Il Trust e gli altri atti di vincolo

La recente sentenza del Tribunale di Mantova del 18 aprile 2011 con la quale viene dichiarata la nullità del Trust liquidatorio costituito in stato di insolvenza della società, già preceduta dalla sentenza del Tribunale di Reggio Emilia del 14 marzo 2011 che aveva dichiarato la nullità del Trust liquidatorio anche se costituito in stato di solvenza della società, ed altresì la recente sentenza del Tribunale di Torino del 10 febbraio 2011 che innova nel requisito di opponibilità del Trust ai terzi, dichiarando sufficiente la trascrizione dell’atto di Trust a favore del Trust, senza che con ciò venga elevato a soggetto giuridico, rendono opportuna una disamina sui principali atti di vincolo sotto i profili della causa contrattuale, dei requisiti di opponibilità ai terzi e delle azioni esperibili dai creditori del disponente a tutela delle loro ragioni.

Atti di vincolo: atti di “segregazione patrimoniale” a titolo gratuito.

1. Atti a titolo gratuito e azioni a tutela dei creditori.

Sono atti a titolo gratuito in senso lato gli atti dispositivi attuati senza corrispettivo in assenza di un obbligo giuridico, distinguendosi a sua volta in:

– atti a titolo gratuito in senso stretto se realizzano:

a) un arricchimento del patrimonio del destinatario senza che vi sia depauperamento del patrimonio del disponente, per il quale si verifica solo una “omissio adquirendi” (es. comodato d’uso);

b) un arrichhimento del patrimonio del destinatario cui corrisponde un depauperamento del patrimonio del disponente ma per realizzare un interesse del disponente e solo in aggiunta, direttamente o indirettamente, un interesse del destinatario (es. cessione volontaria di un terreno al Comune in luogo di esproprio);

– atti di liberalità se realizzano esclusivamente un interesse del destinatario e mai un interesse del disponente, con depauperamento del patrimonio del disponente ed un arricchimento del patrimonio del destinatario, distinguendosi in liberalità donative, se rivestono la forma solenne della donazione ex art. 782 del c.c. ed in liberalità non donative se non rivestono la detta forma ma altre forme negoziali tipiche o atipiche (ad esempio il contratto a favore del terzo per i rapporti tra disponente e beneficiario, il pagamento del terzo, la rinunzia ad un diritto reale minore, ecc.), sorretti da causa liberale (non donativa per l’appunto) che rimane spesso esterna al tipo contrattuale utilizzato.

Tali atti sono soggetti all’azione revocatoria ordinaria quinquennale ex art. 2901 c.c. ovvero all’azione revocatoria fallimentare se realizzati nei due anni anteriori alla sentenza di fallimento ex art. 64 della Legge Fallimentare.

Ex art. 64 della L.F. sono inefficaci “de iure” se compiuti dal fallito nel c.d. “periodo sospetto” dei due anni anteriori alla sentenza dichiarativa di fallimento, semprechè tali atti a titolo gratuito risultino sproporzionati rispetto al patrimonio del disponente.

I presupposti previsti dall’art. 2901 c.c. per l’esperibilità dell’azione revocatoria ordinaria ed il sopra detto presupposto della necessaria “sproporzione”  ex art. 64 della L.F.  restringono la tutela dei creditori, i quali, tuttavia, possono esperire a loro tutela (nelle singole fattispecie in appresso esaminate) determinate azioni giudiziarie avuto riguardo ora alla causa contrattuale, ora agli effetti voluti e concretamente realizzati dalle parti e, non ultime, alle speciali disposizioni di legge che regolano nello specifico la materia.

2. Alcuni atti a titolo gratuito: gli atti di vincolo.

Sono gli atti che realizzano una “segregazione” di una parte del patrimonio del disponente, che viene così sottratta alla responsabilità generale sancita dal comma 1° dell’art. 2740 c.c. secondo cui: “Il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”, attuando il principio di cui al comma 2° della citata norma che così recita: “Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge.”

