La spending review dell’ articolo 8, comma 8, del decreto-legge n. 66 del 2014

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Da un governo a forte presenza di (ex) sindaci ci si sarebbe aspettato un atteggiamento più razionale di quello a cui eravamo abituati dai tecnocrati del passato più o meno recente (politici alla Monti o burosauri alla Catricalà, Patroni Griffi, Fortunato, Giampaolino, De Lise, Pizzetti e compagnia cantando). E invece nulla è cambiato, anzi si intravede un certo pervicace impegno a peggiorare le cose, a questo punto è difficile dire se frutto di volontà o di ignoranza.
In disparte alcune centinaia di questioni che non possono essere qui affrontate (inutilità del DURC, [1 ] di CUP e CIG, [2 ] dei tanto decantati “protocolli di integrità” e “patti di legalità”, [3 ] del … programma triennale anticorruzione, [4 ] del contorto garbuglio della privacy, [5 ] del funzionamento delle banche dati e delle centralizzazioni informatiche degno di un paese del terzo mondo [6 ] ecc.) un esempio eclatante è la spending review introdotta dall’articolo 8, comma 8, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66. Leggiamo queste perle di saggezza:

«Le amministrazioni pubbliche … sono:
a) autorizzate … a ridurre gli importi dei contratti in essere aventi ad oggetto acquisto o fornitura di beni e servizi, nella misura del 5 per cento, per tutta la durata residua dei contratti medesimi. Le parti hanno facoltà di rinegoziare il contenuto dei contratti, in funzione della suddetta riduzione. E’ fatta salva la facoltà del prestatore dei beni e dei servizi di recedere dal contratto entro 30 giorni dalla comunicazione della manifestazione di volontà di operare la riduzione senza alcuna penalità da recesso verso l’amministrazione. Il recesso è comunicato all’Amministrazione e ha effetto decorsi trenta giorni dal ricevimento della relativa comunicazione da parte di quest’ultima. In caso di recesso, le Amministrazioni di cui al comma 1, nelle more dell’espletamento delle procedure per nuovi affidamenti, possono, al fine di assicurare comunque la disponibilità di beni e servizi necessari alla loro attività, stipulare nuovi contratti accedendo a convenzioni-quadro di Consip S.p.A., a quelle di centrali di committenza regionale o tramite affidamento diretto nel rispetto della disciplina europea e nazionale sui contratti pubblici;
b) tenute ad assicurare che gli importi e i prezzi dei contratti aventi ad oggetto acquisto o fornitura di beni e servizi stipulati … non siano superiori a quelli derivati, o derivabili, dalle riduzioni di cui alla lettera a), e comunque non siano superiori ai prezzi di riferimento, ove esistenti, o ai prezzi dei beni e servizi previsti nelle convenzioni quadro stipulate da Consip S.p.A … ».

La criticità della riduzione dei contratti in essere (un aborto giuridico già sperimentato con precedenti decreti-legge), già di per sé una bella pensata, [7 ] viene attenuata dalla facoltà, data al contraente privato, di recedere dal contratto entro 30 giorni senza alcuna penalità da recesso verso l’amministrazione. Bene, tradotto nel linguaggio di Genny ‘a carogna, la pubblica amministrazione dice al proprio contraente (a contratto in corso): «O mi fai lo sconto o ti togli dalle scatole».

La trovata a suo modo è geniale, ci mancava solo che la norma proseguisse dicendo: se non ci stai ti brucio l’azienda. Peccato che così congegnata, se applicata alla lettera (e non si vede come possa essere diversamente) [8 ] la norma faccia del male sia all’amministrazione che all’operatore privato.

Facciamo le due ipotesi:

1. Il contraente privato accetta la riduzione.

Pur essendo difficile sostenere che non sia frutto di una imposizione unilaterale, la prima conseguenza è che viene posta nel nulla la verifica dell’anomalia effettuata in sede di aggiudicazione della fornitura o del servizio. E’ ovvio che il procedimento di verifica in contraddittorio dell’offerta si è concluso favorevolmente solo alle condizioni originarie; nessuno garantisce che l’offerta sarebbe stata ammessa se ridotta del 5 per cento. Si noti poi che essendo da garantire l’integrità del costo del personale e dei costi di sicurezza aziendali, la riduzione si riflette sulla parte “disponibile” del contratto con una percentuale “reale” di riduzione del 10, del 15 o del 20 per cento, a meno di “costringere” il contraente privato a sottopagare il personale, attenuare le misure di sicurezza o evadere gli oneri contributivi.
Una riduzione del 5 per cento generalizzato colpisce anche tutti i servizi ad alto o esclusivo contenuto di manodopera (assistenza sociale, vigilanza, pulizia, manutenzione di impianti e attrezzature ecc.) e qui veramente diventa inevitabile sottopagare il personale, attenuare le misure di sicurezza o evadere gli oneri contributivi. Per non parlare degli oneri di sicurezza da DUVRI, predeterminati dalle amministrazioni appaltanti e sottratti al sindacato del contraente privato: anche questi si riducono del 5 per cento contraddicendo norme sulla sicurezza tutelate costituzionalmente.
Spesso in sede di giustificazione delle offerte è dichiarato e certificato un utile esiguo (anche del solo 1 per cento o poco più); questo significa che una riduzione del 5 per cento in sede di contratto annulla qualunque utile e “certifica” una prestazione in perdita, circostanza sanzionata costantemente (e giustamente) dalla giustizia amministrativa in quanto incompatibile con le legittime aspettative dell’amministrazione committente ad una regolare esecuzione della prestazione.
Quale convenienza abbia la pubblica amministrazione ad avere un contraente con l’acqua alla gola è difficile da comprendere.

2. Il contraente privato recede dal contratto senza alcuna penale da recesso verso l’amministrazione.

Se l’italiano ha un senso sembra che la norma dica «non sono io che ti costringo a recedere, sei tu impresa che recedi volontariamente e io amministrazione sono tanto buona che non ti faccio pagare le penali»; probabilmente il senso era inverso: «siccome non posso obbligarti a fare lo sconto, in alternativa ti concedo (sic!) di recedere dal contratto ma senza che mi addebiti penalità». Bah, sia come sia, il danno emergente e il lucro cessante, a stretto rigore di logica, non sono penalità, ma indennizzi e ristori per cui dovrebbero restare impregiudicati; infatti anche se connessi ad una risoluzione per cause imputabili ad una parte, qui il recesso sembra tale solo di nome, poco più di un subdolo virtuosismo lessicale del legislatore. Ma se fosse così, il riconoscimento del danno emergente e del lucro cessante annullerebbe qualunque convenienza dell’operazione: è altamente probabile che nessun nuovo contratto, successivo al recesso, sarebbe tanto conveniente in termini economici per l’amministrazione da compensare gli indennizzi al contraente cessante.
Non soddisfatto del pasticcio il legislatore prevede un rimedio peggiore del male: cosa succede in caso di recesso? Semplice (nel mondo dei sogni): si procede ad un nuovo affidamento e, siccome questo necessita di qualche mese (diciamo da tre a sei) nelle more della conclusione delle gare si accede a Consip o ad altre centrali di committenza o si ricorre ad affidamenti diretti. [9 ]
Benissimo, ora mi si dica quale impresa (attinta da Consip o da qualunque altra parte) può essere disposta ad assumere seriamente un servizio per tre o sei mesi (in attesa della nuova aggiudicazione); proviamo ad immaginare un servizio di igiene urbana, di assistenza ai diversamente abili, di somministrazione di pasti, di gestione di una Casa di riposo, di pulizia, di global service, di scuolabus, di gestione del cimitero, interrotto oggi per recesso del contraente, affidato ad un operatore diverso per alcuni mesi in attesa che subentri un terzo che si aggiudicherà la gara. Ammesso che un operatore “serio” disposto a tanto esista, non avrà che il tempo per organizzarsi e capire cosa fare, prima di lasciare il campo; sarà un grande tributo all’inefficienza e i poveri Sindaci dovranno camminare rasente ai muri per evitare gli immeritati insulti dei cittadini.
E cosa dire dei lavoratori del contraente che ha optato per il recesso, o meglio, che ha dovuto optare per il recesso per non lavorare in perdita. Se non avrà altre possibilità, dopo alcune proteste ormai rituali sotto il municipio, li manderà ad ingrossare la già folta schiera dei disoccupati. Se invece si tratterà di un servizio con i lavoratori “transumanti” [10 ] questi saranno sballottati da un datore di lavoro all’altro per due o tre volte in pochi mesi, sai che soddisfazione.

In conclusione ancora una volta si tratta di una spending review al contrario e ancora una volta ci si chiede se non sia il caso che a Roma assumano alcuni nani da giardino per scrivere le norme; certamente non saranno un granché produttivi ma una cosa è certa, non sono in grado di fare idiozie. Ripensandoci, non è possibile, i nani da giardino non possono ottenere il DURC e la documentazione antimafia.

[1] Vogliamo dirlo che il Re è nudo? Il DURC non solo non ha avuto alcun effetto positivo nel contrasto al lavoro nero ma al contrario ha ostacolato gli operatori economici onesti ostacolati da difficoltà oggettive, errori madornali, inadempimenti contrattuali delle amministrazioni committenti.
[2] Ormai è rimasto solo qualche sonnambulo convinto che servano alla tracciabilità dei pagamenti.
[3] Basta leggerli per comprendere come si tratti tutto di solo “fumo” affinché qualche prefetto possa apparire sui giornali, mentre i loro contenuti sostanziali non sono altro che mere ripetizioni (ma spesso più confuse) di divieti e imposizioni già previsti dalla disciplina ordinaria.
[4] Da non credere ma esiste veramente!
[5] Grande alibi per nascondere le cose più ovvie e inefficace a proteggere il poco che merita di essere protetto.
[6] Dalla AVCPASS (il cui inventore avrebbe suscitato l’interesse di Sigmund Freud) , al MEPA, al SINTEL-ARCA, a CONSIP, alla defunta CIVIT, e tutte quelle agenzie, autorità e organismi strani inventati affinché alcune migliaia di persone indossassero una cravatta e avessero un lavoro (ben) retribuito.
[7] Una norma che impone la variazione “ex lege” delle condizioni di affidamento di un contratto si porrebbe in violazione della normativa comunitaria, che impone la formazione degli elementi essenziali del contratto nell’ambito della procedura di gara, oltre che in violazione dei più elementari principi contrattualistici.
[8] A meno che, nella migliore tradizione nazionale, le parti facciano finta di nulla aggiungendo una nuova norma al monte delle norme ignorate (e non è una bella cosa che si debba considerare con favore la tacita disapplicazione di una norma; sai dove si comincia e non sai mai dove si finisce).
[9] Questi ultimi, si presume, nei limitati casi dell’articolo 125, comma 10, lettera c), del decreto legislativo n. 163 del 2006, diversamente è meglio presentarsi direttamente alla Procura della Repubblica senza attendere l’arrivo dei Carabinieri.
[10] Si veda l’obbligo previsto da alcuni CCNL quali pulizie e servizi sociali, assurto a legge per i servizi di igiene urbana ex articolo 202, comma 6, del decreto legislativo n. 152 del 2006, che era sembrato una grande conquista sociale e si è tradotto in una barbarie.

Battista Bosetti

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