Il titolo dell’incontro ‘camuffato’ riportava: “Tra Germania e Italia accompagnando clienti nella costituzione di joint venture e partnership all’estero”. Il contenuto del pezzo, organizzato come una reale intervista, metteva in evidenza oltre all’operato professionale portato avanti dall’avvocato, la configurazione dello studio e persino diverse fotografie allegate ritraenti la struttura. Il legale protagonista dell’articolo, essendo iscritto al Consiglio dell’Ordine degli avvocati, si è trovato così accusato di lesione alle norme deontologiche regolanti la pubblicità e l’informazione dell’attività professionale.
I chiarimenti forniti dal legale, considerati non sufficienti, non sono pertanto bastati per evitare da parte dello stesso Consiglio dell’Ordine l’applicazione della sanzione dell’avvertimento. L’illiceità del comportamento tenuto dall’avvocato è stata anche confermata dai giudici supremi, con esplicito rimando all’articolo 4, comma 2, dpr n. 137/2012 che decreta che “la pubblicità informativa deve essere funzionale all’oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l’obbligo di segreto professionale e non deve essere equivoca, ingannevole o denigratoria”.
Non risulta al centro del sollevamento, su parere de giudici della Cassazione, il “diritto” al libero esercizio di una “pubblicità promozionale” dell’attività professionale, bensì viene messa in discussione esclusivamente la modalità secondo la quale la suddetta pubblicità può concretamente mettersi in atto all’interno però del dovuto rispetto dei chiari e determinati limiti deontologici, valutati come considerevoli e rilevanti ai fini disciplinari. La forma espletiva e la modalità di conduzione dell’intervista in questione sono state valutate dalla Suprema Corte come strumenti appositamente congegnati, all’interno di uno specifico disegno di pubblicità occulta in quanto “non consentivano al lettore di percepire con immediatezza di trovarsi al cospetto di un’informazione pubblicitaria”.
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