3. Atto costitutivo di fondo patrimoniale.

Ex art. 167 c.c. il fondo patrimoniale consiste nella imposizione convenzionale di un vincolo da parte dei coniugi, o di uno di essi o di un terzo, in forza del quale determinati beni immobili, mobili registrati o titoli di credito, di proprietà di entrambi i coniugi, di uno di essi o di un terzo, sono destinati a far fronte ai bisogni della famiglia.

Ex art. 170 c.c. l’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

a) causa:

la ragione economico-sociale dell’atto è già prevista dalla legge, pertanto l’interesse perseguito dall’atto che enuncia la finalità di far fronte ai bisogni della famiglia, è senz’altro meritevole di tutela giuridica.

La riconducibilità dei debiti alle esigenze della famiglia costituisce un accertamento istituzionale rimesso al giudice di merito (Cassazione n. 12730/07).

La giurisprudenza ha sempre inteso i “bisogni della famiglia” come esigenze volte al “pieno mantenimento ed all’armonico sviluppo della famiglia, nonchè al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi” (Cass. n. 134/84), con l’avvertenza, tuttavia, che “anche le operazioni meramente speculative possono essere ricondotte ai bisogni della famiglia, allorchè appaia certo, in punto di fatto, che essere siano poste in essere al solo fine di impedire un danno sicuro al nucleo familiare” (Cass. n. 5684/2006).

b) opponibilità ai creditori:

necessita l’annotazione dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale a margine dell’atto di matrimonio, poichè trattasi di una convenzione matrimoniale ex art. 162 c.c., con degrado della trascrizione nei pubblici registri immobiliari a semplice pubblicità notizia (Cass. SS.UU. n. 21658/2009).

c) tutela dei creditori:

i beni compresi nel fondo patrimoniale, in quanto sottoposti al vincolo di destinazione del soddisfacimento dei bisogni della famiglia, non possono essere escussi dai creditori sorti nell’ambito dell’attività professionale o imprenditoriale dei coniugi.

Tuttavia, ove ricorrano i presupposti di legge, avverso l’atto costitutivo del fondo patrimoniale i creditori potranno esperire l’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. e l’azione revocatoria fallimentare ex art. 64 L.F.

La Cassazione con la pronuncia n. 24757/2008 ha ridotto l’onere probatorio del creditore attore sull’”eventus damni” ritenendo non dovuta la dimostrazione del “dolo specifico”, ossia la consapevole volontà del debitore di pregiudicare le ragioni del creditore, ma sufficiente la dimostrazione del “dolo generico”, ossia della mera previsione del pregiudizio dei creditori.

L’accertamento del dolo generico nella costituzione di un fondo patrimoniale per sottrarre i beni familiari alle azioni di riscossione dei crediti tributari (che di per sè non hanno attinenza ai bisogni della famiglia ma sorgono automaticamente quando si verificano i presupposti che determinano la nascita dell’obbbligazione tributaria, così Cass. n. 38925/2009) non integra comunque il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui all’art. 11 D. Lgs. n. 74/2000: “la simulazione deve essere connotata dalla fraudolenza, che può essere esclusa quando l’operazione presenti, quale valida e razionale alternativa alla finalità illecita, una giustificazione lecita” (Cass. n. 38925/2009).

4. Atto di vincolo ex art. 2645 -ter del codice civile e Trust.

L’atto di vincolo ai sensi dell’art. 2645-ter c.c. viene attuato da un soggetto disponente a favore di uno o più soggetti beneficiari, determinati o determinabili, con la costituzione di un vincolo di destinazione su uno o più beni per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela giuridica. Tale atto può essere unilaterale se si limita ad apporre il vincolo a favore di terzi su beni che rimangono di proprietà del disponente, realizzandosi così un atto a titolo gratuito a favore di terzi (se soddisfa l’ascusivo interesse del beneficiario è una liberalità non donativa diretta), ovvero assumere la struttura di atto bilaterale ove l’atto di vincolo sia contestuale ad un trasferimento di diritti reali immobiliari dal disponente ad un terzo gestore che adempirà all’obbligazione di amministrare nell’interesse di terzi soggetti ben individuati.

