Irpef e service Tax più care per abolire l’Imu

Redazione 02/09/13
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L’Imu è stato abolito ma come era prevedibile questo provvedimento non risolve gran che nel panorama fiscale italiano, nonostante il Governo si produca in annunci trionfalistici su un futuro “tax free”. Purtroppo la confusione regna a sovrana e, naturalmente, chi ne risente sono i contribuenti a cui si fa credere di non pagare più una tassa che in realtà ha solo cambiato nome e sembianze e che probabilmente costerà anche di più, visto che i soldi per le coperture non ci sono e da qualche parte vanno presi.

Dall’Imu alla service tax, dall’imposta sulla casa, ad una che raccorda tutti i servizi, tares compresa, che i comuni offrono ai proprietari di immobili e inquilini. Tuttavia, come detto, non è tutto oro quel che luccica; sono stati trovati solo 2 miliardi di coperture e con questa cifre si cancella solo la prima rata di giugno dell’Imu e nemmeno su tutte le prime case, visto che fabbricati di lusso la corrisponderanno. La seconda rata, quella di dicembre, sarà eliminata dalla legge di stabilità dove ci si augura che vengano reperiti i 2 miliardi necessari per coprire il buco generato dalla cancellazione che, al momento, non ci sono.

Quello che il Governo però non dice sui fondi trovati per permettere lo stop dell’Imu è che è stata attivata una nuova tassa, che poi tanto nuova non è, visto che si tratta della reintroduzione dell’Irpef; saranno infatti almeno 6 milioni e 300 mila gli italiani che pagheranno 125 euro in più di Irpef a partire già dal 2013 e 201 a partire dal 2014. Dati alla mano a rimetterci sarà principalmente il ceto medio dal momento che la maggior parte di questi contribuenti, ossia il 90% di quei 6,3 milioni,  presenta un reddito inferiore ai 55 mila euro lordi annui, il limite previsto dal Governo per la contribuzione. Dunque saranno colpiti lavoratori dipendenti e pensionati.

Il problema si trova nell’articolo 12 del decreto Imu, in vigore da sabato scorso, dove viene dimezzato per quest’anno “il limite massimo di fruizione” per detrarre dall’Irpef il 19% dei premi di assicurazione sulla vita, contro gli infortuni e la non autosufficienza. Se fino ad oggi quel tetto era di 1.291 euro, per il 2013 diventa 630 euro e addirittura 230 euro dal 2014 in poi, appena un quinto. Tra l’altro, ancora una volta, l’operazione è retroattiva e dunque viola lo Statuto del Contribuente, una legge dello Stato che impone la valenza solo per il futuro delle norme fiscali.

Questo in pratica comporta che se fino a pochi mesi fa – nella dichiarazione dei redditi di maggio – al rigo E12 del 730 si poteva “scalare” dall’imposta sui redditi un massimo di 245 euro (il 19% del vecchio tetto), dal prossimo maggio quel rigo potrà contenere al più 120 euro, dal 2015 appena 44 euro, con una corrispettiva impennata dell’Irpef.

In base alle dichiarazioni del 2012, quindi riferite ai redditi del 2011, sarebbero più di 6 milioni gli italiani che godono di questo vantaggio fiscale che costa allo Stato 685 milioni di euro annui. La maggior parte risiedono al Centro-Nord, oltre un milione nella sola Lombardia, mezzo milione sia nel Piemonte che nel Lazio. Questo bonus era inserito tra le “misure a rilevanza sociale” nel famoso Rapporto sull’erosione fiscale del 2011  dell’ex sottosegretario all’Economia Vieri Ceriani, ora consigliere influente di Saccomanni.

“L’agevolazione esiste perché riduce l’intervento del welfare pubblico”, conferma Dario Focarelli, direttore generale dell’Ania (assicurazioni). “Un domani, dovesse succederti qualcosa, peserai di meno sulle casse pubbliche. Ma l’effetto di questa norma, che giudichiamo estremamente negativa, si abbatterà soprattutto su chi vuole assicurarsi, sui cittadini”. Su 65 miliardi totale di premi, il ramo della protezione ne vale 4 e chi vi ricorre lo fa non tanto come opzione di risparmio (in passato era così), ma proprio per lasciare un capitale ai propri cari in caso di morte, infortunio o handicap grave. È vero che spesso questi prodotti sono abbinati alla previdenza integrativa, ma ne sono del tutto svincolati e scelti a prescindere.

Adesso la questione diventa del tutto politica visto che il bilancio dello Stato è davvero al limite. Lo si è visto nel tira e molla dei giorni scorsi sulle coperture al decreto Imu. Alla fine, per non destare preoccupazioni a Bruxelles e garantire il 3% del rapporto tra deficit e Pil, il governo ha pure messo una clausola di salvaguardia con il possibile aumento di acconti delle imprese (Ires e Irap) e delle accise (benzina inclusa).

Il taglio alle detrazioni sulle polizze vale moltissimo: 458 milioni nel 2014, 661 milioni nel 2015, 490 milioni dal 2016. Un’enormità. Non facile da rimpiazzare. Se ne discuterà nuovamente durante l’iter di conversione parlamentare del decreto. Ieri il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, ha ammesso che i tagli ai conti pubblici sono recessivi, eppure hanno “contribuito a evitare scenari peggiori, a contenere e ridurre gli spread e a scongiurare nuove crisi di liquidità”. Ma poi ha aggiunto che non saranno “permanentemente restrittivi”. Non saranno cioè perenni.

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