Legge di Stabilità: senza garanzia di permanenza il Garante del contribuente

Nessuno garantisce il Garante. Dal primo gennaio 2014 il Garante del contribuente decadrà dalle sue funzioni. La figura di un organismo a tutela dei contribuenti era stata istituita dallo Statuto del contribuente. L’art. 13 della legge n. 212/2000 prevedeva che presso ogni Direzione Regionale delle Entrate e Direzione delle entrate delle province autonome fosse istituito il Garante del contribuente.
Il tutore dei diritti del contribuente ha avuto il compito di rivolgere raccomandazioni ai dirigenti degli Enti impositori, anche sulla base di segnalazioni inoltrate per iscritto dal contribuente o da qualsiasi altro soggetto interessato, e di richiamarli al rispetto della legge e dei principi contenuti nello Statuto.
Le segnalazioni previste dalla legge riguardano disfunzioni, irregolarità, scorrettezze, prassi amministrative anomale o irragionevoli o qualunque altro comportamento suscettibile di incrinare il rapporto di fiducia tra cittadini e amministrazione finanziaria.
Inizialmente si trattava di organo collegiale (composto da tre componenti scelti e nominati dal Presidente della Commissione Tributaria Regionale), operante in piena autonomia.
Il Governo Monti lo aveva ricondotto a organo monocratico, adesso il Governo Letta, secondo quanto previsto dalla bozza di legge di stabilità per il 2014, ne propone l’abolizione.
Al suo posto subentrerà, per ogni ambito regionale, quale facente funzioni, il Presidente della Commissione Tributaria Regionale.
Dall’ordinamento scompariranno i riferimenti al compenso ed ai rimborsi spesa che il Ministro, con proprio decreto, doveva prevedere.
Se la manovra diventerà legge, un altro pezzo dello Statuto del contribuente non troverà più attuazione.
Nel 2000 lo Statuto venne accolto con grande favore da tutti i cittadini-contribuenti. Il loro rapporto impari con il fisco trovava uno strumento di tutela ed il Garante era un organo importante nel percorso di riequilibrio.
Per parte della dottrina, la legge n. 212/2000 si poneva, nella gerarchia delle fonti, in un ambito intermedio tra legge costituzionale ed ordinaria.
Dopo un primo momento di esaltazione dottrinaria (e qualche pronuncia giurisprudenziale), lo Statuto fu riassunto nel ruolo di normale legge ordinaria, derogabile da qualsiasi altro provvedimento legislativo successivo.
L’enfasi contenuta nell’art. 1 dello Statuto è stata, negli anni, molto ridimensionata nella concreta applicazione. La Corte di Cassazione (sentenza n. 18184/2013) ha ribadito che le norme dello Statuto del contribuente costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario, derogabili solo espressamente ma mai da leggi speciali.
Le deroghe, però, sono diventate sempre più frequenti e pregnanti.
Le disposizioni tributarie non sempre hanno avuto quella chiarezza e quella trasparenza invocata dall’art. 2.
L’irretroattività delle norme (art. 3) è stata superata, innumerevoli volte, da una successiva previsione legislativa (basti pensare che a novembre non si conosce ancora cosa succederà in materia di tributi relativi agli immobili ed alla raccolta e smaltimento dei rifiuti), così come, sempre più spesso, gli adempimenti a carico dei contribuenti hanno previsto scadenze fissate anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell’adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti.
Rimaneva il Garante del contribuente. Sebbene una serie d’interventi normativi ne avesse ridotta la capacità di incidere, restava una difesa contro eventuali atteggiamenti vessatori degli enti impositori.
La legge di stabilità ne potrebbe, ora, sancire la definitiva scomparsa. Difficilmente i Presidente delle C.T.R., senza oneri a carico per la finanza pubblica, potranno supplire alle funzioni finora svolte dai Garanti.
Inoltre il Garante, per definizione, è un organo a tutela del contribuente, mentre il Presidente della C.T.R. è un giudice che deve essere, ed apparire, terzo.
A fronte di un ridotto risparmio di spesa, s’incide pesantemente su un organo che, anche psicologicamente, riequilibrava il rapporto del cittadino con il fisco, facendo apparire il contribuente più tutelato.
Non si tratta nemmeno dell’unica misura che il legislatore ha previsto per risparmiare pochi euro, intervenendo nell’attuale organizzazione del sistema fiscale.
Sempre nel testo della legge di stabilità in via di definizione, era stata inserita una norma che decreta la fine dell’autonomia finanziaria del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, l’organo di autogoverno dei giudici tributari.
L’art. 10 del testo della legge di stabilità (che, acquisiti i pareri, deve andare alle Camere per essere votato) prevedeva che alle spese di funzionamento del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria si fa fronte con le risorse umane, materiali e finanziarie iscritte a legislazione vigente nell’ambito della Missione “Giustizia”, Programma “Giustizia tributaria”, iscritte nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze.
Il Consiglio di Presidenza avrebbe visto, così, limitata la propria funzione a semplice ente erogatore dei pagamenti dei Consiglieri e a mero esecutore delle disposizioni che sarebbero giunte dal Ministero dell’Economia.
A rischio vi erano le previsioni che attribuiscono al CPGT competenze in merito alla formazione e l’aggiornamento dei giudici.
La formazione non avrebbe potuto essere, però, devoluta al Mef, che è parte (tramite le Agenzie delle entrate) del processo tributario.
In seguito ad un incontro tra il Presidente dell’Associazione Magistrati Tributari, Ennio Sepe, ed i vertici del Ministero, la norma potrebbe essere stralciata dal disegno di legge delega sulla stabilità.

Luciano Catania

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