Effetti negativi della spending review sui disoccupati

Luigi Oliveri 24/08/12
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Capita, purtroppo non di rado, che il legislatore non sia in grado di disciplinare con coerenza materie omogenee, se però trattate in ambiti normativi differenti. A maggior ragione questo accade quando la legislazione è frutto di un’attività alluvionale, dettata da una continua emergenza e priva della necessaria ponderazione e meditazione, come da troppo tempo avviene nel nostro ordinamento.

Un esempio delle contraddizioni ed incoerenze del legislatore è dato dall’inconciliabilità di alcune delle previsioni contenute nella legge 92/2012 (la cosiddetta riforma-Fornero) e la “spending review”, il d.l. 95/2012, convertito in legge 135/2012.

Per comprendere le contraddizioni clamorose nelle quali cade il legislatore, a tutto discapito, alla fine, dei lavoratori, occorre partire dall’articolo 4, comma 33, della legge 92/2012. Tale norma introduce i seguenti nuovi commi all’articolo 3 del d.lgs 181/2000:

«1-bis. Nei confronti dei beneficiari di ammortizzatori sociali per i quali lo stato di disoccupazione costituisca requisito, gli obiettivi e gli indirizzi operativi di cui al comma 1 devono prevedere almeno l’offerta delle seguenti azioni:

a) colloquio di orientamento entro i tre mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione;

b) azioni di orientamento collettive fra i tre e i sei mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione, con formazione sulle modalità più efficaci di ricerca di occupazione adeguate al contesto produttivo territoriale;

c) formazione della durata complessiva non inferiore a due settimane tra i sei e i dodici mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione, adeguata alle competenze professionali del disoccupato e alla domanda di lavoro dell’area territoriale di residenza;

d) proposta di adesione ad iniziative di inserimento lavorativo entro la scadenza del periodo di percezione del trattamento di sostegno del reddito.

1-ter. Nei confronti dei beneficiari di trattamento di integrazione salariale o di altre prestazioni in costanza di rapporto di lavoro, che comportino la sospensione dall’attività lavorativa per un periodo superiore ai sei mesi, gli obiettivi e gli indirizzi operativi di cui al comma 1 devono prevedere almeno l’offerta di formazione professionale della durata complessiva non inferiore a due settimane adeguata alle competenze professionali del disoccupato».

Le azioni previste dalla disposizione richiamata son qualificate come “livello essenziale delle prestazioni” che debbono rendere i servizi per l’impiego.

E’ bene soffermarsi brevemente su cosa sono i Lep (livelli essenziali delle prestazioni).

In una prima accezione, si tratta del livello minimo dei servizi che debbono essere resi in modo eguale in tutto il territorio nazionale.

Essendo servizi “essenziali”, cioè basilari ed irrinunciabili, essi vanno resi e garantiti a tutti i cittadini in egual modo e misura, qualunque sia il territorio nel quale vivono. Per questa ragione, in una seconda accezione, i Lep costituiscono anche un limite per l’esercizio della potestà normativa delle regioni e delle funzioni operative degli enti locali. Gli enti territoriali, cioè, non possono modificare in senso peggiorativo i livelli delle prestazioni imposti dalla normativa statale, che ha la potestà di limitare in questo modo l’autonomia di regioni ed enti locali, per rendere effettivi i principi di uguaglianza dei cittadini.

Infine, in una terza accezione, i Lep, visto che costituiscono obblighi giuridici a carico delle amministrazioni, simmetricamente sono da qualificare come una vera e propria posizione giuridica di diritto soggettivo per i cittadini. I Lep, dunque, sono diritti “esigibili” e “pretensibili”: i cittadini possono cioè pretendere il rispetto dei servizi ed agire in giudizio perché essi siano resi secondo i livelli fissati dal legislatore.

Pertanto, quando il legislatore fissa i Lep non si limita ad una mera petizione di principio, ma costituisce obblighi per le amministrazioni e diritti per i cittadini.

Dunque, i servizi per l’impiego hanno l’obbligo di attivare le misure previste dall’articolo 4, comma 33, della legge 92/2012 e i disoccupati in mobilità o i lavoratori in cassa integrazione straordinaria hanno il diritto di avvalersene.

Soffermiamoci, a questo punto, sul punto c) e sul comma 1-ter visti prima. La legge fa obbligo ai servizi per l’impiego ad offrire ai lavoratori disoccupati o sospesi attività formative, fissando anche elementi minimi essenziali di tale offerta formativa. Simmetricamente, il disoccupato o il cassintegrato ha il pieno diritto di pretendere di essere avviato ad attività formative coerenti con le previsioni legislative.

Occorre prima precisare che ai sensi dell’articolo 4, comma 41, della legge 92/2012 (non è comunque una novità) il lavoratore destinatario di una indennità di mobilità o di indennità o di sussidi, legate al suo stato di disoccupazione, decade da dette indennità se, tra l’altro rifiuti di partecipare senza giustificato motivo ad una iniziativa di politica attiva o di attivazione proposta dai servizi competenti, o non vi partecipi regolarmente. In particolare, il lavoratore disoccupato percettore di sussidi è obbligato ad accettare le proposte di politica attiva di lavoro quando le attività lavorative o di formazione ovvero di riqualificazione a lui proposte si svolgono in un luogo che non dista più di 50 chilometri dalla residenza del lavoratore, o comunque che è raggiungibile mediamente in 80 minuti con i mezzi di trasporto pubblici.

