Brainstorming? No, grazie!

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“Dobbiamo trovare un’idea. Facciamo un brainstorming?” A molti sarà capitato di parteciparvi, pochi in realtà hanno potuto vivere l’esperienza di un vero brainstorming. È una tecnica creativa tanto diffusa quanto abusata. La parola stessa è sinonimo di creatività, i meeting aziendali spesso si trasformano in brainstorming e questo metodo è considerato un usuale strumento di lavoro, non è raro ritrovarlo anche nelle conversazioni d’ogni giorno. La sua notorietà è anche la sua disgrazia poichè viene molto spesso utilizzato senza conoscerne le regole, senza un metodo, diventando una pittoresca occasione dove le persone possono dire quel che vogliono, preferibilmente facendo ridere gli altri, purchè alla fine diano sempre ragione al loro capo. Ne era consapevole anche Alex Osborn che lo inventò nel 1938 e che già negli anni ’50 scriveva che “il brainstorming è divenuto molto popolare troppo velocemente, col risultato che viene spesso male applicato. Troppi ci vedono un rimedio universale, per poi rivoltarvisi contro quando non si verifica alcun miracolo. Considerano il brainstorming un processo completo per la soluzione di problemi, mentre è solo una di diverse fasi della ricerca di idee”. Parole che non hanno bisogno di commenti. Ma perché il cosiddetto “brainstorming” non funziona? Perché quasi sempre non vengono applicate le sue quattro regole, in particolare la prima. Ma intanto, le conoscete?

1) sospendere, differire, ogni tipo di giudizio
2) produrre idee in gran numero, la quantità è anche qualità, e annotarle
3) accogliere ogni suggerimento e idea, anche la più folle e bizzarra
4) associarle a quelle degli altri, condividerle, fertilizzare il gruppo.

La prima è sicuramente la più rilevante. Perché sospendere il giudizio?

Vi è mai accaduto durante una discussione o una riunione, dopo aver espresso una vostra opinione, un suggerimento, un’idea che qualcuno vi stroncasse? Il giudizio non arriva con un secco no, magari, ma con frasi di circostanza: “Certo, è interessante quel che dici, ma…” e con quel “ma…” si spalanca una valanga di commenti, obiezioni, critiche che in realtà equivalgono a un perentorio “no”. Dai “si,ma” al “perché proprio noi?” fino al classico ”non si può fare, non c’è budget”, i modi per giudicare e stroncare un’idea sono numerosi. I più temibili sono tuttavia quelli che non usano le parole. Quel sorrisetto di compatimento, quello sguardo rivolto a cielo, quel sospiro che dice più di mille frasi. In ogni caso il giudizio vi arriva dritto in pancia e non è certo piacevole. Dopo di chè vi viene ancora voglia di esprimere e di condividere una nuova idea, una nuova proposta? Oppure lasciate perdere? Questi sono i funesti effetti del giudizio espresso nel momento sbagliato. Sospendere il giudizio invece favorisce la spontaneità, la rapidità e la produzione di idee, la collaborazione e il dialogo nel gruppo. Tutti abbiamo il dono di fantasticare, di immaginare l’impossibile. La questione è per quanto tempo riusciamo a farlo prima che intervenga il giudizio di qualcuno a bloccare il pensiero creativo che se non ha il tempo di crescere e di trasformarsi in un’idea non avrà mai la possibilità di rivelarsi. Costruire una ferrovia è cosa lunga e complicata e richiede grandi capacità tecniche. Per far deragliare un treno basta una putrella messa di traverso e non richiede alcuna particolare abilità. E’ sempre più facile distruggere che costruire. E questo lo sa bene chi, durante un brainstorming, ma anche durante le normali riunioni di lavoro, è sempre pronto a tirare stoccate per ogni suggerimento o soluzione che viene proposta. In fondo dimostrare che qualcuno ha torto è molto semplice e procura una soddisfazione immediata. Mi piace definire queste persone i killer delle idee. Uccidere un’idea con un giudizio prima che cresca e riveli le sue qualità è un vero delitto. Elimina ogni opportunità di cambiamento, di miglioramento, di crescita.

La seconda regola riguarda la quantità. Produrre idee in gran numero è fondamentale. Gli scienziati lo sanno bene, prima di trovare la conferma di una loro ipotesi devono provare, e provare ancora. Centinaia di tentativi, di esperimenti, di test per arrivare a dimostrare un dato, scoprire un concetto, un’idea. Esiste il pregiudizio che sia meglio una sola cosa fatta bene che cento fatte male. Niente di più falso. La quantità di idee e di pensieri prodotti ha un effetto moltiplicatore, come la pallina di un flipper che corre, sbatte, rimbalza, cerca la strada migliore e intanto realizza punti; e per una che si perde un’altra è già pronta per essere lanciata.

Allo stesso modo nel gruppo le idee fluiscono, si espandono, vengono riprese dagli altri, rielaborate, rilanciate, riproposte. E tanto più strane, inconsuete, assurde sono, tanto più portano novità e trasformazione. Questa è la terza regola. Accogliere ogni idea, ogni suggerimento anche il più folle e bizzarro diventa fondamentale. Sono proprio le “bizzarrie” che permettono di accendere la scintilla che produrrà l’idea vincente. Il brainstorming utilizza un linguaggio associativo. Una persona da sola difficilmente è in grado di scorgere le scintille che scoccano; il gruppo serve proprio a questo, a raccogliere i frammenti, a combinarli, a dare loro un senso, fino a che raggiungono un nuovo significato. Ecco la quarta regola. Un gruppo ben formato, affiatato, motivato è come la cassa armonica di un violino, riceve le impercettibili vibrazioni di una singola corda, le amplifica, le combina e le trasforma in un suono armonioso. Ecco perché è fondamentale lavorare in gruppo, associare le proprie idee con quelle degli altri, mescolarle, fonderle, ricombinarle. Se queste quattro semplici regole non vengono applicate non si tratta di un vero brainstorming, può trattarsi forse di una divertente chiacchierata, di un piacevole discorrere a ruota libera, ma nulla più. L’importante è saperlo. Ma per favore, non chiamatelo brainstorming.

 

 

 

 

 

 

 

Gianni Clocchiatti

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