Il premier Monti e il federalismo fiscale

Ettore Jorio 18/11/11
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Non so dire a quanti mancherà il ministro Calderoli. Così come non so dire perché, sia nella fase terminale del berlusconismo che in quella che ha preceduto la formazione dell’attuale governo, non si è affatto accennato al federalismo fiscale. Al suo futuro. A come andrà a finire.

Infatti, fatta eccezione per un solo richiamo del presidente Monti, in sede di replica al Senato, nessun esplicito impegno in tal senso.

Eppure è legge dello Stato. Invero, con la legge delega 42/08 e gli otto decreti attuativi, che ne sono conseguiti, i suoi paletti legislativi sono belli e pronti per essere ossequiati.

Come dire, i blocchi di partenza sono sulla pista. C’è anche l’ometto pronto allo start. Latitano gli atleti e il traguardo attende invano.

E’ vero che mancano all’incirca 100 provvedimenti applicativi, ma il grosso è fatto. Peraltro, condiviso bipartisan, fatta eccezione per l’Udc e il decreto legislativo che riguarda la fiscalità municipale, opposto dal PD.

E allora perché nessuno ne parla?

Come si diceva, neppure il nuovo Premier vi ha fatto menzione alcuna nella dichiarazione programmatica (salvo un velato richiamo al d.lgs. 23/11 in tema di IMU/ICI), nonostante esso regoli il nuovo sistema di finanza pubblica, rinnovandolo radicalmente!

Muta il meccanismo che manda in soffitta la spesa storica sostituita dai costi standard.

In buona sostanza, il federalismo fiscale costituisce il rinnovato sistema attraverso il quale si renderanno garanti i principali diritti sociali (in primis, sanità, assistenza e scuola) e si assicurerà il funzionamento degli enti locali.

A fronte di una tale irrinunciabile esigenza, un silenzio che fa rumore. Che induce a preoccupazioni, e non di poco conto.

Insomma, un bel dilemma. C’è chi si augura, persino, un passo indietro, che significherebbe la riscrittura dell’art. 119 della Costituzione, con un repentino ritorno al centralismo.

C’è chi, invece, auspica una riscrittura “riparatoria” dei decreti delegati più significativi. Primi fra tutti, quello sul federalismo municipale, ma anche quello sui costi standard. Un modo, questo, per rendere l’attuazione del federalismo fiscale una concreta realtà e, con essa, la cura ai grandi mali. Quelli che hanno afflitto il governo della spesa pubblica e, pertanto, generato l’inenarrabile debito che condiziona negativamente il Paese.

Su tutto, vi è quindi la necessità di dare ordine alla spesa sub-statale (e non solo) non trascurando la qualità delle prestazioni essenziali da rendere esigibili alla collettività. Lo pretende la Costituzione!

Bisogna fare presto a ridare fiducia ai cittadini e ai mercati.

I primi, impauriti dall’abbandono, per esempio, della sanità pubblica, sempre più precaria, incartata dalle liste d’attesa e dalle discriminazioni. Ma anche dal venire meno delle sicurezze di ieri, finanche del rimborso dei titoli di Stato che hanno fatto da compagnia ai loro risparmi.

I secondi, disposti ad una salutare inversione di marcia a condizione che si metta in moto il governo del “sapere fare”, che mandi in soffitta quello del “fare comunque e a prescindere”, purché utile alla sopravvivenza della vecchia politica. Quella che si spera non continui a sopravvivere anche per “interposte persone”.

Dunque, vi è sul tavolo, bella e pronta per essere giocata, una nuova partita. Da affrontare con le dovute cautele e una buona dose di coraggio.

Requisiti che i rappresentanti dei saperi, diligentemente chiamati a fare parte del nuovo Governo, sapranno certamente mettere a disposizione del Paese. Impegnandosi per il migliore esordio di quel federalismo fiscale equo e solidale, che sappia distribuire le risorse in modo da garantire l’unità sostanziale della Repubblica, attraverso l’erogazione uniforme dei diritti civili e sociali.

Questo sarà il modo più corretto per rinviare al mittente quegli indici alzati che, unitamente alle vicende vissute con allarmante disinvoltura dall’ex Premier, hanno contribuito a dare dell’Italia esclusivamente un’immagine hard.

Ettore Jorio

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