L’origine del ricorso è scaturito da una società spagnola, la Tyco, che nel 2011 chiuse tutti gli uffici regionali inaugurando una rete virtuale di operatori dotati di auto e cellulari di servizio. La suddetta società chiese ai suoi addetti la comunicazione puntuale di tutti gli interventi della giornata, gli spostamenti da e per il proprio domicilio considerandoli, appunto, tempo di riposo. Tra gli elementi costitutivi della nozione di orario di lavoro è incluso l’esercizio delle attività e delle funzioni lavorative; pertanto i giudici comunitari hanno evidenziato come anche lo spostamento verso la sede del cliente diventa parte integrale della funzione del lavoratore. Il fatto che il dipendente parta dalla propria abitazione, a causa del fatto che è privo di un luogo di lavoro fisso o abituale, secondo la Corte non altera la circostanza che lo spostamento vada considerato un esercizio delle attività e delle funzioni lavorative.
Inoltre, durante lo spostamento il lavoratore non ha possibilità di gestire liberamente il proprio tempo, essendo tenuto «giuridicamente ad eseguire le istruzioni del proprio datore di lavoro e ad esercitare la propria attività per il medesimo», ha osservato la Corte. L’insorgenza di eventuali abusi non sposta la conclusione della Corte, che giudica inammissibile arginare un simile rischio modificando la qualificazione giuridica della nozione di orario di lavoro. Spetta all’azienda evitare gli abusi infatti, ad esempio limitando il pagamento del carburante soltanto allo stretto necessario per l’uso professionale. Una sentenza che farà giurisprudenza in quanto, per la prima volta, sottopone le aziende prive di punti vendita fisici a riconsiderare orari e compensi.
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