L’atto di vincolo in quest’ultimo caso realizza una intestazione fiduciaria dei beni in capo al gestore e un atto a titolo gratuito a favore del beneficiario (più precisamente se soddisfa l’esclusivo interesse del beneficiario trattasi di una liberalità non donativa).

Secondo un orientamento dottrinario l’istituto ex art. 2645 – ter c.c. ha introdotto nel nostro ordinamento l’istituto del Trust, già disciplinato dalla Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985, ratificata dall’Italia con la Legge n. 364/1989, ma sembra preferibile la tesi secondo cui i due istituti vanno tenuti distinti e ritenere il Trust ancora non disciplinato dal diritto italiano.

La norma dell’art. 2645 – ter c.c. non introduce nel nostro ordinamento un nuovo tipo negoziale di destinazione, ma un effetto negoziale accessorio rispetto agli altri effetti di un negozio tipico o atipico cui può accompagnarsi. In altri termini, tale norma non disciplina un nuovo negozio di destinazione traslativo, ma un effetto, quello di destinazione, che può derivare da un negozio tipico o atipico voluto dalle parti.

Nel Trust, invece, l’effettivo trasferimento della proprietà al trustee rappresenta l’effetto naturale della fattispecie.

Diversi appaiono i due istituti per altri apsetti, l’art. 2645 -ter c.c. menziona quale possibile oggetto iniziale i beni immobili ed i beni mobili registrati e solo successivamente il vincolo potrà riguardare i frutti successivamente prodotti dai detti beni. Nel Trust l’oggetto può essere qualunque bene suscettibile di valutazione economica.

Nel Trust si verifica sempre il fenomeno della surrogazione reale, ossia la sostituzione immediata ed automatica del bene alienato con il suo corrispettivo, nell’istituto ex art. 2643 – ter c.c. tale surrogazione non è un effetto automatico ma deve essere oggetto di scelta da parte dell’autonomia privata.

Infine, l’Istituto ex art. 2645 – ter c.c., a differenza del Trust, non può avere durata illimitata e manca di un soggetto che controlli l’operato del gestore, il c.d. guardiano, che comunque potrebbe essere oggetto di apposita istituzione con il mezzo negoziale scelto.

La dottrina e la giurisprudenza maggioritarie ammettono il Trust cosiddetto “interno” in cui l’unico elemento di internazionalità è rappresentato dalla legge regolatrice, basandosi:

– sull’art. 6 della Convenzione dell’Aja, che consente al disponente la più ampia scelta riguardo alla legge regolatrice del Trust, purchè sia una legge che preveda l’istituto così come definito all’art. 2 della Convenzione;

– sull’art. 13 della detta Convenzione, che viene interpretato quale norma che consente al Giudice di non riconoscere il Trust regolato da legge straniera nel caso in cui non sia meritevole di riconoscimento in quanto realizzi un abuso di diritto, una frode ai principi inderogabili della legge italiana.

a) causa:

trattasi di istituti tipici con causa atipica, poichè viene lasciata all’autonomia privata l’individuazione della ragione economica-sociale da perseguire, che deve essere meritevole di tutela giuridica.

Il requisito della meritevolezza degli interessi perseguiti determina l’esistenza e la validità della causa contrattuale e giustifica la segregazione del patrimonio destinato sottraendolo alla generica garanzia dei creditori prevista dalla norma di cui all’art. 2740 c.c.

Una tesi ritiene sufficiente un fine lecito, altra tesi ritiene necessario anche che il fine sia lecito ma non futile.

E’ indubbio che il giudizio di meritevolezza non può prescindere dalla durata del vincolo e dalla congruità del valore dei beni destinati.

