Che cosa si intende per titolo esecutivo?
Possiamo definire il titolo esecutivo come condizione necessaria e sufficiente per esercitare l’azione esecutiva. Più precisamente condizione sufficiente perché basta essere in possesso di un titolo tra quelli individuati dal codice di rito per iniziare ad avvalersi del procedimento esecutivo previsto dalla legge, mentre è condizione necessaria perché se si è privi di tale documento non si può dar inizio alla suddetta procedura. Giova ricordare che il titolo esecutivo, esistente al momento in cui inizia l’esecuzione, non deve venire meno durante il suo svolgimento. E, ancora, il titolo esecutivo è al contempo un atto di accertamento e un documento probatorio, in quanto allo stesso tempo afferma l’esistenza di un diritto di credito in capo ad un soggetto – creditore – e ne costituisce la prova. Sulla base di queste caratteristiche intrinseche del titolo esecutivo, il Legislatore fonda la possibilità di azionare la procedura esecutiva per soddisfare il diritto che il debitore non ha spontaneamente adempiuto.
Difatti, l’art. 474 , comma 1 c.p.c. prevede che l’esecuzione forzata può aver luogo solo se si è in possesso di un titolo esecutivo che abbia ad oggetto un diritto certo, liquido ed esigibile.
Per certezza del diritto si deve intendere l’esistenza del titolo, per liquidità che il credito sia costituito da un ammontare determinato, oppure determinabile, infine, per esigibile non deve cioè essere sottoposto a termini o condizioni di alcun tipo.
Il comma 2 dell’art. 474 c.p.c. specifica quali sono i documenti e gli atti che la legge definisce titoli esecutivi. Dall’analisi della suddetta disposizione si desume che i titoli esecutivi possono distinguersi in due distinte categorie: titoli giudiziali e titoli stragiudiziali.
Sono titoli esecutivi giudiziali “le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti a cui la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva” (comma 2, n.1, art. 474 c.p.c.). Si tratta delle sentenze di condanna passate in giudicato, delle sentenze di primo grado provvisoriamente esecutive e degli altri atti che la legge dichiara espressamente esecutivi come ad esempio i verbali di conciliazione, i decreti ingiuntivi, le licenze e gli sfratti convalidati, etc..
Costituiscono titoli stragiudiziali, invece, le scritture private autenticate per quanto riguarda le obbligazioni di somme in denaro in esse contenute, le cambiali e gli altri titoli di credito a cui la legge attribuisce espressamente l’efficacia di titolo esecutivo come ad esempio nel caso degli assegni. Ricadono in questa categoria anche gli atti ricevuti dal notaio o da altro pubblico ufficiale che sia autorizzato dalla legge a riceverli come ad esempio le ricognizioni di debito (comma 2, n. 2-3, art. 474 c.p.c.). A questo elenco occorre, infine, aggiungere le decisioni delle istituzioni dell’Unione Europea e i titoli esecutivi europei disciplinati dal Regolamento UE n. 805/2004.
Il creditore, dunque, quando è in possesso di un titolo esecutivo può servirsene, attivando una procedura di esecuzione forzata. Ciò è possibile solo dopo che il titolo sia stato munito di formula esecutiva ex art. 475 c.p.c. Si dice che il titolo viene spedito in forma esecutiva quando il cancelliere, il notaio o altro pubblico ufficiale appone sull’originale o su una copia autentica del titolo la suddetta formula, la quale riporta l’intestazione “Repubblica Italiana – In nome della legge” e l’enunciazione prevista dal comma 3 dell’art. 475 c.p.c.
Si badi bene, quando il titolo esecutivo è formato da assegni, cambiali o scritture private autenticate non occorre l’apposizione della formula in quanto il creditore è già in possesso dell’originale.
Il procedimento esecutivo consta di più atti e si svolge sotto la direzione di un giudice: il Giudice dell’Esecuzione ex art. 484 c.p.c.. Il potere riconosciuto al Giudice dell’Esecuzione è un potere di direzione del processo esecutivo. Ciò è confermato dalla Suprema Corte : “il potere conferito dal vigente ordinamento processuale al giudice dell’esecuzione, al fine di pervenire al soddisfacimento dei creditori procedenti o intervenuti, è un potere di direzione del processo esecutivo, che si concreta nel compimento della serie successiva e coordinata degli atti che lo costituiscono, e cioè nel compimento diretto di atti esecutivi e nell’ordine, ad altri impartito, di compimento di atti esecutivi, nonché del successivo controllo della legittimità ed opportunità degli atti compiuti, con il conseguente esercizio del potere soppressivo e sostitutivo, contenuto nell’ambito e nei limiti segnati dalle norme di rito che disciplinano il processo esecutivo” (Cass. 22.12.1977, n. 5697). Più precisamente detto procedimento si articola in tre fasi:
1° FASE: il pignoramento – atto con il quale i beni sottratti alla libera disponibilità del debitore vengono sottoposti al potere dell’ufficio esecutivo;
2° FASE: la liquidazione dell’attivo, id est i suddetti beni vengono trasformati in somma di denaro;
3° FASE: la distribuzione di quanto ricavato ai creditori.
