Avvocati: serve davvero un esame più selettivo?

Silvia Surano 17/01/12
In clima di riforme e liberalizzazioni, è chiaro che si ricominci a parlare del problema dell’accesso alla professione forense. Rappresentanti degli Ordini, associazioni degli avvocati e persino dei consumatori, numeri alla mano, ripropongono il vecchio discorso dei troppi iscritti all’albo degli avvocati. Le cifre ormai sono note così come il confronto tra gli avvocati di Milano e quelli di tutta la Francia: il copione si ripete.

Siamo troppi. Anzi, sono troppi. Perché ovviamente nessuno di noi ritiene di essere in eccesso. Così, dopo aver escluso che i titolati possano appendere la toga al chiodo, si guarda a chi il titolo ancora non ce l’ha. In nome, stavolta, della professionalità, si auspica un esame più selettivo che diminuirà anche il numero di avvocati nei tribunali.

Sarà che io lo ricordo ancora molto bene, sarà che continuo a confrontarmi con chi lo sta preparando o è all’ennesimo tentativo, ma l’esame di avvocato lo ritengo molto selettivo. Del resto basterebbe guardare alle percentuali di abilitati o sentire anche la “campana” di chi sta provando a superarlo per capire che non è poi una passeggiata. Io l’ho fatto.

Francesco (nome di fantasia) è un mio amico. Lo conosco personalmente e posso dire che è un ragazzo preparato, brillante e anche simpatico! Francesco è anche molto onesto: viene dal sud Italia e, in particolare, da una di quelle zone in cui l’esame, diciamo così, può essere meno “selettivo”; ma vive a Milano e ha deciso di non sfruttare le sue origini. Così è la terza volta che ci prova.

Gli ho chiesto di raccontarmi che cosa fosse successo nei tre giorni di scritti, per capire se ancora oggi potevano essere riscontrate le stesse mancanze degli anni addietro e focalizzare il problema. La risposta che ho avuto è stata la dimostrazione che l’esame di avvocato, pur svolgendosi a livello nazionale sulla base delle medesime direttive, è caratterizzato da un grado di discrezionalità che ne mina profondamente la serietà e la correttezza.

Per dire ciò non è nemmeno necessario guardare al giorno dell’esame.

Giorno consegna codici.

Mi presento alla fiera di Milano, polo di Rho, alle 17,30. La chiusura delle consegne è alle 18,30 ma mi avevano avvertito che prima c’era troppa fila. Appena arrivato mi accorgo che qualcosa non va. I controlli sono effettuati in due zone diverse: in una la fila scorre veloce e i tavoli sono completamente vuoti; nell’altra, la mia, le operazioni vanno a rilento e i tavoli sono pieni di codici bloccati all’ingresso.

Dopo la battuta infelice del commissario – “La avverto che da domani si faranno controlli a campione” – e la mia risposta – “Mi sembra giusto e non ho nulla da nascondere” – apro il trolley e iniziano i problemi.

Non vogliono farmi passare i codici di Garofalo e Tramontano annotati con la sola giurisprudenza. Faccio presente che è il terzo anno che mi presento allo scritto e l’anno precedente erano entrati senza problemi. Dopo qualche discussione approvano il testo ma iniziano le discussioni per il codice civile Caringella, sempre annotato con la sola giurisprudenza, concludendo per la non ammissione. Nei due anni precedenti non erano state sollevate eccezioni ma quei commissari non conoscono la casa editrice e, nella mia zona dei controlli, la bloccano. Chiedo delucidazioni e la risposta è “abbiamo trovato una sentenza troppo lunga”!

Mi riporto alla circolare da poco pubblicata sul sito dell’ordine (“Al riguardo il Ministero della Giustizia, nella nota 11/10/2011, esprime il parere che, date le finalità della legge e la natura degli esami di cui trattasi, possa essere consentita la consultazione, da parte dei candidati, di codici corredati dai riferimenti giurisprudenziali attinenti alle singole disposizioni, alla rigorosa condizione, naturalmente, che sia riportato esclusivamente il testo delle sentenze in questione, ancorché ordinate organicamente secondo criteri di logica giuridica. Con esclusione quindi di ogni integrazione esplicativa, illustrativa o esemplificativa”) ma niente da fare. Faccio allora presente che se mi tolgono quel testo io sono senza codice civile, ma mi viene risposto che potevo pensarci prima e comprarmi anche dei codici più noti portandone più d’uno per materia. Faccio presente che non sono molto economici soprattutto considerate le finanze di un praticante, ma non serve a nulla.

Continuano i dibattiti alla ricerca di un motivo o di un altro per non far passare il codice. Un commissario, addirittura, contesta la presenza di una sentenza di merito! Mi scusi, ma non si tratta sempre di giurisprudenza?

Mi arrendo e decido di lasciare il codice all’ingresso chiedendo di poterne portare un altro la mattina seguente dato che ormai è tardi per andare in centro, comprarne un nuovo e consegnarlo in tempo utile.  “Poteva venire alle 15, all’apertura!” – questa la risposta. “Mi avessero permesso di uscire prima dallo studio…” – la mia replica.

A questo punto insisto e chiedo nuovamente delucidazioni. Mi fanno vedere la pagina con la sentenza incriminata che, a loro dire, contiene riferimenti dottrinali. La discrezionalità appunto. Pretendo di averne la certezza. Se ci sono, lascio il codice. Un commissario chiama il suo studio, si fa leggere il testo della sentenza da una banca dati, è identico, il codice entra. Finalmente è finita!

E invece no. Mi tolgono i post-it, nonostante siano passati negli anni scorsi; l’addenda di aggiornamento del codice scaricata on-line e stampata a casa non va bene nonostante sia prassi di alcune case editrici pubblicarla esclusivamente in rete e nonostante non ci siano stati di questi problemi negli anni precedenti…e nemmeno nella fila accanto. Ma rinuncio e sto zitto, chiudo il trolley, ringrazio, saluto e finalmente entro nel padiglione per andare a legare con la catena il trolley pieno di codici al mio banco.

Quello che è successo dopo si immagina: colleghi che raccontano che nell’altra parte dei controlli nemmeno li aprivano i codici, colleghi a cui hanno fatto passare addende stampate a casa identiche alla miaqualcuno che è riuscito ad accedere con una rassegna giurisprudenziali da lui creata; gente con i cellulari e le solite storielle già ampiamente note.

Questo è il terzo anno che ripeto l’esame e ora posso dirlo: passarlo è come fare un terno al lotto.

Nell’esame di abilitazione i ragazzi investono tanto: tempo, fatica, denaro, aspettative e il loro futuro. E si aspettano in cambio serietà e unanimità. Ma come è possibile garantirle a livello nazionale se sembra difficile essere coerenti tra una fila e l’altra di controllo dei codici?

A conclusione del racconto, Francesco mi ha anche inviato due file .pdf delle tracce d’esame. Il Ministero della Giustizia non ha avuto nemmeno l’accortezza – ed il rispetto – di curare la forma: spaziature esagerate, refusi, punteggiatura messa dove capita.

Credo che un esame più serio sia automaticamente un esame più equo, selettivo e gratificante per chi ha il meritoquesto deve essere garantito – di passarlo.

 

 

Silvia Surano

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