La mancanza di meritevolezza degli interessi perseguiti determina la mancanza della causa, con conseguente nullità dell’atto dispositivo ora ai sensi dell’art. 1322 c.c. ora per frode alla legge ai sensi dell’art. 1344 c.c..

Si segnala la recente sentenza del Tribunale di Mantova del 18 aprile 2011 che ha affermato la nullità del Trust in funzione liquidatoria in quanto atto in frode alla legge poichè diretto ad eludere le norme imperative che presiedono alla liquidazione concorsuale (art. 1344 c.c.), affermando che “il Trust liquidatorio istituito quando l’impresa era già insolvente, al fine di armonizzarsi con l’art. 15 della Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985 resa esecutiva con legge n. 364 del 16 ottobre 1989, deve necessariamente contenere delle clausole che ne limitino l’operatività in caso di insolvenza conclamata, in particolare prevedendo la restituzione dei beni conferiti in Trust al curatore. In difetto l’atto deve ritenersi affetto da nullità in quanto diretto ad eludere le norme imperative che presiedono alla liquidazione concorsuale”.

Anche il Tribunale di Milano con sentenza del 29 ottobre 2010 afferma la nullità dell’atto costitutivo di Trust liquidatorio costituito in stato di insolvenza dell’impresa, poichè avrebbe dovuto contenere clausole che prevedano la restituzione dei beni conferiti in Trust al curatore fallimentare.

Il Tribunale di Reggio Emilia con sentenza del 14 marzo 2011 dichiara la nullità del Trust liquidatorio in quanto non meritevole di tutela, anche se costituito durante la fase di solvenza dell’impresa,  affermando che il trust in esame non fornisce alcuna utilità aggiuntiva alla liquidazione della società se non quella di sgravare il liquidatore dei compiti ad esso imposti dalla legge e di assegnargli la posizione di Trustee.

Ultimo opportuno rilievo in materia di causa del Trust riguarda la possibile causa onerosa di tale atto di vincolo.

La causa gratuita o onerosa di tale atto si determina avuto riguardo al rapporto tra disponente e destinatario: è gratuita la causa se l’atto è sotteso da finalità liberali del disponente nei confronti dei beneficiari, è onerosa ove il disponente vincoli i beni all’adempimento di una obbligazione. In questo senso il Tribunale di Alessandria con sentenza del 24 novembre 2009 ha ritenuto che avesse natura solutoria l’atto istitutivo di un Trust finalizzato al superamento della crisi dell’impresa mediante la predisposizione di un piano ai sensi dell’art. 67 lett. d) Legge fallimentare.

b) opponibilità ai creditori:

l’opponibilità dei detti atti di vincolo ai creditori del disponente ed ai creditori del gestore,  ai sensi degli artt. 2643 e ss. c.c., è subordinata alla trascrizione nel pubblici registri immobiliari non solo dell’atto traslativo (da trescriversi contro il disponente ed a favore del gestore) ma anche del vincolo di destinazione da cui deriva la segregazione dei beni. La trascrizione di tale vincolo (e quindi l’opponibilità) si attua  con la trascrizione dell’atto istitutivo a carico del gestore (che potrebbe coincidere col disponente).

Con specifico riferimento al Trust, altra tesi ritiene sufficiente una sola trascrizione contro il disponente ed a favore del Trust, poichè tale istituto costituisce un centro di imputazione autonomo di interessi giuridici, senza che con ciò venga elevato a soggetto giuridico (Trib. Torino, sez. III civ. 10 febbraio 2011).

c) tutela dei creditori:

i beni sottoposti al vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c. o al vincolo del Trust, non possono essere escussi dai creditori personali del disponente, nè dai creditori del fiduciario o del Trustee, nè dai creditori dei beneficiari, i quali potranno tuttal più far valere le loro ragioni sul credito maturato in capo ai beneficiari loro debitori.

