Attacco ai centri per l’impiego? Appetiti per i finanziamenti europei

Luigi Oliveri 11/09/13
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Dario Di Vico, sul Corriere del 5 settembre, si fa alfiere dell’ennesimo attacco alle istituzioni pubbliche, in particolare alle province ed ai servizi per il lavoro, imbracciando l’arma della banalità.

Essa consiste nell’utilizzo peloso delle rilevazioni dell’Isfol sull’efficacia dell’intermediazione domanda/offerta di lavoro. Vediamo cosa scrive il Di Vico: “Prendiamo i centri per l’impiego, quelli che dovrebbero essere gli hub dell’incontro domanda-offerta e invece in realtà riescono a intermediare solo 3 assunzioni su 100. I centri sono sotto la giurisdizione delle Province e risentono ovviamente del differente livello di efficienza delle amministrazioni locali”.

Ora, l’ultima indagine Isfol Plus contiene una serie di dati, dei quali, però, la stampa prende per buoni solo quelli “che fanno sensazione” e cioè quelli tali da confermare il solito teorema: la pubblica amministrazione (se poi, si tratta di province, si va a nozze) è inefficiente, come chi scrive ha già rilevato sul Bollettino Adapt (http://www.bollettinoadapt.it/site/home/bollettino-adapt/ordinario/25-marzo-2013-n-11/documento20884.html).

In effetti, la mediazione diretta rilevata dall’Isfol è del 4%. Il 3% è mediato dalle tanto decantate, dal Di Vico e altri coreuti del “privato”, agenzie di intermediazione.

Per carità, non è da andare particolarmente fieri del risultato, tuttavia, non appare corretto limitarsi a dare il dato preciso dell’intermediazione dei centri per l’impiego (per altro riducendola di un punto) e lasciare, invece, sullo sfondo quella delle agenzie, lasciando credere che sia di molto superiore.

In risposta all’articolo di chi scrive su Adapt, i ricercatori Isfol hanno cortesemente precisato e contro dedotto.

Sarebbe interessante che i media dessero una lettura accorta di quanto affermato nell’articolo che abbiamo riportato sopra. Qui uno stralcio: “Utilizzando una similitudine calcistica i Servizi per l’Impiego hanno un destino simile a quello del “centravanti della nazionale”: ogni volta che succede qualcosa la colpa è loro. Ma giudichereste un difensore o un centro-campista per i gol fatti? Ogni giocatore ha dei ruoli, ma è nell’apporto al “gioco di squadra” che viene valutato. Così va giudicato il Centro per l’Impiego, come il player (regista) del mercato del lavoro, che occasionalmente fa intermediazione diretta (gol), ma molto più spesso agisce indirettamente (assist) nell’azione che porta alla realizzazione (gol/occupazione) … Come evidenziano i dati Isfol Plus1, i CPI hanno una capacità stimata di intermediazione diretta mediamente contenuta (a livello nazionale non supera il 4%) se confrontata con altri canali, ma interpretare questi dati come incapacità dei SPI di effettuare la propria funzione è una lettura profondamente erronea. Nel 26% dei casi i Centri per l’impiego rappresentano uno dei passaggi necessari per trovare lavoro (funzione indiretta), rappresentando in tal senso un player importante nel mercato, anche in considerazione dell’utenza che gestisce (quella più debole). I servizi erogati dai Cpi non sono immediatamente finalizzati all’intermediazione diretta, ma piuttosto alla riqualificazione delle persone, al miglioramento della loro presentazione sul mercato del lavoro, all’orientamento e informazione di quelle che, per la prima volta si affacciano nel mercato della ricerca del lavoro. Tali funzioni vanno considerate come propedeutiche alla gestione in trasparenza del mercato del lavoro e alla tutela delle posizioni individuali di cittadini e imprese e andrebbero prese in considerazione con il giusto peso in sede di giudizio delle performance dei Servizi per il lavoro. Ricordiamo che la mission dei CPI non è l’intermediazione tout court, la Riforma (d.lgs. n.469/97) ha spostato l’attenzione dal collocamento all’erogazione di servizi per l’occupabilità”.

