Il rischio che, la settimana scorsa, il governo cadesse sotto i colpi di un Berlusconi ormai convinto a trascinare il paese alle elezioni, però, ha prodotto un risultato che sembra ormai irreversibile: l’aumento dell’aliquota Iva dal 21 al 22% per una serie di beni di consumo anche di prima necessità, come abbigliamento, calzature e alimentari, per un esborso extra di svariate centinaia di euro a famiglia nell’anno.
L’incremento, scattato lo scorso primo ottobre, dopo un rinvio di tre mesi rispetto alla data definita dal governo Monti, che aveva istituito il cambio di aliquota con le misure drastiche di fine 2011, dovrebbe rimanere immutato, almeno a sentire le prime posizioni espresse dai ministri, tra tutti quello dell’Economia Fabrizio Saccomanni.
L’unico barlume di speranza, per un impatto più soft della nuova Iva sui consumi, resta quello di ridefinire, proprio nella prossima legge di stabilità, il paniere di beni investiti dalla nuova percentuale, rimodulando, magari, il peso dell’esborso fiscale sui beni di consumo. Il costo dell’operazione, però, sembra piuttosto elevato: quattro i miliardi necessari mentre ne sarebbe bastato uno solo per scongiurare l’aumento dell’Iva il primo ottobre.
Altro tema urgentissimo è quello dell’Imu: al momento, le categorie esentate dalla rata di giugno sono quelle che risultano abbuonate anche della rata in scadenza il 16 dicembre (prime abitazioni non di lusso, terreni agricoli e case rurali). Si tratta di disposizioni contenute nell’ultimo decreto dove, d’altra parte, era stato inserito l’impegno solenne del governo a cancellare la tassa entro il 2014. Insomma, la legge di stabilità dovrebbe costituire il contenitore ideale per accogliere anche questa riforma, che potrebbe avere un costo pari a due miliardi e mezzo di euro. Resta da capire, al pari, cosa verrà incluso nella Service tax che prenderà il posto sia della stessa Imu che della Tares.
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