I detti beni possono costituire oggetto di esecuzione solo per debiti contratti nell’ambito dell’attività diretta al perseguimento dello scopo meritevole di tutela.

Tuttavia, ove ricorrano i presupposti di legge i creditori del disponente potranno esperire l’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. e l’azione revocatoria fallimentare ex art. 64 L.F., ed altresì l’imprescrittibile azione di nullità dell’atto per mancanza di causa o per impossibilità della causa contrattuale, oltre alla imprescrittibile azione di simulazione di cui si tratterà in appresso.

5. Patrimoni destinati ad un unico specifico affare ex art. 2447 – bis c.c.

L’art. 2447 bis c.c. prevede che la società può costituire uno o più patrimoni ciascuno destinato in via esclusiva ad uno specifico affare.

Il patrimonio “destinato” rimane nella disponibilità della società titolare e non assume soggettività giuridica.

La disposione in esame deroga al principio generale di cui all’art. 2740 c.c. poichè una parte del patrimonio sociale viene sottratto alla sua funzione di garanzia di tutti i creditori sociali a beneficio dei creditori sorti nella realizzazione di quello specifico affare.

Trattasi di un semplice atto di gestione che non comporta modifica della statuto sociale, cui va apposto un termine finale poichè il patrimonio “destinato” deve rientrare nel patrimonio generale della società ed adempiere, alla fine, alla iniziale funzione di garanzia di tutti i creditori sociali.

Per evitare una eccessiva “parcellizzazione della responsabilità patrimoniale della società” la legge pone il limite del dieci per cento del patrimonio netto sociale per tutti i patrimoni destinati ad uno specifico affare nell’ambito della stessa società.

Oltre al rispetto del limite quantitativo predetto, appare necessario che il vincolo di destinazione riguardi un patrimonio di per sè congruo al raggiungimento dello specifico affare.

Al fine di verificare predetti limiti quantitativi e di congruità è opportuno la redazione di una perizia giurata di stima del patrimonio destinato allo specifico affare.

a) causa:

trattasi di un istituto tipico con causa tipica, che ha già scontato il giudizio di meritevolezza a livello legislativo.

Lo specifico affare è naturalmente determinato tra quelli che rientrano nell’oggetto sociale, che si pone come limite alla delibera dell’organo amministrativo istitutiva del patrimonio destinato (art. 2447 ter c.c.).

La non congruità del patrimonio destinato o il superamento del limite di legge del dieci per cento, comportano che il vincolo di destinazione ha una causa impossibile e/o “contra legem”, pertanto è inopponibile ai creditori generali della società non essendosi verificata la “segregazione patrimoniale”.

b) opponibilità ai creditori:

ai sensi dell’art. 2447 quater c.c. la delibera dell’organo amministrativo istitutiva del patrimonio destinato ad uno specifico affare va depositata ed iscritta nel Registro delle Imprese a norma dell’art. 2436 c.c..

Il verbale notarile è previsto dalla legge solo nel caso in cui facciano parte del patrimonio destinato beni immobili o mobili registrati, essendo necessaria in tal caso la trascrizione nei pubblici registri immobiliari. Ciò non toglie che l’autonomia statutaria possa prevedere la necessità della verbalizzazione notarile in ogni caso di istituzione di patrimonio destinato.

Affinchè un atto compiuto dagli amministratori in relazione al patrimonio destinato, sia opponibile ai creditori generali della società ed ai creditori particolari sui beni che fanno parte del patrimonio destinato, è necessaria la menzione del vincolo di destinazione e, al fine di rafforzare tale opponibilità, può essere opportuno istituire, utilizzare e far menzione di segni distintivi del patrimonio destinato.

c) tutela dei creditori:

compete loro l’azione di nullità della delibera istitutiva in caso di superamento del limite patrimoniale di legge o per mancanza di congruità del patrimonio destinato rispetto all’affare da conseguire.

