Fiscalità locale: Equitalia non lascia, anzi “raddoppia”. E diventa monopolista

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La volubilità del Legislatore sembra abbia condizionato anche la stesura dell’articolo 53 del c.d. decreto “Fare” (in corso di pubblicazione in G.Uff.). Stando all’articolato pubblicato il 17 giugno da “Leggi Oggi”, il citato articolo 53 – a soli pochi giorni dall’entrata in vigore del comma  2-ter  dell’art. 10  del D.L.  n. 35/2013 – torna ad occuparsi della annunciata uscita del gruppo Equitalia dalla riscossione delle entrate comunali. Ma riserva un’inattesa sorpresa: Equitalia non lascia più i comuni, anzi raddoppia. E diventa monopolista.

La novella, infatti, “al fine di favorire il compiuto, ordinato  ed efficace riordino della disciplina delle attività di gestione e riscossione delle entrate dei Comuni

  • ribadisce la facoltà per i comuni di prorogare alle società del gruppo Equitalia, fino al 31/12/2013, gli affidamenti in essere relativi alla riscossione delle entrate comunali (tuttavia, la norma sottolinea che, dopo ben cinque proroghe consecutive, la proroga fino a fine anno sarebbe stavolta “inderogabile“, indi l’ultima);

– introduce la possibilità per i comuni (che hanno affidamenti in essere con il gruppo Equitalia) di costituire un (non meglio definito) “consorzio” che sarebbe, a sua volta, obbligato ad affidare direttamente (senza gara) al gruppo Equitalia ogni  “attività di supporto all’esercizio delle funzioni relative alla riscossione“.

Rispunta, quindi, l’ipotesi, già affiorata in passato, di una riedizione del vecchio consorzio obbligatorio denominato “ANCI-CNC” (costituito nel 1994 – e cessato nel 2005 – tra l’ANCI e i c.d. “concessionari della riscossione erariale di ambito provinciale”, società, quasi tutte di proprietà delle banche, poi confluite in Riscossione S.p.A., oggi Equitalia S.p.A.). Un remake che andrebbe, stavolta, ad integrale appannaggio del Gruppo Equitalia, il quale assurgerebbe a monopolista, determinando la definitiva cessazione di qualsiasi, pur residuale, dinamica competitiva nel settore dei servizi alla pubblica amministrazione in materia di gestione delle entrate locali.

Già ad una prima lettura, l’attuale formulazione della norma sembra essere connotata da numerose criticità (a voler usare un eufemismo). In primis, non è in alcun modo coordinata con il quadro normativo vigente in materia di affidamenti dei servizi di gestione delle entrate locali. Quadro che, peraltro, prevede già modelli associativi intercomunali anche in forma consortile (modelli che per i comuni che hanno fino a 5 mila abitanti sono obbligatori dal 31/03/2013, scadenza che sarà probabilmente prorogata al 31/12/2013). Non è dato quindi comprendere l’opportunità, l’urgenza e la necessità di prevedere, specificamente per la gestione delle entrate comunali, la possibilità di costituire un “consorzio” che, poi, sarebbe costretto ad affidare le attività direttamente ed esclusivamente al Gruppo Equitalia. Oltre all’evidente rischio di una duplicazione di strutture e di costi a carico dei comuni, Equitalia, in tal modo “uscirebbe dalla porta per rientrare dalla finestra”, in dispregio delle norme che impongono la gara pubblica per la selezione dei soggetti terzi cui affidare le attività (anche di supporto) all’accertamento e riscossione delle entrate locali (su tutte, il comma 5 dell’articolo 52 del D.Lgs. n. 446/1997).

Palese risalta, quindi, l’inconciliabilità tra l’esaminata novella e gli articoli 52 e 53 del D.Lgs. n. 446/1997 e, ancor prima, le (sovraordinate) regole di tutela della concorrenza e del mercato previste agli articoli 101 e ss. del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (ex articoli 81 e ss. del trattato che istituisce la Comunità europea).

Oltre alla possibile apertura in sede comunitaria di un’ennesima procedura di infrazione, la potenziale perniciosità che l’attuale formulazione della norma potrebbe dispiegare a danno delle stesse finanze comunali e erariali, appare palmare ove si prospettino i sicuri contenziosi (con relativa richiesta di risarcimenti danni) innescabili dalle centinaia di imprese private (piccole e medie, iscritte o meno all’Albo di cui al già citato art. 53) che attualmente svolgono, con regolari affidamenti rivenienti da gare pubbliche, le attività di assistenza e supporto necessarie a migliaia di uffici tributi comunali per accertare e incassare le proprie entrate comunali. Ove, difatti, l’art. 53 del decreto “Fare” venisse convertito in legge nel testo attuale, si produrrebbe la definitiva chiusura di qualsiasi sbocco di mercato per queste imprese private, le quali si vedrebbero di fatto poste “in liquidazione” per decreto legge. Ne conseguirebbero migliaia di licenziamenti, con ulteriore dispersione di esperienze e professionalità preziose.

La direzione imboccata dall’art. 53 del decreto “fare” appare radicalmente opposta a quella che appare davvero necessaria e urgente: ovvero procedere con una riforma organica della materia in coerenza con i principi (anche comunitari) di tutela della concorrenza e con quelli introdotti dal federalismo municipale (tra i quali una gestione della fiscalità locale a “filiera corta”, a misura di cittadino-contribuente, efficiente, efficace in quanto strettamente “connessa” al territorio di riferimento e in grado di assicurare una gestione diretta in capo ai comuni della liquidità scaturente dalla riscossione delle proprie entrate). Una riforma che sappia riunire in un armonico codice (o testo) unico le centinaia, talvolta non intelligibili, disposizioni che regolano la gestione e l’affidamento dell’accertamento e della riscossione delle entrate locali.

Non resta che sperare che, nel percorso di conversione in legge del decreto “del fare”, la discrasia tra il citato articolo 53 e il resto del quadro normativo, anche comunitario, possa essere rilevata ed opportunamente emendata. E la novella normativa riportata nell’alveo della vigente disciplina di settore ed entro i binari già fissati nel disegno di legge c.d. “Delega Fiscale” di cui lo stesso governo Letta ha annunciato l’imminente riproposizione e la conseguente ripresa dell’iter di esame nelle competenti commissioni parlamentari. Insomma, c’è da augurarsi che il Legislatore possa abbandonare i panni dell’imprevedibile Proteo e indossare quelli, finalmente propizi ai cittadini e alle imprese, di Prometeo.

Francesco Filippetti

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