E’ bene sottolineare che la struttura del procedimento esecutivo cambia a seconda della natura dei beni coinvolti ( immobili, mobili e crediti) e del luogo in cui gli stessi si trovano (presso il debitore o presso terzi).
Solitamente al creditore è riconosciuta la facoltà di scegliere quali beni “colpire” con l’esecuzione e, conseguentemente, il tipo di procedura da adottare.
In sede di opposizione l’art. 483 del codice di rito riconosce al debitore la possibilità di proporre al Giudice dell’Esecuzione la domanda volta ad ottenere la limitazione dell’azione del creditore quando questa è eccessiva.
In che modo ha inizio l’espropriazione ?
La risposta è fornita dall’art. 491 c.p.c. dove si legge: “Salva l’ipotesi prevista nell’art. 502, l’espropriazione forzata si inizia con il pignoramento” Chi scrive ritiene a questo punto aprire una breve parentesi per evidenziare che la procura conferita al difensore per il procedimento per decreto ingiuntivo si estende anche all’atto di pignoramento perché detto atto è strettamente connesso con il precetto ( vedasi Cass. 03.06.1996, n. 5087).
Il pignoramento è, dunque, il primo atto del processo espropriativo e consiste “in un’ingiunzione che l’ufficiale giudiziario fa al debitore di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito esattamente indicato i beni che si assoggettano all’espropriazione e i frutti di essi”.
Quanto alla forma viene redatto dall’Ufficiale Giudiziario un verbale dal quale risulta, oltre che l’ingiunzione, la descrizione di tutte le cose pignorate, il loro stato (tramite rappresentazione fotografica o audiovisiva) e la determinazione approssimativa del presumibile valore di realizzo stabilito con l’assistenza, se ritenuta necessaria o richiesta dal creditore, di un esperto stimatore scelto dall’ufficiale giudiziario.
Tramite il pignoramento, dunque, i beni sottratti alla libera disponibilità del debitore sono vincolati a favore del creditore procedente, nonché di quelli che dovessero intervenire nel procedimento. E’ possibile effettuare più pignoramenti con riferimento ai medesimi beni; in questo caso, però, pur essendo atti tra di loro autonomi, non si hanno altrettanti procedimenti. Si ricorda che l’interesse del creditore trova una maggiore garanzia mediante un pignoramento successivo anziché un atto di intervento in un procedimento iniziato da altro creditore pignorante. Difatti, l’invalidità del pignoramento iniziale si ripercuote anche sull’atto di chi è intervenuto nello stesso procedimento, mentre non pregiudica gli effetti del successivo pignoramento. Gli atti con i quali il debitore aliena o dispone delle cose pignorate sono inefficaci nei confronti del creditore.
Quali sono gli effetti del pignoramento?
Il pignoramento, nelle varie specie, produce l’effetto di rendere inopponibili al creditore procedente e agli altri creditori che intervengono nell’esecuzione, gli atti di disposizione compiuti sui beni pignorati (come per esempio la vendita e le cessioni dei crediti).
Si precisa che per gli immobili vale la regola dell’anteriorità della trascrizione; per i beni mobili il principio della tutela del terzo acquirente che abbia acquistato il possesso in buona fede. Si vedano, in proposito, gli articoli 2912 e segg. del codice civile.
Il debitore può evitare il pignoramento? In che modo può farlo?
La risposta è positiva: il debitore, può liberarsi dal pignoramento se versa una somma di danaro; così può prevenirlo se corrisponde nelle mani dell’Ufficiale Giudiziario l’importo del credito e delle spese affinché questi lo destini al creditore. Il versamento nelle mani dell’Ufficiale Giudiziario della somma per cui si procede e dell’importo delle spese con l’incarico di consegnarli al creditore, effettuato dal debitore al fine di evitare il pignoramento ha contenuto e valore di pagamento e produce effetti liberatori immediati.