Adesso è possibile evidenziare le contraddizioni normative. E’ opportuno precisare che, almeno finchè non si sarà completato il “riordino” delle province, i servizi per l’impiego competenti a svolgere le attività previste dal più volte citato articolo 4, comma 33, della legge 92/2012, sono svolti dalle province. Le quali sono attualmente e resteranno competenti anche in materia di trasporto pubblico locale; per intendersi, si tratta dei servizi di “corriera” che collegano i paesi ed i centri della provincia tra loro e col capoluogo.

Si tenga presente che a causa della crisi e del dilagare della disoccupazione, molti lavoratori disoccupati hanno rinunciato al mezzo di trasporto privato. Oltre tutto il costo della benzina è divenuto proibitivo, specie per chi percepisce indennità pari a circa l’80% della retribuzione che percepiva e, per altro, per un periodo di tempo limitato.

La conclusione è semplice: visto che il disoccupato è obbligato ad accettare una proposta formativa “congrua” per non perdere l’indennità (e per provare a riqualificarsi in vista della ricerca di un nuovo lavoro), dovendosi eventualmente spostare in un raggio chilometrico molto ampio e considerato che molti disoccupati non dispongono di una propria auto o materialmente non potrebbero permettersi i costi di spostamenti anche rilevanti, sarebbe necessario garantire un efficiente sistema di trasporto locale.

Bene: la manovra della “spending review” ha drasticamente tagliato le risorse destinate alle regioni per il trasporto pubblico locale (che a loro volta le regioni trasferiscono alle province), aggiungendo il taglio a precedenti contrazioni dei finanziamenti. Il risultato è che molte province riescono a malapena, a causa della riduzione devastante dei trasferimenti, a garantire i servizi di trasporto per le scuole, durante l’anno scolastico. Il numero delle corse è stato drasticamente ridotto, come anche il numero dei chilometri percorsi.

In queste condizioni è molto difficile che un disoccupato possa accettare un’offerta formativa distante anche solo pochi chilometri, non potendo materialmente raggiungere la sede né col mezzo privato, né con un inesistente servizio pubblico.

Insomma, il legislatore inquadra l’offerta di formazione come un livello essenziale delle prestazioni, senza mettere in condizione di rispettare tale livello in particolare il destinatario del servizio, cioè il lavoratore, che in assenza della possibilità materiale di raggiungere le sedi dei corsi sarebbe sempre legittimato a rifiutare le proposte di formazione.

Ma non ci si ferma qui. L’attività formativa da proporre, perché sia finanziariamente sostenibile da chi è disoccupato (e dunque, come detto sopra, percepisce per un limitato periodo di tempo una somma di molto inferiore alla retribuzione lavorativa), la formazione finalizzata alla riqualificazione deve essere gratuita, o, meglio, deve risultare finanziata con risorse pubbliche.

Ebbene, sempre i tagli apportati a regioni ed enti locali sui cosiddetti “servizi intermedi” dalla spending review rendono estremamente complicato per regioni e province allestire corsi di formazione senza oneri per i disoccupati. Un tempo le regioni facevano fronte ai costi, utilizzando le risorse del Fondo sociale europeo, da tempo, tuttavia, indisponibili perché prevalentemente destinate agli ammortizzatori sociali in deroga.

I tagli ai servizi “intermedi” faranno il resto. La “spending review” ha qualificato come prestazioni di servizio intermedi anche le attività di formazione, incorrendo in un errore clamoroso. Sono “servizi intermedi” quelli che le amministrazioni acquisiscono per garantire il proprio funzionamento: le pulizie, il noleggio dei computers, il servizio di sviluppo del sistema informativo.

La formazione per disoccupati non è per nulla un servizio intermedio, ma “finale”, cioè destinato direttamente al beneficio della popolazione amministrata (o di fasce di cittadini).

I pesantissimi tagli al sistema delle autonomie locali imposti da una spending review definibile eufemisticamente quanto meno “frettolosa”, di fatto renderanno molto difficile realizzare le attività di formazione, alle quali, pure, i disoccupati ed i cassintegrati avrebbero diritto.

Insomma, con due norme approvate per altro a brevissima distanza, il legislatore allo stesso tempo fonda diritti per i cittadini, ma cancella quasi le risorse per poterli garantire. Annunciando, così, un flop del sistema, che, possiamo scommetterci, verrà presto addebitato alla “burocrazia”, alla “inefficienza delle province”, alla “arretratezza dei servizi per il lavoro”. A tutto discapito, in ogni caso, dei disoccupati, che continueranno a trovare nella famiglia e nelle conoscenze personali i veri ammortizzatori sociali. Altro che Lep.

Luigi Oliveri

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