Donne e lavoro. Davvero la riforma ci aiuta?

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A sentire il Presidente del Consiglio Monti, che annunciava come la riforma del lavoro avrebbe introdotto un vero e proprio rinnovamento del Paese attraverso l’ingresso massiccio delle donne nel mercato del lavoro, quasi quasi ci avevo sperato.

Poi, ascoltando il Ministro Fornero, che al congresso dell’Ugl, con sommo gaudio assicurava come la riforma del lavoro avrebbe offerto maggiori chance alle donne, promuovendo l’occupazione rosa e nuove politiche di conciliazione lavoro famiglia, ci avevo quasi quasi anche creduto. “Uno dei problemi di questo Paese è che le donne lavorano troppo poco, vogliamo che le donne abbiano le stesse chance occupazionali, di carriera, di retribuzione e di progressione che hanno gli uomini, perché anche attraverso questo c’è una possibilità di crescita per il Paese”, proclamava il Ministro. Come non essere d’accordo.

E adesso che il ddl governativo sulla riforma del mercato del lavoro è stato annunciato, presentato, ed è attualmente all’esame del Senato, in effetti non può non ammettersi come una delle linee di maggior intervento sia rivolta all’introduzione di incentivi per accrescere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Sono infatti molti i cambiamenti introdotti dalla riforma del lavoro che toccano da vicino le professioni rosa, i diritti delle donne e soprattutto delle mamme lavoratrici.

Il capo V del ddl è infatti tutto dedicato alle “donne”, e gli artt. 55 e 56 contengono disposizioni incentrate sul ripristino del contrasto alle dimissioni in bianco, sul mini congedo obbligatorio di tre giorni continuativi di paternità, e sui buoni per pagare le baby sitter invece di prendersi le aspettative facoltative per maternità.

Sulle dimissioni in bianco

La riforma sembra dichiarare una volta per tutte guerra a quella pratica illegale, denominata “Dimissioni in bianco”, consistente in un foglio di dimissioni fatto firmare da alcune aziende al momento dell’assunzione di una donna e da utilizzare, in seguito, in caso di maternità della stessa. Nel 2007 il governo Prodi, con una legge di protezione era riuscito parzialmente ad arginare questa odiosa consuetudine, prevedendo che le dimissioni volontarie potessero essere firmate solo su particolari moduli degli uffici del lavoro, numerati e datati: in questo modo si poteva evitare la pratica, appunto, della firma preventiva su fogli bianchi senza data. Tuttavia nel 2008 il governo Berlusconi aboliva la legge.

Adesso, la riforma prevede che la risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza (o nei primi tre anni di vita del bambino) debbano essere convalidate dal servizio ispettivo del ministero del Lavoro e delle politiche sociali competente per territorio. L’art. 55 del ddl prevede infatti che «La risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale dovranno essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro».

Una previsione importante, che tuttavia non soddisfa pienamente la Cgil, che parla di normativa del tutto inefficace e auspica un intervento diretto da parte del Parlamento. «Oltre gli impegni, le assicurazioni e gli annunci, non c’è alcun ripristino di una procedura efficace contro le dimissioni in bianco. A fronte della cancellazione della legge 188 per ‘eccessiva burocrazia’ denunciata dalle imprese, con le previsioni contenute nel ddl la burocratizzazione è aumentata ed è tutta a carico del lavoratore che comunque sarà ricattabile con la procedura prevista, cioè l’obbligo, per la convalida delle dimissioni, della firma del lavoratore», si legge in un comunicato stampa del sindacato.

Congedi obbligatori di paternità

L’art. 56 del ddl introduce poi una disposizione sui congedi obbligatori di paternità: “il padre lavoratore dipendente, entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, ha l’obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo di tre giorni, anche continuativi, dei quali due giorni in sostituzione della madre e con un riconoscimento di un’indennità giornaliera a carico dell’Inps pari al cento per cento della retribuzione e il restante giorno in aggiunta all’obbligo di astensione della madre con un riconoscimento di un’indennità giornaliera pari al cento per cento della retribuzione”, recita la norma.

In verità alcuni contratti di lavoro prevedono già forme di congedi di paternità, ma sarebbe la prima volta che ne viene introdotto, per legge e in Italia, l’obbligo. Fino ad oggi, il papà poteva richiedere il congedo parentale facoltativo, ma solo il 6,9 per cento dei padri italiani occupati ne approfittava. Certo, si tratta di un mini-congedo obbligatorio, ma è pur sempre un passo avanti che può contribuire a “far cambiare la mentalità” perché “la maternità non è un fatto solo di donne”, come ha detto recentemente il ministro Fornero. Sinceramente, è difficile davvero capire come tre giorni distribuiti in un arco di tre mesi favoriscano quella condivisione dei compiti di cura che sta tanto a cuore al ministro. La proposta approvata dal Parlamento europeo un anno fa parlava infatti di almeno 15 giorni.

Voucher per pagare le baby sitter

L’altra novità rilevante della riforma del lavoro “pro matre” concerne i voucher per pagare le baby sitter. All‘art. 56 lett. b) del ddl è disciplinata “la possibilità di concedere alla madre lavoratrice, al termine del periodo di congedo di maternità, per gli undici mesi successivi e in alternativa al congedo parentale (…) la corresponsione di voucher per l’acquisto di servizi di baby-sitting da richiedere al datore di lavoro”.

Alcuni commentatori hanno classificato questa scelta come una “monetizzazione” dei congedi parentali. La senatrice dell’ IdV Giuliana Carlino ha affermato in merito: «Oltre al danno la beffa. In questo modo si scoraggia anche l’allattamento così utile nel primo anno di crescita del bambino. Dopo la finta apertura al congedo di paternità, solo 3 giorni, quest’altra trovata del ministro Fornero è davvero preoccupante. Mercificare qualsiasi diritto in nome della supremazia del mercato non é solo sbagliato da un punto di vista etico, ma anche pratico. Non é in questo modo che il Paese riuscirà a uscire dal pantano della crisi».

In effetti i voucher per babysitter sembrano volti ad incoraggiare le madri a tornare al più presto al lavoro, senza fruire del congedo genitoriale (tantomeno incoraggiando i padri a prenderlo) e senza neppure garantire loro e ai loro bambini servizi adeguati sul piano quantitativo e qualitativo. Mentre tutte le ricerche scientifiche sottolineano l´importanza della qualità della cura e delle relazioni nel primo anno di vita del neonato, implicitamente si suggerisce che le cure materne/paterne possono essere indifferentemente sostituite dalle cure di una babysitter. Sicuramente un brutto passo indietro e un uso sbagliato delle poche risorse a disposizione.

In conclusione, dalla grande riforma del mercato del lavoro era lecito aspettarsi un po’ di quello che alcuni chiamano “women friendly”, non solo perché il Ministro del lavoro ha anche la delega alle pari opportunità, ma anche perché è un dato assodato che l’aumento del Pil passa anche dall’incremento del lavoro femminile. E invece, se tutto va bene, l’unico vantaggio che riusciamo ad ottenere è solo un articolo che vieta di mandarci a casa quando abbiamo la pancia. Che non sarà valido neanche per tutte le donne, dal momento che le misure antidiscriminatorie, come appunto la reintroduzione di norme che scoraggino le dimissioni in bianco, o di sostegno, come i voucher, si rivolgono in prevalenza a chi ha un lavoro dipendente, escludendo di fatto le giovani che lavorano a tempo determinato con contratti e collaborazioni precarie. Sarà sufficiente?

 

Valeria Battaglia

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