Se ci sono più creditori, il debitore dovrà versare una somma pari all’ammontare dei crediti e delle spese. Il procedimento, a questo punto, prosegue concludendosi con la distribuzione della somma ricavata fra i creditori stessi. In ogni caso, anche dopo il pignoramento, il debitore può liberarsi da quest’ultimo ed evitare la fase della vendita se provvede a corrispondere una somma pari all’ammontare dei crediti e delle spese in sostituzione dei beni pignorati. Non va poi dimenticata la facoltà riconosciuta al debitore ex art. 496 c.p.c di chiedere la riduzione del pignoramento quando questo colpisce beni di valore superiore al credito ed alle spese.
Quando il pignoramento perde efficacia?
Ai sensi dell’art. 497 c.p.c. perde efficacia quando dal suo compimento sono trascorsi novanta giorni senza che sia stata chiesta l’assegnazione o la vendita. A detto termine si ricordi è applicabile la sospensione feriale.
Come già anticipato, l’espropriazione forzata è un procedimento che prevede la partecipazione di altri creditori ( cosiddetto intervento), oltre a quello procedente. L’intervento, che non richiede la notifica del precetto dal momento che la procedura è iniziata da altri, è consentito ai creditori ipotecari, privilegiati e chirografari e, ancora, nel solo caso di espropriazione immobiliare, ai titolari di crediti sottoposti a termine o a condizione. Si fa presente che per essere inseriti nel riparto i creditori devono intervenire prima della distribuzione del ricavato. Il creditore procedente – pignorante deve sempre segnalare l’esistenza della procedura ai creditori muniti di ipoteca o di privilegio risultanti da pubblici registri. In caso contrario, il Giudice dell’Esecuzione non può provvedere sull’istanza di assegnazione o di vendita dei beni pignorati.
Terminata la fase rappresentata dal pignoramento ha inizio quella destinata alla trasformazione o meglio conversione dei beni pignorati in somma di denaro. Tale finalità si realizza di solito con la vendita forzata anche se è possibile, con le dovute cautele, che il bene sia assegnato direttamente al creditore a soddisfazione delle sue pretese.
I creditori non possono proporre l’istanza di vendita se prima non sono trascorsi dieci giorni dal pignoramento. La vendita forzata può farsi con o senza incanto:
– senza incanto a mezzo di commissionario: in questo caso il giudice, sentito eventualmente uno stimatore, fissa il prezzo minimo e l’importo globale fino al raggiungimento del quale la vendita dovrà essere eseguita;
– all’incanto: il giudice con provvedimento di vendita, stabilisce il giorno, l’ora e il luogo della vendita, nonchè il prezzo di apertura dell’incanto, oppure dispone che la vendita avvenga al miglior offerente senza determinare il prezzo minimo
Effetto tipico dell’acquisto in sede di esecuzione è quello purgativo. Che cosa significa? Nel senso che il bene ceduto viene trasferito libero da ipoteche e da pegni. La soddisfazione del credito può ottenersi anche mediante l’attribuzione diretta del bene pignorato al creditore. In questo caso, è necessario determinare il valore per stabilire se il credito possa essere soddisfatto in toto o parzialmente. L’eventuale differenza che residuasse va restituita al debitore.
Conclusasi la fase della conversione ci si addentra nella terza fase: la distribuzione del ricavato tra i creditori. A tal fine occorre tener conto dell’ordine nel quale i vari crediti debbono essere pagati. I criteri previsti sono i seguenti:
– le spese processuali hanno la priorità assoluta;
– vanno poi soddisfatti i creditori muniti di privilegi e di ipoteche in base ai rispettivi diritti di prelazione;
– i creditori chirografari che siano intervenuti tempestivamente e ai quali il ricavato si distribuisce in proporzione ai rispettivi crediti;
-l’eventuale residuo viene suddiviso proporzionalmente tra i creditori chirografari tardivamente intervenuti.
Infine, se avanza ancora qualcosa deve essere consegnata al debitore. La formazione del cosiddetto piano di riparto può dar luogo ad eventuali controversie tra i creditori circa la collocazione dei rispettivi crediti. In questo caso il Giudice dell’Esecuzione sospende il procedimento e, qualora non sia competente a conoscere queste vertenze, rimette le parti davanti al giudice competente. In ipotesi contraria, una volta emesso il provvedimento di sospensione del pagamento delle quote spettanti ai vari creditori, passa ad esaminare la controversia dando luogo a un procedimento di cognizione che si inserisce all’interno del processo esecutivo.
La scrivente ha voluto, in modo chiaro, semplice e lineare descrivere le fasi in cui si articola il procedimento esecutivo, anche se il consiglio, visto la complessità della materia, è quello per chi viene “colpito” da un atto di pignoramento di rivolgersi, sin dalle prime fasi, ad un buon legale di fiducia!
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