Pensioni avvocati, è scontro sul contributo minimo. Lettera al ministro

Redazione 18/02/14
Scarica PDF Stampa
Avvocati, è allarme pensioni. Con il nuovo regolamento della Cassa forense, monta la rabbia dei giovani membri del foro, che si scagliano fortemente contro il contributo obbligatorio

Come avevamo già messo in luce nelle scorse settimane, infatti, il nuovo regolamento della Cassa obbliga al versamento dei contributi, a meno di cancellare la propria iscrizione dagli elenchi dell’ordine.

Lo scopo di questa norma, ovviamente, è quello di far emergere i professionisti che si fregiano del titolo pur senza esercitare realmente l’attività forense. Al contempo, però, questa nuova disposizione comporta anche il pagamento di contributi obbligatori ai giovani professionisti che non raggiungono il tetto minimo di 10mila e 300 euro all’anno di reddito.

Ora, invece, per i primi cinque anni, i giovani professionisti dovranno versare 800-850 euro all’anno, comprensivo di contributo soggettivo di base e contributo di maternità. Poi, fino all’ottavo anno, il contributo passerà a 1200 euro, che faranno comunque parte della fase iniziale a regime agevolato. Quando la riforma entrerà in attuazione, la previdenza degli avvocati ai “minimi” sarà pari a 3700 euro l’anno.

Così, all’indomani della diffusione della notizia sui nuovi limiti minimi di contribuzione, i giovani avvocati protestano. Su Facebook sono nati alcuni gruppi di pressione, che hanno condotto alla scrittura di una lettera formale al ministro uscente del Lavoro.

Di seguito, il testo della lettera al ministro Giovannini

Al Ministro del Lavoro e Politiche Sociali
On.le Prof. Enrico Giovannini
Via Veneto n.56
00187 Roma (Rm)

OGGETTO: richiesta di sospensione del procedimento di approvazione del regolamento di attuazione dell’art.21 commi 8 e 9 L. n.247/2012, emanato dal Comitato dei Delegati della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense nella seduta del 31 gennaio 2014.

