Entro la fine del mese di maggio, secondo il calendario di palazzo Chigi, sarà completato l’insediamento dei nuovi Consigli d’amministrazione per le grandi controllate, partendo da Eni, Enel, Poste e Finmeccanica, per finire con Terna e, in parte, Ferrovie dello Stato. E’ toccato, nei giorni scorsi, a Poste Italiane, in odor di privatizzazione, ad aprire la serie di assemblee degli azionisti nelle società pronte a far ruotare – è proprio il caso di dirlo – i propri dirigenti, secondo le indicazioni diramate dal tandem Renzi-Padoan.
Salvo sorprese dell’ultim’ora, le convocazioni non dovrebbero essere altro che dei “pro forma”, dove arriveranno le investiture ufficiali ai nuovi presidenti e amministratori delegati delle più influenti aziende di proprietà statale. Queste le tappe stilate dal governo, all’indomani della divulgazione dei nomi che andranno a guidare le controllate: dopo Poste Italiane, oggi è il turno dell’assemblea degli azionisti Eni; tra sette giorni, sarà la volta di Finmeccanica – se la prima convocazione attesa domani dovesse andare a vuoto – e, infine, il 22 debutterà il nuovo board di Enel. Diversa la strada seguita da Terna, le cui nomine spettano, in prima analisi, alla Cassa Depositi e Prestiti, e che hanno visto l’avvento di Catia Bastioli alla presidenza. Sul fronte di Trenitalia, invece, urge, entro il 15 maggio, riempire la casella di amministratore delegato, lasciata vuota da Mauro Moretti.
La critica più comune piovuta sui manager passati al timone delle principali aziende pubbliche, riguarda l’eccessiva notorietà di alcuni dei loro volti, da tempo in orbita istituzionale. Il caso più eclatante è quello dell’ex leader di Confindustria Emma Marcegaglia, pronta ad assumere l’incarico di presidente Eni, società che, per una scomoda vicenda di tangenti e appalti, ha portato il fratello Antonio, nel 2008, a patteggiare una pena sospesa di 11 mesi, versando più di 6 milioni di euro.
Che dire, poi, dello stesso Moretti, neo numero 2 di Finmeccanica, alle spalle del confermatissimo Gianni De Gennaro, dopo una vita alle Ferrovie dello Stato, oppure di Luisa Todini, in transito “eccezionale” dal Cda Rai alla presidenza di Poste Italiane, affiancata da quel “mr. Agenda digitale” Francesco Caio, non troppo rimpianto nel mondo della banda larga: sono solo gli esempi più eclatanti di una ricerca che sembra avere impegnato il governo più nel mantenimento degli equilibri politici, rispetto alla verifica delle concrete abilità manageriali.
Un sentore che, sebbene la pubblica opinione, di questi tempi, abbia questioni più stringenti di cui occuparsi, non ha mancato di diffondersi a macchia d’olio tra gli osservatori. Al di là di questa generale delusione, va precisato, il governo ha svolto le proprie scelte in virtù della sua posizione di azionista di maggioranza, avanzando le nomination per le poltrone di peso. Ma quando si parla di controllate, le prerogative della mera proprietà non possono bastare. Così, c’è chi si limita a esternare il malessere, o chi, più attivamente, muove vere e proprie istanze nei confronti dell’esecutivo, come il gruppo di esperti e giuristi denominato “Open media Coalition”. Il pool, proprio a ridosso della girandola di nomination, ha lanciato una petizione online per scuotere il governo e indurlo a scegliere, una volta per tutte, un metodo più trasparente in fatto di nomine.
Nel manifesto, non manca il richiamo a personaggi che “fanno pensare all’ennesimo giro di valzer di nomi e poltrone”, ma, soprattutto, si scaglia la denuncia sulla lacuna colpevole e reiterata di un Codice apposito per gli incarichi nelle società pubbliche. All’estero, infatti, non è raro trovare vere e proprie Authority che sorvegliano la regolarità delle proposte governative per i vertici di queste aziende. Basterebbero tre semplici criteri a rendere, finalmente, i manager di Stato più credibili e legittimati: partecipazione larga, pubblicazione preventiva dei criteri e maggior rigore scientifico nella composizione delle short list da sottoporre ai ministeri. In tre parole, sottolineano i promotori “imparzialità, merito e trasparenza”.
Misure che, malgrado i proclami sulla discontinuità, l’esecutivo sembra non aver adottato, addirittura chiedendo 24 ore extra per la diffusione delle candidature – fatto mai accaduto, nemmeno con Berlusconi – e arrivando a proporre una rosa di “soliti noti”, la cui competenza, resta, in più casi, tutta da dimostrare. Se il ricambio dei vertici nelle controllate statali doveva essere il banco di prova per l’impeto riformatore del governo Renzi, il sospetto è che si sia partiti col piede sbagliato. O, meglio, con quello di sempre.
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