Per i creditori sociali anteriori alla costituzione del patrimonio destinato, l’atto di vincolo ha l’effetto di sottrarre il patrimonio destinato alla loro naturale garanzia, diventando esclusiva garanzia dei creditori sorti nell’esecuzione di quello specifico affare. Quest’ultima categoria di creditori dovrà preoccuparsi solamente dell’andamento di quello specifico affare e non anche dei problemi che possono coinvolgere il generale e restante patrimonio sociale, che non hanno influenza sullo sviluppo del patrimonio destinato.

Infine, va individuata una terza categoria di creditori, quelli sorti dopo la costituzione del vincolo di destinazione: questi sono nella condizione di conoscere a quanto ammonta il patrimonio disponibile della società, sottratto quanto è stato destinato allo specifico affare.

Per quanto sopra esposto, ai creditori sociali anteriori alla costituzione del patrimonio destinato è riservato il diritto di opposizione di cui al comma 2 dell’art. 2447 quater c.c. da esercitarsi nel termine di sessanta giorni dalla iscrizione della deliberazione costitutiva nel registro delle imprese. In pendenza del giudizio di opposizione, il Tribunale, su richiesta della società, può disporre che la deliberazione sia eseguita previa prestazione da parte della società di idonea garanzia per il pagamento del creditore opponente.

Secondo un orientamento dottrinario (Locoratolo, Patrimoni destinati ed azione revocatoria, in Quaderni di giurispr. comm., Milano, 2004, p. 403 e ss) risulta dubbia l’esperibilità della azione revocatoria ordinaria avverso l’atto istitutivo del patrimonio destinato proprio perchè la legge avrebbe già previsto a tutela dei creditori sociali il rimedio specifico dell’opposizione.

Sembra preferibile estendere anche agli atti di vincolo in esame l’azione revocatoria, sia per la considerazione che nessuna limitazione legislativa è prevista per il caso in esame, sia per motivi di ordine logico-giuridico: i diversi termini, sessanta giorni per l’esperibilità dell’azione di opposizione, cinque anni per l’esperibilità dell’azione di revocazione ordinaria, non rendono incompatibili le dette azioni, ben potendo quest’ultima azione far valere elementi di fatto e di diritto pregiudizievoli che si rivelano o sopraggiungono solo dopo il decorso del termine di sessanta giorni previsto per l’opposizione.

In relazione alla revocatoria fallimentare in presenza di un patrimonio destinato, la norma di cui all’art. 67 bis della Legge Fallimentare dispone che “Gli atti che incidono su un patrimonio destinato ad uno specifico affare previsto dall’art. 2447 bis primo comma, lett. a) c.c., sono revocabili quando pregiudicano il patrimonio della società. Il presupposto soggettivo dell’azione è costituito dalla conoscenza dello stato di insolvenza della società.”

6. Azione di simulazione a tutela dei creditori avverso gli atti di vincolo.

Il creditore potrà esperire a sua tutela avverso gli atti di vincolo sopra citati l’imprescrittibile azione di simulazione fornendo la prova in giudizio che i beni “destinati” a quello specifico scopo sono stati “distratti” dalla destinazione dichiarata dal disponente o comunque di fatto rimasti inutilizzati per il raggiungimento dello scopo dichiarato.

Nei casi di Trust e di atti di vincolo ex art. 2645-ter c.c.  può avvalersi a proprio favore in sede probatoria della condotta del beneficiario che non faccia valere l’inadempimento del disponente proprietario del bene o del terzo gestore, mostrando così una acquiescenza alla volontà del disponente di porre in essere un negozio simulato.

La “segregazione” del patrimonio destinato ad uno “specifico scopo” rispetto al restante patrimonio del disponente, derogandosi così al principio espresso dall’art. 2740 del codice civile, trova riconoscimento e tutela nel nostro ordinamento giuridico solo in quanto sia effettivamente diretto alla realizzare un interesse giuridico meritevole di tutela, che venga di fatto perseguito e realizzato. 

Nunziata Parrino notaio

Nunziata Parrino

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