Onorevole Ministro Giovannini,
Le scriviamo in merito all’emanato regolamento di attuazione ex art.21 commi 8 e 9 L. n.247/2012, approvato dal Comitato dei Delegati della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense nella seduta del 31 gennaio 2014 e attualmente sottoposto alla Sua attenzione per l’approvazione.
Il testo diffuso dalle agenzia di stampa e da alcuni colleghi, verosimilmente identico nel contenuto a quello giunto presso il suo dicastero, ha disatteso totalmente le aspettative delle migliaia di avvocati attualmente in difficoltà economiche.
Trattasi di una vera e propria ingiustizia poiché il regolamento rappresenta a tutti gli effetti uno strumento giuridico ideato per costringere circa venti mila professionisti privi di adeguato reddito a cancellarsi dall’albo o, ad essere cancellati a seguito di azione disciplinare.
L’idea secondo cui il regolamento rappresenterebbe una mediazione tra gli interessi di questi ultimi e le esigenze di equilibrio di bilancio come prontamente si sono affrettati a diffondere alcuni giornali evidentemente di parte e alcuni nostri rappresentanti, non corrisponde al vero.
Da mesi, infatti, abbiamo messo in guardia il Comitato dei Delegati dal tentativo di adottare un regolamento in palese violazione dei principi costituzionali di proporzionalità, equità e progressività contributiva, oltre che di uguaglianza.
Il nostro accorato suggerimento è stato puntualmente disatteso, né alcuna considerazione è stata riservata a quella parte di avvocatura da noi rappresentata.
Prima di illustrare brevemente le nostre ragioni è d’obbligo fare una premessa: anteriormente alla riforma forense l’obbligo dell’iscrizione alla Cassa Forense era previsto esclusivamente a carico dei professionisti con redditi al di sopra dei 10 mila euro.
Fa specie che in un momento storico attraversato da una gravissima crisi economica, un legislatore abbia potuto pensare di aggravare la tenaglia contributiva a carico delle fasce deboli, in nome del principio di equilibrio di bilancio della Cassa Forense.
Onorevole Ministro questa rappresenta una scusa bella e buona dacché da più parti ed in più occasioni illustri nostri esponenti non hanno perso tempo nel distinguersi affermando che nel futuro l’accesso alla avvocatura dovrà essere riservato esclusivamente al professionista in grado di potersi permettere un adeguato reddito di ingresso. Principio anacronistico apertamente ispirato ad un sistema tutt’altro che meritocratico, perché relega la libera professione a pochi eletti secondo criteri “familistici”.
Crediamo che Lei concordi con noi nello stigmatizzare opinioni palesemente in violazione dei più basilari principi di diritto, dettate più per spirito di conservatorismo di alcune caste che di salvaguardia dell’onore e della dignità della professione forense.
Ma andiamo ai fatti.
Prima dell’entrata in vigore del regolamento in esame, i contributi dovuti dagli iscritti a regime ordinario per ogni anno di iscrizione alla Cassa si distinguevano in contributo soggettivo (per il 2013 €.2.700,00), integrativo (per il 2013 €.680,00) e di maternità (per il 2013 €.132,00), mentre nel medesimo periodo le agevolazioni per i professionisti a basso reddito prevedevano una contribuzione ridotta comprensiva di due soli contributi, soggettivo e maternità, pari a circa €1.800,00 per i primi cinque anni di iscrizione.
Con l’entrata in vigore del nuovo regolamento le dette agevolazioni sono state lievemente incrementate ma nessuna ipotesi di esenzione o proporzionalità è stata introdotta come invece da più parti si auspicava.
Difatti, per i professionisti percettori di redditi professionali ai fini IRPEF inferiori a € 10.300,00 il regolamento attuale ha previsto la riduzione della metà del solo contributo soggettivo e limitatamente all’arco temporale relativo ai primi otto anni di iscrizione alla Cassa, introducendo altresì il contributo integrativo prima escluso in aggiunta a quello già previsto di maternità.
Coloro i quali si avvarranno del periodo di contribuzione agevolata, avranno riconosciuto un periodo di contribuzione di sei mesi in luogo dell’intera annualità sia ai fini del riconoscimento del diritto a pensione sia ai fini del calcolo della stessa, mentre prima la stessa contribuzione ridotta valeva per intero, seppur legata al requisito del reddito minimo conseguito.
Come può evincersi, l’importo contributivo agevolato attuale si discosta lievemente dal precedente regime (per circa 200/300 euro) e garantisce solo sei mesi di contribuzione previdenziale anziché dodici.
Dopo gli otto anni, gli avvocati saranno costretti a versare il contributo ordinario (circa €.3.700,00 odierno), quasi a ben sperare in una ripresa della economia e un exploit dei redditi che neppure il più ottimista degli economisti oggi intravede.
Ma l’irragionevolezza e la mancata lungimiranza dei nostri rappresentanti viene in luce anche sotto altro e diverso profilo.
Nei fatti avverrà che un iscritto alla cassa dell’età di 30 anni dopo i primi 8 anni di versamenti ridotti di circa €.700,00 l’anno e i restanti 27 anni con una contribuzione integrale di circa €.3.700,00 avrà diritto a conseguire una pensione a 65 anni dell’importo mensile verosimilmente pari alla pensione sociale, mentre per un professionista iscrittosi a 35/40 anni, le aspettative pensionistiche sono chiaramente peggiori!
