Manfredi Borsellino, il testo completo del discorso del 19 luglio

Redazione 20/07/15
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Ieri, 19 luglio 2015, si sono tenute come ogni anno le commemorazioni dell’omicidio del giudice Paolo Borsellino e di cinque agenti della sua scorta, avvenuto a via D’Amelio a Palermo, dove il magistrato si era recato in visita dalla madre.

A distanza di 23 anni da quella strage ancora senza colpevoli accertati, però, in questi giorni la famiglia del giudice Borsellino è tornata in cima alle cronache per la vicenda di Lucia, figlia di Paolo, la quale si è prima dimessa da assessore alla sanità della giunta regionale di Rosario Crocetta, e poi, è stata tirata in ballo da presunte intercettazioni tra lo stesso governatore e il medico Matteo Tutino, il quale augurava alla primogenita del magistrato di “finire come il padre”.

Così, la famiglia Borsellino, solitamente molto riservata, ha deciso di affidare alle parole del secondo figlio Manfredi, oggi commissario di polizia, una sorta di manifesto dei famigliari del giudice assassinato dalla mafia, con la conferma di rimanere in Sicilia anche se le cose sembrano non cambiare mai…

Al termine del discorso, Manfrdi Borsellino ha abbracciato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, presente alla commemorazione, siciliano di nascita e con alle spalle l’omicidio del fratello Piersanti da parte sempre di Cosa Nostra.

 

Ecco il testo completo dell’intervento di Manfredi Borsellino

Oggi io intervengo non per commemorare mio padre, cosa che probabilmente molti presenti in quest’aula sanno fare e faranno meglio del sottoscritto, oggi intervengo perché non credevo che la figlia più grande di mio padre, colei con cui viveva in simbiosi e dialogava anche solo con lo sguardo, dopo 23 anni dovesse vivere un calvario simile al suo e nella stessa terra che lo ha elevato suo malgrado eroe.

Non entro, non posso entrare vista anche la mansione che ricopro e l’amministrazione cui appartengo, nel merito delle indiscrezioni giornalistiche di questi giorni, indiscrezioni che avranno turbato probabilmente molti di voi, ma vi assicuro non l’interessata, mia sorella Lucia, perché consapevole e da tempo, del clima di ostilità in cui operava e delle offese che le venivano rivolte per adempire nient’altro che al suo dovere.

Mi si lasci però dire che non sarà la veridicità o autenticità del contenuto di una singola intercettazione a impedire che i siciliani onesti, che mi sforzo a ritenere rappresentino ancora la maggioranza in questa terra disgraziata, sappiano lo scenario drammatico in cui mia sorella Lucia si è ritrovata a operare in questi anni di guida di uno dei rami più delicati dell’amministrazione regionale.

Lucia ha portato la croce fino al 30 giugno scorso, perché amava a dismisura il suo lavoro, voleva davvero una Sanità libera e felice, come diceva lei. E’ rimasta per amore di giustizia, per suo padre, per poter “spalancare” le porte di un assessorato e di una Sanità intera, da sempre in Sicilia centro di interessi e malaffare, agli inquirenti, perché nessuna risultanza investigativa generata anche dal suo operato andasse dispersa.

Non so dirvi obiettivamente con quale forza mia sorella, così apparentemente fragile, abbia retto psicologicamente e tollerato ciò che noti professionisti e manager della Sanità pensavano e avrebbero detto di lei, ma so che lei è e sarà per sempre la più degna dei figli di suo padre!

Eccellenza Prefetto Pansa, dovrei oggi chiederle qui, innanzi alle più alte cariche dello Stato, di essere destinato altrove, lontano da questa terra disgraziata, ma non solo non glielo chiedo, ma le ribadisco con forza che io ho il dovere di rimanere qui, lo devo a mio padre e adesso, soprattutto, a mia sorella Lucia.

Grazie per l’attenzione che mi avete riservato.

Redazione

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