In tale contesto, il ricorso alla chirurgia estetica risulta essere spasmodico –e, per certi versi, oserei dire pericoloso-: in Italia, nel 2014, sono stati eseguiti oltre un milione di interventi di chirurgia e di medicina a fine estetico.
I problemi che tale chirurgia (ancora oggi) crea, sul piano giuridico, sono tre: uno, legato alla sua legittimazione; uno correlato al tipo di obbligazione assunta dal chirurgo che operi interventi di questo tipo; una relativa al contenuto e all’ampiezza dell’informazione da fornire al paziente che voglia “rifarsi”.
In tempi non troppo recenti, si riteneva che quella estetica fosse una chirurgia di minor rilievo sociale, più invasiva rispetto all’ordinaria e differente da essa sia nel presupposto operativo che nello scopo -risultato finale- perseguito.
Oggi, quest’idea riduttiva è stata superata: se, infatti, l’intervento di plastica correttiva vale a tutelare la salute psichica, allora l’atto dispositivo è giustificato dalla valenza e dalla finalità curativa insite nell’operazione stessa.
Si ponga il caso di una donna che abbia un seno così piccolo da sentirsi a disagio nelle relazioni sociali (sessuali): la mastoplastica additiva, in questi casi, può davvero essere una soluzione ottima per il superamento della sofferenza psicologica sopportata.
Ma laddove l’intervento risulti essere voluto ed effettuato a prescindere dai problemi di salute che l’eventuale difetto estetico possa in concreto comportare (e la necessità salutare, perciò, manchi, come avviene nel caso della soubrette di turno che vuol passare da una “quarta” a una “sesta”), mi chiedo, l’intervento di chirurgia estetica, allora, risulta essere ugualmente legittimato? Non comporta una illecita manipolazione del corpo, forse?
Quanto al secondo quesito, posto che l’obbligazione assunta dal chirurgo ordinario è di mezzi o di comportamento, bisogna capire che tipo di contenuto assuma, invece, la responsabilità del chirurgo estetico. La risposta a questa domanda è importante, in un contesto come il nostro, dove le richieste di risarcimento formulate nei confronti dei medici e sanitari vanno sempre più aumentando.
Fino a qualche anno fa, si riteneva che le parti del contratto negoziassero una cd. obbligazione di risultato. Ciò voleva dire che il medico, laddove non avesse soddisfatto pienamente il desiderio del suo paziente, pur ammesso fosse stato capace di lavorare ottimamente a livello tecnico, sarebbe stato -a prescindere dal resto- giudicato come personalmente responsabile per l’eventuale mancato conseguimento del risultato estetico finale sperato dall’operato.
In verità, anche alla luce dei vari cambiamenti socio-culturali che hanno interessato le interpretazioni in tema di chirurgia e salute, si deve ritenere che tale pratica debba essere considerata, ormai, alla stregua di un qualsiasi altro tipo di intervento medico-chirurgico ordinario. Innanzitutto, perché nessuna attività medica, in qualsiasi campo esplicata, può garantire esiti certi o assolutamente prevedibili: è proprio la sua peculiare natura che ne impedisce la certa finale prevedibilità. In secondo luogo, perché è un dato d’esperienza comune quello che consente di affermare che da un intervento chirurgico perfettamente eseguito possono comunque derivare dei risultati estetici del tutto insoddisfacenti per vari altri fattori insiti nella persona operata e non prevedibili al momento della diagnosi operatoria (ovvero, anche, per comportamenti sbagliati tenuti dalla stessa persona stessa, che, sottopostasi ad intervento, segua poi erroneamente il decorso post-operatorio, senza attenersi alle cautele del caso).
Viene da sé, poi, che sarebbe pericolosissimo, per il medico, affermare il contrario. Vorrebbe dire assoggettarlo ai sogni del paziente, a delle soggettive richieste di rifacimento, espressione di un personale desiderio. Come potrebbe difendersi, il sanitario, da attacchi di questo tipo?
Quella dell’obbligazione del risultato, allora, può essere, semmai, una eccezione alla regola generale dell’obbligazione di mezzi, qualora le parti contrattino specificamente il raggiungimento di uno specifico modello di “perfezione estetica” (si pensi al caso del chirurgo che assicuri la “trasformazione”, tenuto conto di una fotografia che mostra il “come sarà”).
Per quanto riguarda la terza problematica, per molto tempo s’è ritenuto che, essendo il soggetto paziente un soggetto sano, ed essendo l’operazione chirurgico-estetica un tipo di operazione meramente voluttuaria, priva di urgenza e priva di altre specifiche ragioni terapeutiche in vista delle quali evitare alcune dettagliate informazioni, il consenso dovesse essere più informato del solito.
La realtà, però, dimostra che l’importanza attribuita al consenso informato anche negli altri tipi di chirurgia non vale, oggi, a supportare la dicotomia di fondo esistente tra chirurgia estetica e chirurgia classica: sarebbe ridicolo, infatti, prevedere tale maggiore puntigliosità in capo ad un chirurgo estetico, piuttosto che in capo ad un medico ordinario che stia operando qualcuno a cuore aperto!
In questo senso, quindi, va superata l’inutile differenziazione tra consensi (ancora di recente proposta, nel 2014, dalla giurisprudenza) e si deve ritenere che l’informazione non debba essere più ampia, bensì, soltanto più accurata in alcuni punti, esclusivamente in vista del fatto che il paziente, s’immagina, avrà interesse a ben capire quali siano i rischi e i benefici cui va incontro, nel momento in cui ambisce all’eliminazione di un’imperfezione estetica, fisicamente non necessitata.
Il dovere informativo, perciò, è sempre sussistente nella medesima misura: esso va semplicemente adattato al caso concreto e va modellato avendo riguardo alle diverse esigenze dettate da ciascuna singola ipotesi di intervento.
Per un approfondimento sul tema,
- CASSANO, Casi di errori in chirurgia estetica e risarcimento del danno, Maggioli Editore, 2016;
POSTERARO N., Bioetica, bellezza e chirurgia estetica: la illegittima manipolazione del corpo nella quarta generazione dei diritti, in P.B. HELZEL, A. SERGIO (a cura di), La Bioetica come ponte tra società e innovazione, in corso di pubblicazione;
POSTERARO N., Vanità, moda e diritto alla salute: problemi di legittimazione giuridica della chirurgia estetica, in Medicina e Morale, 2/2014, pp. 275-302;
POSTERARO N., Atto medico, spersonalizzazione e chirurgia estetica. La nascita del nuovo diritto alla bellezza, in Medicina e Morale, 5/2014, pp. 847-873;
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