243.070.520,38

 

 

Queste tre voci prese ad esemplificazione (e che assommano a circa la metà dei consumi intermedi), rappresentano servizi ai cittadini, non sprechi aggredibili:

–        stiamo infatti parlando di trasporto pubblico locale e di formazione professionale, ovvero di due rilevanti funzioni assegnate da quasi tutte le Regioni alle Province con propria legge;

–        ma stiamo anche parlando di manutenzione degli immobili ovvero degli oltre 5000 edifici scolastici, della intera viabilità provinciale nonché dell’intero patrimonio immobiliare delle Province.

Non tutte le Province inoltre svolgono i medesimi servizi perché il sistema di conferimento di funzioni e servizi alle Province da parte delle Regioni in virtù del Titolo V, parte II, della Costituzione, non è omogeneo nel territorio nazionale.

Analoghe considerazioni andrebbero fatte per i Comuni.

Pertanto, rapportare i tagli all’entità dei consumi intermedi rilevati dai dati SIOPE, comporta paradossalmente di tagliare in proporzione maggiore a quelle Amministrazioni che erogano più servizi, indipendentemente dalla loro efficienza ed economicità.

In più bisogna considerare come l’utilizzo dei soli consumi intermedi per parametrare il taglio delle risorse, comporta matematicamente il riconoscimento di un vantaggio agli enti che hanno una più elevata incidenza delle spese di personale sulla spesa corrente, in perfetta antitesi con le politiche di limitazione delle spese di personale operate da diversi anni a questa parte in tutti i settori della Pubblica Amministrazione.

Tradotto in modo ancora più chiaro significa che i tagli saranno più incisivi a carico di quelle Amministrazioni che erogano più servizi, a prescindere dalla virtuosità dei bilanci o dalla spesa del personale.

Paradossalmente un ente che spende le risorse correnti solo per la spesa del personale e non eroga servizi, con questi criteri, non subirebbe alcun taglio!

Inoltre occorre rilevare che la norma interviene in una fase avanzata dell’anno e la ripartizione delle riduzioni tra i Comuni e le Province  saranno note solo il 15 ottobre, cioè a soli 2 mesi dallo scadere dell’esercizio finanziario.

Tale circostanza renderà ancora più difficoltoso per tutti gli Enti il conseguimento degli obiettivi del patto di stabilità interno rideterminati per tener conto degli importi delle riduzioni da operare.

Di tutto questo il Commissario Bondi ha tenuto conto?

Torna il solito tema delle “auto blu”.

Il decreto sulla spending review prevede che “A decorrere dall’anno 2013, non si possono effettuare spese di ammontare superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell’anno 2011 per l’acquisto, la manutenzione, il noleggio e l’esercizio di autovetture; tale limite può essere derogato, per il solo anno 2013, esclusivamente per effetto di contratti pluriennali già in essere”.

Cadendo nella solita demagogia, si effettuano tagli indiscriminati che non distinguono fra auto di rappresentanza e i mezzi di servizio utilizzati dai tecnici di cantiere, dai messi comunali e da tutte le necessarie attività di servizio.

Fortunatamente si registra il buon senso di escludere dal taglio le autovetture utilizzate per i servizi istituzionali di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica  e quelle per i servizi sociali e sanitari.

Altro esempio di come, nella logica dei tagli, si utilizzi un modello di Pubblica Amministrazione rapportata all’amministrazione centrale dello Stato, ai Ministeri e non all’amministrazione locale.

Accade così che auto di servizio diventa l’auto di rappresentanza con autista e non la piccola utilitaria, il furgone, il mezzo di lavoro indispensabile per rendere servizi ai cittadini.

Ma ciò che stupisce e preoccupa di più è l’assenza di ogni approfondimento sulle funzioni.

La vera spending review può essere ottenuta solo attraverso un riordino delle funzioni!

Si parla tanto del riordino delle Province come rimedio a molti mali del nostro Paese ma nulla si dice su quella pletora di enti intermedi, e poltrone intermedie, di cui nessuno parla, che sarebbe stato molto più semplice e rapido ed economico sopprimere, concentrandone le funzioni sulle Province.

Silenzio tombale anche su un altro aspetto non proprio secondario: ma prima di trasferire da una parte o dall’altra le attuali funzioni, qualcuno si è chiesto quali sono essenziali, quale sia la dimensione ottimale per il loro esercizio e quali non abbiano più senso?

Ognuna ha un costo per l’amministrazione e per i cittadini e fa perdere tempo.

Semplificare è doveroso, se serve davvero che rimanga un controllo pubblico, e se i benefici giustificano i costi.

Ma la vera semplificazione sta nel ridurre i procedimenti burocratici ormai insensati, che paghiamo due volte, come utenti e come contribuenti.

Andrebbero eliminate tutte le duplicazioni, individuato un unico Ente competente per materia senza che per avviare un’opera o effettuare un intervento siano necessari decine di pareri con una polverizzazioni di funzioni e competenza che si traducono spesso in una polverizzazione delle responsabilità.

Perché dunque non abolire i vari ATO (rifiuti e acqua), le ATER, i Consorzi di Bonifica che sono più di uno in ogni Provincia, consorzi vari, comunque tutti gli Enti con funzioni locali sovra comunali, dove proliferano presidenti, amministratori, direttori, ecc., per assegnare le relative funzioni a Comuni e Province?

Si semplificherebbero procedure amministrative, si risparmierebbero senz’altro molti più soldi di quelli che si risparmierebbero con l’abolizione delle Province e vi sarebbe un maggiore coordinamento delle diverse attività sovra comunali.

Concentrare nei vari livelli istituzionali Comuni, Province, Regioni e Stato, soggetti al controllo dei cittadini elettori, tutte le funzioni – eliminando consigli di amministrazione non eletti ma nominati, strutture, uffici spesso sconosciuti ai cittadini – costituirebbe la vera semplificazione amministrativa e un’effettiva riduzione dei costi.

Non è una rivoluzione: è applicare la Costituzione.

Art. 118: “Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza”.

Oggi sta accadendo esattamente il contrario.

Carlo Rapicavoli

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