Il Jobs Act di Renzi: realtà o illusione?

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Dopo i tanti twitter e le tante scadenze – purtroppo nessuna mantenuta ad oggi – annunciate dal Governo Renzi, vogliamo vedere a che punto è lo JOBS ACT?

Lo Jobs Act è costituita da una proposta sull’inserimento, nel mercato del lavoro, del c.d. contratto senza tutele, ad oggi sono solo “parole”; da un D.L. 34/2014, convertito, con modifiche, in L. 16 maggio 2014, n. 78, che modifica il contratto a termine, l’apprendistato ed il contratto di somministrazione a tempo determinato, modifica l’elenco anagrafico dei lavoratori; smaterializza il Durc (sono necessario decreti ministeriali, che ad oggi, non ci sono); modifica il contratto di solidarietà (anche qui si rinvia a decreto interministeriale i criteri per l’individuazione dei datori di lavoro beneficiari delle agevolazioni per i contratti di solidarietà, che, inutile dire, non sono stati emanati); da un disegno di legge delega al Governo, che è stato rinviato a settembre, in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, di semplificazione delle procedure e degli adempimenti in materia di lavoro, di riordino delle forme contrattuali e di miglioramento della conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di vita.

Inoltre, ci si chiede se lo Jobs Act di Renzi, sia ispirato alla legge statunitense (JOBS Act, The Jumpstart Our Business Startups Act), che riguarda i  finanziamenti per l’avvio di piccole imprese oppure al discorso di Obama del 2011, trasmesse a reti unificati sull’American Jobs Act.

Il Jumpstart Our Business Startups Act o JOBS Act è stata firmata da Obama il 5 aprile 2012 ed una legge destinata a favorire, negli Stati Uniti, il finanziamento delle piccole imprese, eliminando e semplificando vari obblighi normativi; invece, nel discorso di Obama del 2011 si parla del c.d. American Jobs Act, che prevedeva 253 miliardi dollari in crediti d’imposta (56,6%) e 194.000 milioni dollari di spesa e l’estensione dei sussidi di disoccupazione (43,4%). Alcuni dei suoi elementi fondamenti erano spendere 62 miliardi di dollari per l’espansione di opportunità per giovani a basso reddito e per gli adulti; taglio delle tasse sui salari; estendere l’indennità di disoccupazione per un massimo di 6 milioni di beneficiari a lungo termine; spendere 50 miliardi dollari su nuovi e preesistenti progetti infrastrutturali; spendere 35 miliardi dollari in finanziamenti aggiuntivi per proteggere i posti di lavoro degli insegnanti, ufficiali di polizia e vigili del fuoco; spendere 30 miliardi dollari per modernizzare almeno 35.000 scuole pubbliche e community colleges; spendere 15 miliardi dollari su un programma che assuma lavoratori edili per la riabilitazione e la ristrutturazione di centinaia di migliaia di case pignorate. L’American Jobs Act, però, non è divenuto legge; ma, anzi, Obama ha tentato di “spacchettarlo” in una serie di provvedimenti distinti, con esiti fallimentari. Da ciò si può rendere conto, a mio avviso, che lo Jobs Act di Renzi, in primis, è un’illusione, visto che mancano dei “pezzi”; in secondo luogo, non ha nulla a che vedere né con la JOBS Act, The Jumpstart Our Business Startups Act né con il discorso sull’American Jobs Act, in quanto la L. 78/2014 riguarda le forme flessibili, in particolare, il contratto a termine, il contratto di somministrazione a termine e l’apprendistato; invece, le misure proposte da Obama nel discorso sull’American Jobs Act e dalla legge americana JOBS Act, The Jumpstart Our Business Startups Act sono di stampo economico, piuttosto che normativo, non toccano aspetti formali, ma propongono sgravi e tagli da un lato, incentivi e investimenti dall’altro.

E’ da condividere l’opinione di Chiara Saraceni (C. Saraceni, Renzi, jobs act e la precarietà infinita, in http://www.lavoce.info/jobs-act-renzi-precarieta/ del 18 marzo 2014), la quale afferma che “Anche Matteo Renzi, come chi lo ha preceduto (Monti e Letta), sembra ritenere che il problema principale del mercato del lavoro in Italia sia la rigidità dei contratti, non la carenza di domanda. Perciò, nonostante nel solo 2013 si siano persi 413mila posti di lavoro (dati Istat), il primo pezzo del tanto annunciato Jobs Act è una ulteriore flessibilizzazione dei contratti di lavoro, con la possibilità di rinnovare quelli a termine fino a cinque volte in tre anni”.

Rocchina Staiano

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