Di questi oltre 800 miliardi (pari a circa il 40% del debito pubblico dell’Italia) – che, peraltro, rappresentano l’evasione fiscale individuata nel periodo 2000-2012 e non quella totale sfuggita alla lente del fisco – 193,1 sono poi oggetto di “sgravio totale”, per cui la somma massima esigibile (in linea teorica) sarebbe di 545,5 miliardi: pur sempre un bel tesoretto. Ma tale cifra (che rappresenta il carico residuo totale) va diminuita ulteriormente di altri 107,2 miliardi, che dovrebbero essere corrisposti da soggetti andati nel frattempo in fallimento e, pertanto, perduti per sempre. Ci sono poi altri 20,8 miliardi di ruoli sospesi. Quindi i soggetti falliti dopo la consegna del ruolo. Coloro che presso l’anagrafe tributaria sono censiti come nullatenenti, nei cui confronti la società pubblica di riscossione crediti, Equitalia, non può intraprendere alcuna azione esecutiva. E ancora le persone nel frattempo decedute, quelle che hanno scelto il pagamento rateale (di cui parte ha poi sospeso i pagamenti perché entrata in difficoltà) e, da ultimo ma non per importanza, quelle che – per mezzo di raggiri e sotterfugi (come le società cartiere), oppure semplicemente per inceppamenti nell’ingranaggio del fisco – non pagano.
Come spiegato dal Viceministro dell’Economia Luigi Casero, in risposta all’interrogazione in Commissione Finanze della Camera presentata dal Presidente Daniele Capezzone per il PdL e da Enrico Zanetti per Scelta Civica, l’Agenzia delle Entrate “con riferimento ai residui attivi al 31 dicembre 2012 inoltrati dalla Ragioneria Generale, ha comunicato una percentuale di abbattimento pari all’82%”: in pratica più di 8 ruoli su 10 non vengono riscossi.
Le percentuali non cambiano, sostanzialmente, per i crediti che i soggetti debitori, a fronte di oggettive situazioni di difficoltà, hanno scelto di rateizzare. Si legge nella relazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze che in tali casi i ruoli ammontano a 18,6 miliardi di euro. La riscossione, affidata ad Equitalia, nel periodo di riferimento 2000-2012 è andata interamente a buon fine solo nel 20% circa dei casi.
Migliora leggermente la percentuale del riscosso per quanto attiene ai carichi previdenziali, con l’Inps che dichiara di computare tra i presunti crediti inesigibili “solo” il 44% del totale. Ma si tratta, in termini assoluti, di valori molto inferiori (appena 70,6 miliardi contro i 443,9 facenti capo all’Erario).
Amaro il commento di Enrico Zanetti al termine della presentazione del documento del MEF: “Posso stimare che i 545 miliardi di euro di ruoli non ancora riscossi dal 2000 al 2012 produrranno in concreto incassi per complessivi 55 miliardi di qui al 2024. Nessun tesoretto, dunque, e ancora tanto lavoro da fare”.
L’evasione fiscale, come un enorme “tesoro nascosto”, rappresenta quell’elemento in grado di fare la differenza nel rilancio della crescita e nel riequilibrare le crescenti disparità sociali (causa, a loro volta, di uno sviluppo debole ed incerto, come confermano ora – oltre al semplice buon senso – anche le più recenti teorie in campo economico). Ma se già è difficile far emergere questo tesoro (e qui la colpa sta, come anche comunemente si dice, nella mancanza della “volontà politica”), ancora più difficile risulta poi riscuoterlo una volta portato alla luce, in un percorso che si perde nei mille cavilli della giustizia tributaria e nella lentezza della macchina burocratica. Risulta pertanto evidente che la vera lotta all’evasione fiscale deve cominciare “a monte”, nella riforma complessiva del sistema della riscossione e della legislazione regolatrice, che deve diventare più snella, pratica e veloce. Come sempre, non è la “durezza” quanto la “certezza” del diritto a fare la differenza.
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