Dunque, una lettura leggermente meno legata ai facili slogan delle ricerche Isfol e dei dati, dovrebbero portare a riconsiderare o considerare con maggiore approfondimento l’operato dei centri per l’impiego, che evidentemente continua ad essere misconosciuto.

Senza considerare la circostanza che in Italia con 3,5 milioni di disoccupati, i dipendenti dei servizi pubblici per il lavoro sono circa 7.700; in Germania, con molti meno disoccupati, i dipendenti dei servizi pubblici per il lavoro sono circa 100.000!

Ma, prosegue Di Vico, i centri per l’impiego “Culturalmente poi sono rimasti molto indietro, non hanno tempo e mentalità per dedicarsi alla pedagogia minima di chi cerca un’occupazione (a cominciare dallo scrivere un buon curriculum) e soprattutto non si rivolgono alle aziende per favorire e incentivare la ricerca di personale”.

A noi pare che culturalmente sia inchiodato alle banalità chi continua a scrivere cose che sono sempre uguali a se stesse dal 2000, da quando si assestò il passaggio delle competenze dei servizi per il lavoro dal Ministero alle province. A proposito: non fu un grande regalo che il Governo fece alle amministrazioni provinciali. Pochi dipendenti, strutture fatiscenti, niente informatica, il tutto mentre il collocamento era stato profondamente riformato. Dopo 13 anni è frettoloso e ingeneroso continuare a battere la grancassa dell’arretramento culturale. I servizi di orientamento e di collaborazione nella stesura dei curriculum, così come dell’assistenza nei colloqui di lavoro sono pane quotidiano per i centri per l’impiego.

Ma, qui la stoccata “vincente” del Di Vico: “È chiaro che dal punto di vista metodologico le agenzie private del lavoro (le varie Manpower, Gi Group, Adecco, ecc.) sono avanti anni luce e già svolgono una funzione sussidiaria. Di fronte a questa situazione di palese asimmetria culturale c’è il rischio che per gestire i fondi europei della youth guarantee (importantissimi!) qualcuno proponga un’infornata di assunzioni per i centri dell’impiego. Le imprese, invece, vedono di buon occhio il finanziamento di progetti comuni tra struttura pubblica e agenzie private misurati sulla base dei risultati. Sembra l’uovo di Colombo ma la politica e la burocrazia non colgono l’urgenza di operare per discontinuità. E quindi incrociamo le dita. I tirocini Passiamo ai tirocini, sapendo che nel recente passato se n’è abusato”.

Il gioco è scoperto. E’ una vera e propria perorazione affinchè, per altro in contrasto con quanto stabilito dall’Europa, i finanziamenti della Youth Guarantee, circa 1,5 miliardi, vadano incanalati verso le agenzie private.

In effetti, col mercato del lavoro che langue, quella cifra fa molto gola. Le agenzie, che non sono affatto anni luce avanti su nulla, compresa l’intermediazione, fatturano poco. Quei denari sono importanti, per loro.

Ma, questa analisi è totalmente fuori linea. I finanziamenti della Youth Guarantee non dovrebbero andare a finanziare né i servizi pubblici, né quelli privati per il lavoro. Dovrebbero essere destinati esclusivamente a sostegni al reddito ai giovani inseriti nei percorsi di reinserimento lavorativo, per agevolarne la formazione e le esperienze lavorative. I servizi pubblici per il lavoro, in quanto già pagati dalle tasse, sono il canale più corretto, dal momento che per realizzare in modo corretto e completo l’operazione non occorre per loro un “premio”, quel premio economico preteso dai privati. I premi nelle province sono regolati da contratti collettivi e decentrati in altro modo, e traggono finanziamenti da altre fonti.

Si tratterebbe solo di organizzare bene i servizi, avendo chiaro quali priorità i servizi debbono garantire.

Certo, se tutto questo lo si fa mentre contestualmente si cerca di smantellare le province, senza fornire in un minimo di certezza sui possibili assetti organizzativi futuri, la strada verso il fallimento è ben tracciata. O, rimane tracciata anche quella di considerare la Youth Guarantee non un’opportunità per i giovani, per i destinatari, bensì per i gestori. Il che avrebbe dell’incredibile. Ma non in Italia.

 

Luigi Oliveri

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