Professione avvocato, rigorose le Sezioni Unite sull’esercizio abusivo

Lilla Laperuta 14/02/13
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Non può sostenersi che gli atti di esercizio abusivo della professione di avvocato siano esclusivamente quelli posti in essere davanti ad un giudice; per realizzare il reato contemplato dall’art. 348 c.p. è sufficiente che il soggetto non abilitato curi pratiche legali dei clienti o predisponga ricorsi, anche senza comparire in udienza”.

Questo, in sintesi, il principio affermato dalle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione nella sentenza n. 22266 depositata il 7 dicembre 2012. Nell’occasione il Supremo Collegio ha ritenuto fondata la responsabilità disciplinare accertata dal Consiglio nazionale forense che aveva respinto il ricorso proposto avverso la sanzione dell’avvertimento inflitta dal Consiglio dell’ordine ad un avvocato per aver agevolato l’esercizio abusivo della professione da parte del fratello, cancellato dall’albo, consentendogli di trattare pratiche legali nel suo studio. Il comportamento del professionista incolpato, seppure regolarmente iscritto, concreta di fatto una violazione dell’art. 21 del codice deontologico, e, in particolare del canone II.

Come già evidenziato dal Supremo Collegio, l’iscrizione all’albo è imposta da norma cogente quale condizione inderogabile per l’esercizio della professione e il richiamato art. 348 del codice penale è, pertanto, “norma penale in bianco, che presuppone l ‘esistenza di norme giuridiche diverse, qualificanti una determinata attività professionale, le quali prescrivano una speciale abilitazione dello Stato ed impongano l’iscrizione in uno specifico albo” (si veda sul punto Cass. Pen. Sez. VI, sent. 27449/2011).

Attualmente, nel sistema di norme che richiedono l’iscrizione all’albo ai fini dell’esercizio della professione si annovera:

– l’art. 2229 del codice civile, a norma del quale la legge determina le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi;

– l’ art. 1 R.D.L. 1578/1933 (legge professionale), laddove è stabilito che nessuno può assumere il titolo, né esercitare le funzioni di avvocato se non è iscritto nell’albo professionale;

– l’art. 2 L 247/2012 (nuova disciplina della professione forense) nel cui comma 3 si afferma che l’iscrizione ad un albo circondariale è condizione per l’esercizio della professione di avvocato, mentre al comma 7 è previsto che ’uso del titolo di avvocato spetta esclusivamente a coloro che siano o siano stati iscritti ad un albo circondariale, nonché agli avvocati dello Stato.

La ratio di tali previsioni, sembra utile evidenziare, è volta :

a) da un lato a tutelare il buon andamento della pubblica amministrazione , finalità protetta dall’art. 97 Cost.;

b) dall’altro a salvaguardare l’interesse dei cittadini ad ottenere prestazioni altamente qualificate.

 

Lilla Laperuta

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