Legge elettorale: alla ricerca del sistema più adatto all’Italia (e agli italiani)

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Nella primavera del prossimo anno, saremo chiamati alle urne per il rinnovo del Parlamento e quindi per la scelta della coalizione che succederà al “Governo dei tecnici”.

L’incombenza della scadenza elettorale, oltre che un minimo di pressione dell’opinione pubblica, ha riportato prepotentemente nell’agenda politica italiana la patata bollente della riforma elettorale.

In effetti, la legge vigente, la n. 270/2005, nota all’uomo della strada come porcellum, ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico, un sistema elettorale che si presta a critiche e a dubbi di costituzionalità, non celati dalla stessa Corte Costituzionale.

Infatti, come si legge nella sentenza n. 15 del 2008 emessa dalla Consulta, la vigente legge elettorale presenta “aspetti problematici di una legislazione che non subordina l’attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e/o di seggi”.

Quindi, pur non essendo percepita come tale dall’elettore medio, la più grande distorsione del porcellum, da un punto di vista giuridico, non è l’assenza della preferenza, bensì l’eventualità che una coalizione ottenga il premio di maggioranza, e quindi il 55% dei seggi, con una percentuale di suffragi che non ha un limite minimo (e dire che la legge n. 148 del 1953 con cui De Gasperi introdusse un premio di maggioranza per la coalizione che avesse ottenuto la maggioranza assoluta di consensi, fu addirittura bollata come “legge truffa”).

Ipoteticamente quindi, oggi, in un eventuale scenario elettorale polverizzato, i 340 seggi di premio di maggioranza alla Camera, potrebbero essere assegnati ad una coalizione, o ad un partito, che ha ottenuto una percentuale di suffragi davvero molto bassa.

Dal dibattito politico – parlamentare, fortunatamente, pare emergere la volontà di un superamento radicale del sistema elettorale vigente.

Ad oggi, le proposte in campo sono tante anche se abbastanza confuse.

L’idea del PdL è quella di introdurre nel nostro ordinamento un sistema elettorale di tipo francese, con l’elezione diretta del Presidente della Repubblica.

In realtà, tale proposta non è spendibile nel breve termine e quindi non pare attuabile già nella prossima tornata elettorale. Il motivo è chiaro: per introdurre tale sistema, sarebbe necessaria una revisione della Costituzione.

Infatti, ai sensi del 2° comma dell’art. 85 della Costituzione, l’elezione del Capo dello Stato spetta ai parlamentari e ai delegati regionali.

Quindi, per l’introduzione di un sistema semipresidenziale, sarebbe necessario, ai sensi dell’art. 138, 2° comma della Costituzione, l’emissione da parte delle camere elettive, di “due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi”. Pertanto, tenuta presente l’imminente scadenza di questa XVI legislatura, è da escludere la possibilità che nel 2013, l’elettore possa scegliere il successore di Giorgio Napolitano e che questo possa avere poteri più ampi di quelli previsti dall’art. 87 della Carta repubblicana.

Il PD, dal canto suo, vorrebbe una sorta di versione 2.0 del c.d. Mattarellum (legge n. 277 del 1993). L’obiettivo dei democrati infatti, è l’introduzione di un sistema che preveda l’attribuzione del 70% dei seggi mediante collegi uninominali a doppio turno; del 28% degli scranni con il metodo proporzionale su base regionale, mentre il restante 2% dei seggi, dovrebbe essere attribuito, alle liste presenti in almeno cinque circoscrizioni, che non abbiano ottenuto alcun seggio, garantendo così un vero e proprio “diritto di tribuna”.

Questo sistema, se da un lato avrebbe il pregio di superare, non attribuendolo, ogni problema relativo al premio di maggioranza, favorirebbe oltremisura la coalizione vincente, penalizzando invece, eventuali aggregazioni politiche di minoranza, che pur potendo vantare risultati lusinghieri, rischierebbero di non ottenere alcun seggio.

Auspicano un ritorno al proporzionale puro invece, svariati partiti politici appartenenti ad ogni schieramento (dall’Udc a Rifondazione).

Sul vecchio sistema proporzionale, introdotto dalla legge n. 6 del 1948 si è fondata la prima repubblica, e forse è quello che meglio si attaglia al dettato costituzionale che qualifica il voto come “personale, uguale, libero e segreto”, oltre che al pensiero dell’elettore italiano, non ancora pronto ad un sistema bipartitico di stampo americano, come auspicato da alcuni.

Molti autorevoli giuristi, come Ferrara e Salvi, vedrebbero di buon occhio un ritorno a questo sistema, perché “darebbe ad ogni partito la possibilità di presentarsi col proprio programma ed ottenere una rappresentanza commisurata al proprio successo elettorale”. In questo caso però, sarebbe necessaria una congrua soglia di sbarramento, tra il 2% e il 3%, abbastanza alta per evitare la proliferazione di improbabili liste, ma comunque raggiungibile dai movimenti e partiti politici effettivamente operanti sul territorio nazionale.

Francesco Sabatelli

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