La Cassa Forense dovrebbe fornire ad ogni iscritto le proiezioni pensionistiche generate da questo ingiusto sistema previdenziale, senza nascondersi dietro semplici slogan.
Il nuovo regolamento ha disatteso anche lo spirito della riforma forense secondo cui avrebbe dovuto prevedere delle “eventuali condizioni temporanee di esenzione o di diminuzione dei contributi per soggetti in particolari condizioni” (art.21 L. 247/2012): non solo alcuna esenzione parziale o totale è stata presa in considerazione, ma occorre anche tenere a mente che per molti professionisti già iscritti all’albo, gli otto anni di contribuzione agevolata saranno ridotti nella misura corrispondente ad ogni anno di iscrizione pregressa, rendendo di fatto nullo il beneficio.
Costringere chi ha un reddito basso a farsi carico di un contributo fisso seppur edulcorato al “minimo”, rappresenta una evidente violazione del principio di proporzionalità e progressività contributiva previsto dall’art.53 Cost., oltre che un chiaro tentativo di determinare già oggi ex lege una classe di avvocati che beneficerà di un contributo da pensione sociale, ben al di sotto della soglia di povertà!
Vi è poi da aggiungere che ad oggi il legislatore continua a considerare disoccupato chiunque percepisca un reddito inferiore a € 4.800,00 e non si comprende come si possa obbligare un avvocato tecnicamente disoccupato al pagamento di contributi in misura maggiore al reddito dichiarato, pena la cancellazione dall’albo.
Detta cancellazione, peraltro, confligge con i principi costituzionali italiani ed europei che prevedono la libertà di iniziativa economica, la libera concorrenza, senza alcuna discriminazione e l’accesso alla professione previo superamento del solo esame di stato quale unico presupposto per ottenere l’abilitazione.
Onorevole Ministro oggi la professione forense attraversa una crisi economica senza precedenti e tuttavia questo passaggio sembra incredibilmente sfuggire ai nostri rappresentanti: la contribuzione previdenziale così come prevista unitamente a tutte le ulteriori spese (in gran parte aumentate proprio dalla recente riforma forense) che ogni anno il professionista deve affrontare (tasse iscrizione, assicurazione rc e infortuni, spese di studio, pos, ecc), pena la sua responsabilità professionale, rendono la sopravvivenza di molti un vero e proprio miraggio.
Non è pensabile scaricare le conseguenze del calo del fatturato della professione sulle fasce più deboli utilizzando l’escamotage della contribuzione obbligatoria, pena la cancellazione dall’albo.
Sarebbe stato pertanto più opportuno mantenere una soglia di esenzione per i redditi bassi ed una imposizione contributiva fondata sul criterio della proporzionalità al reddito prodotto.
Onorevole Ministro il sistema previdenziale ideato non è più al passo con i tempi attuali e costituisce un fattore di discriminazione dell’accesso alla professione oramai fondata sul reddito: ci si chiede che utilità possa avere un sistema previdenziale che per la sua esosità costringe oggi il contribuente professionista a cancellarsi?
Occorre pensare al presente per guardare al futuro e non può esserci futuro senza l’oggi.
Noi siamo disposti a collaborare per il bene di tutta l’avvocatura, ma è necessario anche volgere lo sguardo ai troppi errori che in questi anni sono stati causati dai nostri rappresentanti troppo spesso impegnati in proclami pubblici da applausi rimasti poi lettera morta.
La realtà purtroppo è ben diversa e vede la convivenza nello stesso albo di avvocati privilegiati e avvocati meno fortunati.
Non siamo più disposti a tollerare per l’ennesima volta quella strana visione del diritto per la quale esistono diritti quesiti ed intoccabili: qui, oggi, di intoccabile c’è la dignità di migliaia di professionisti, non le laute pensioni percepite in tempi di “vacche grasse” ed oggi espressione di inaccettabili privilegi.
La Cassa Forense non può permettersi di essere retta ancora oggi un sistema retributivo oramai non condiviso da nessun’altro sistema previdenziale (tutti passati al più equo contributivo), quasi a sottolineare una volontà di mantenere vivi vecchi privilegi.
Quello dei contributi rappresenta pertanto un ostacolo economico allo svolgimento della professione, un trucco usato al solo scopo di eliminare il soprannumero dei legali italiani, nella piena convinzione che, tutti i costi previsti dalla recente legge di riforma, possano essere un lusso riservato a pochi.
La possibilità di arrestare l’incremento del numero degli avvocati deve passare attraverso la previsione obbligatoria di un numero chiuso nelle facoltà di giurisprudenza, un eventuale numero massimo di abilitazioni concesse (magari previo vero e proprio concorso) ma non di certo modificando le regola del gioco in corsa e lasciando in fuori chi ha fatto affidamento su un sistema che a suo tempo concedeva la speranza di credere nel sogno della professione ed ha conseguito una laurea e un titolo legittimamente, con i sacrifici suoi e della sua famiglia.
Alla luce delle nostre considerazioni, con la presente Le chiediamo, a nome di tutti i firmatari, di non approvare il testo che Le è stato sottoposto, ma di aprire un vero tavolo di confronto con i nostri rappresentanti per cercare una soluzione più equa e nel pieno rispetto dei principi costituzionali.
L’occasione è gradita per porgerLe i nostri più distinti saluti.”

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento