La Procura di Napoli e l’interrogatorio di Berlusconi come persona offesa… chi ha ragione?

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Continua a restare al centro dell’attenzione la vicenda che riguarda l’inchiesta della Procura di Napoli dove il Presidente del Consiglio risulta parte offesa del reato di estorsione.

E’ scaduto infatti alle 20 di ieri il termine per l’audizione spontanea di Berlusconi concesso dalla Procura di Napoli, che ora dovrà decidere se chiedere o meno l’accompagnamento coatto.

Frattanto, il Tribunale del riesame di Napoli mercoledì deciderà se mantenere l’inchiesta a Napoli o trasferirla a Roma.

Indipendentemente da ogni valutazione di merito e da eventuali ripercussioni sul piano politico, ci sembra opportuno tentare di chiarire alcuni aspetti giuridici di questa anomala vicenda.

In particolare, qual é il “perimetro” del reato di estorsione? E qual é il suo momento consumativo (che incide sulla competenza territoriale del Giudice)?

Occorre premettere che il reato di estorsione appartiene al novero dei delitti di cooperazione con la vittima, la cui attività è indispensabile per la integrazione della fattispecie medesima.

L’art 629 c.p., al I comma, recita “Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da L. 1 milione a 4 milioni…

Pacificamente si ritene il reato di estorsione come plurioffensivo in quanto la fattispecie identifica il bene giuridico oggetto di protezione principalmente nella tutela del patrimonio e nella libertà di autodeterminazione del soggetto passivo.

Per l’esistenza del delitto di estorsione occorre innanzitutto una violenza o una minaccia, capaci di creare uno stato di costrizione psichica e ad ottenere, successivamente, un profitto ingiusto con altrui danno.

In tema di minaccia, è utile riportare la recente sentenza, richiamata anche nell’ordinanza applicativa della misura cautelare, n. 19724 del 25 maggio 2010 , Rv. 247117 , secondo cui “La minaccia costitutiva del delitto di estorsione, oltre ad essere palese ed esplicita, può essere manifestata anche in maniera implicita ed indiretta, essendo solo necessario che sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima e alle condizioni ambientali in cui questa opera”.

Tuttavia, è bene precisare che la violenza o la minaccia sono idonee anche se non annullano del tutto la libertà di autodeterminazione del o dei soggetti passivi del reato.

Riguardo al momento consumativo del reato, la dottrina ritiene che il delitto si perfeziona nel momento in cui l’autore consegue un ingiusto profitto con altrui danno.

Pertanto nella fattispecie incriminatrice in oggetto è richiesto un doppio evento finale per stabilirne l’esatto momento consumativo. Solo, infatti, con la realizzazione dell’ingiusto profitto per l’agente o per un terzo e del danno patrimoniale per la vittima, il reato di estorsione sarà consumato. Ove i due eventi non siano coincidenti il reato di estorsione sarà consumato alla realizzazione dell’ultimo dei due eventi.

In giurisprudenza la questione è ampiamente trattata.

In riferimento al danno, si afferma come la realizzazione dello stesso si verifica nell’istante in cui il soggetto passivo del reato provvede a fare od omettere quanto è stato richiesto dall’agente risultando non sufficiente la semplice promessa (Cass.pen., sez II, sent n.44049 del 31 dicembre 2010, Rv. 249043).

Inoltre, la giurisprudenza ritiene, rimarcando la natura di reato istantaneo, che “nel delitto di estorsione qualora alla minaccia o violenza segua la rateizzazione del pizzo, il pagamento dello stesso non costituisce un post factum penalmente non punibile, ma fa parte a pieno titolo del fatto lesivo penalmente rilevante e segna, mediante la concreta e reiterata esecuzione dell’originaria richiesta estorsiva, il momento consumativo ‘sostanziale’ del reato, necessariamente realizzandosi, così, una situazione non assimilabile alla categoria del reato eventualmente permanente, ma configurabile secondo il duplice e alternativo schema della fattispecie tipica del reato che mantiene intatta la sua natura unitaria e istantanea; con la conseguenza che i plurimi indebiti pagamenti della vittima, successivi al primo, costituiscono singoli atti di un’unica azione estorsiva che spostano in avanti la cessazione della consumazione fino all’ultimo pagamento” (Tribunale Catanzaro, sez. II, 8 luglio 2010 ).

Per quanto riguarda il “profitto”, invece, si riscontrano sostanzialmente due tesi in giurisprudenza ed in dottrina.

La prima tende ad anticipare la consumazione nel momento in cui il reo acquisti la mera disponibilità, anche per un breve tempo.

Secondo questo orientamento, infatti, si deve considerare consumato e non solo tentato allorché la cosa estorta venga consegnata dal soggetto passivo all’estorsore, e ciò anche nelle ipotesi in cui sia predisposto l’intervento della Polizia giudiziaria che provveda immediatamente all’arresto del reo ed alla restituzione del bene all’avente diritto.(Sez. U., sent. n. 19 del 14 dicembre 1999).

L’opposta tesi, minoritaria, afferma che se la fattispecie prevista dall’art 629 c.p. richiede il verificarsi dell’evento dannoso, la predisposizione di un servizio di polizia per la sorpresa e l’arresto dell’estorsore nel luogo stabilito per la consegna del danaro degrada il reato da consumato in tentato non soltanto se si riesca ad impedire la consegna stessa, ma l’estorsione resta tentata anche se la consegna avviene, sempre però che l’imputato resti solo per brevi istanti (occorrenti agli agenti appostati per intervenire) in possesso del denaro ricevuto, in virtù del fatto che la lesione patrimoniale non si può considerare verificatasi (v. Sez. II, 10 dicembre 1971, n. 4004, in C.E.D. Cass., n. 121244; Sez. II, 19 aprile 1983, n. 8572, ivi, n. 160748).

Infine, sempre in tema di consumazione, la giurisprudenza afferma, che qualora il profitto dell’estorsione sia costituito da effetti cambiari, il reato si perfeziona con il conseguimento del possesso dei titoli da parte degli autori del delitto, a nulla rilevando che questi ultimi abbiano successivamente lacerato le cambiali (Cassazione penale, sez. II, 25/05/1981).

Cristallizzare il momento e il luogo consumativo risulta importante per determinare la competenza territoriale del giudice.

Infatti, l’art 8 del c.p.p. afferma i criteri generali per determinarla, tra cui il luogo della consumazione del reato.

Nella vicenda in questione, il GIP ribadisce la competenza territoriale della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli perché ritiene “difficilmente individuabile” il luogo preciso in cui i diversi passaggi della illustrata “catena di montaggio criminosa” hanno inizio e fine.

Sicchè il luogo di consumazione del reato in contestazione appare tutt’ora incerto, trovando sponda in un orientamento della Cassazione che afferma “…nel corso delle indagini preliminari non esiste una competenza in senso tecnico, poiché questa ha sempre riferimento ad un definito procedimento e non ad una fase caratterizzata dalla fluidità quale appunto quella delle indagini preliminari” (Cass. pen sez. VI, 12 febbraio 1993).

In virtù di ciò ne consegue, secondo lo stesso GIP, che l’unico criterio applicabile è quello previsto dal III comma del art 9 c.p.p. ovvero “ …Se nemmeno in tale modo è possibile determinare la competenza, questa appartiene al giudice del luogo in cui ha sede l’ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall’articolo 335”.

Infine un accenno va fatto sulla richiesta della medesima Procura di interrogare il Presidente del Consiglio, quale persona informata sui fatti.

La difesa del Premier afferma l’impossibilità di assumere Berlusconi come testimone.

La ragione di ciò trova fondamento del “collegamento” tra i fatti oggetto della vicenda con quelli del processo cd.Ruby”.

Nella stessa ordinanza del GIP si riporta, infatti, che il “Presidente del Consiglio Berlusconi – non solo già più volte coinvolto in ‘scandali’ e in vicenda omogenee rispetto a quella in esame ma anche ‘oggetto’ di un procedimento penale innanzi all’AG di Milano riguardante fatti indubbiamente collegati – che possano essere diffusi o peggio ancora trasmessi alla citata AG di Milano atti e documenti per lui compromettenti versati nell’incartamento processuale del procedimento penale ‘barese’ riguardante Tarantini Giampaolo”.

Pertanto se esiste il “collegamento” , i fatti oggetto della condotta estorsiva potrebbero essere riversati nel processo milanese.

In virtù di ciò, la difesa sostiene come “è evidente che qualsiasi domanda, anche solo di chiarimento, che possa concernere tale argomento… potrebbe in astratto rilevarsi pregiudizievole per il Presidente Berlusconi”, ritenendo che in questo caso si dovrà applicare l’art 210 c.p.p:

“1. Nel dibattimento, le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell`art. 12, nei confronti delle quali si procede o si è proceduto separatamente, sono esaminate a richiesta di parte, ovvero, nel caso indicato nell`art. 195, anche di ufficio.

2. Esse hanno obbligo di presentarsi al giudice ( 198), il quale, ove occorra, ne ordina l`accompagnamento collettivo (132, 513-2). Si osservano le norme sulla citazione dei testimoni ( 197) .

3. Le persone indicate nel comma 1 sono assistite da un difensore che ha diritto di partecipare all`esame. In mancanza di un difensore di fiducia è designato un difensore di ufficio”.

A questo punto, è probabile che la Procura non chiederà al Parlamento di autorizzare l’accompagnamento coattivo di Berlusconi all’interrogatorio almeno fino a mercoledì, quando si aprirà l’udienza davanti al Riesame in cui si dovrà decidere anche sulla competenza territoriale.

Una decisione decisiva per capire se l’inchiesta verrà trasferita ad altra Procura e, quindi, per conoscere la sorte dell’interrogatorio di Berlusconi.

Ignazio Lo Monaco

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