Nel 2025 la città in cui si vive meglio è Milano. Proprio così. Nonostante le polemiche sulle difficoltà economiche di vivere in grandi città e capitali, il capoluogo meneghino resta sul podio. A dirlo è la nuova indagine sulla qualità della vita di ItaliaOggi e Ital Communications, realizzata con l’Università La Sapienza di Roma, arrivata alla 27ª edizione.
In cima alla classifica troviamo Milano, seguita da Bolzano e Bologna. In fondo, ancora una volta, compaiono le province del Sud: Caltanissetta è ultima, preceduta da Crotone e Reggio Calabria.
Questa classifica non parla di città belle o brutte, ma di condizioni concrete di vita: possibilità di trovare lavoro, livelli di reddito, servizi sanitari, sicurezza, trasporti, opportunità culturali e di svago. Il quadro che emerge per il 2025 è quello di un’Italia che, rispetto all’anno scorso, peggiora leggermente ma si schiaccia verso il centro: meno differenze estreme, più territori raccolti nella fascia intermedia. Secondo gli autori, il Nord e il Centro rimangono ai vertici, mentre il Mezzogiorno smette di crollare ma non riesce ancora a colmare il divario con il resto del Paese.
Per chi lavora, studia o cerca occupazione, questi numeri raccontano in modo semplice dove è più facile vivere con servizi dignitosi e un reddito che permette di reggere il costo della vita, e dove invece pesa ancora un forte disagio sociale.
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Indice
Come funziona l’indagine sulla qualità della vita 2025
L’indagine di ItaliaOggi non si limita a guardare il Pil o il reddito medio. La classifica è costruita su 92 indicatori divisi in nove grandi aree: affari e lavoro, ambiente, istruzione e formazione, popolazione, reati e sicurezza, reddito e ricchezza, sicurezza sociale, sistema salute, turismo, intrattenimento e cultura. Per ogni provincia si calcola un punteggio da 0 a 1000, dove 1000 è il valore della provincia migliore e 0 quello della peggiore.
Sulla base dei punteggi, le 107 province italiane vengono poi suddivise in quattro gruppi: qualità della vita “buona”, “accettabile”, “discreta” e “insufficiente”. La qualità è considerata buona o accettabile solo in 60 province su 107, poco più della metà del Paese. È un dato peggiore rispetto agli ultimi anni e segnala un leggero arretramento generale. Allo stesso tempo, però, la distribuzione è meno estrema: diminuiscono i casi molto positivi e i casi molto negativi, mentre cresce il “centro” della classifica, con territori né eccellenti né disastrosi.
Le province vengono inoltre raggruppate in cinque “cluster” territoriali: Mediterraneo, Francigena, Adriatico, Padania e Metropoli. Questa suddivisione serve a leggere meglio le differenze tra zone con caratteristiche simili, ad esempio le grandi aree urbane rispetto alle province interne o costiere. È in questo quadro che si conferma, per il 2025, il primato delle aree del Centro-Nord e la maggiore fragilità del Mezzogiorno, dove restano ampie sacche di disagio socio-economico e personale, difficili da affrontare nell’attuale situazione di finanza pubblica.
Milano, Bolzano, Bologna e le province che guidano la classifica
Il podio 2025 è composto da tre realtà già abituate alle posizioni alte. Milano si conferma al primo posto con 1000 punti, sostenuta da risultati molto buoni nei servizi, nel reddito, nella gestione delle infrastrutture e nella vitalità del tessuto produttivo. Bolzano si piazza seconda con 984 punti, mentre Bologna sale al terzo posto con 915 punti, migliorando rispetto all’anno precedente e facendo il suo ingresso sul podio.
Subito fuori dal podio troviamo Firenze, che sale al quarto posto migliorando sensibilmente rispetto alle passate edizioni, e Monza, quinta. Seguono poi Trento, Padova e Verona, che confermano la forza del Nord-Est; chiudono la top ten Parma e Reggio Emilia, entrambe emiliane, a conferma di una regione che, nel complesso, continua a esprimere livelli di benessere medio-alti.
Anche appena sotto la top ten si registrano movimenti interessanti. Modena si attesta all’11° posto, Rimini sale fino alla 12ª posizione grazie a un balzo di oltre venti posti rispetto al 2024, segno di una realtà che sta recuperando terreno non solo come destinazione turistica, ma anche per servizi e condizioni di vita complessive. La Toscana mostra segnali positivi con Prato, Pisa e Lucca in risalita, mentre nelle Marche spicca l’avanzata di Ascoli Piceno, che guadagna molte posizioni.
Tra le grandi aree metropolitane, Milano resta il punto di riferimento, ma non è la sola provincia “forte”. Roma, pur con qualche posizione persa, si trova comunque nella parte medio-alta della classifica, preceduta di poco da Torino. Al contrario, città come Venezia e altre realtà urbane del Nord perdono posizioni, segno che per le grandi città non è scontato mantenere alti standard di qualità di vita quando crescono i costi, il traffico, le tensioni sociali e il peso dei servizi da garantire alla popolazione.
Il Mezzogiorno: segnali di miglioramento ma divari ancora profondi
Sul fronte opposto, il fondo della classifica è ancora occupato da diverse province meridionali e insulari. Caltanissetta resta all’ultimo posto (107°) con punteggio 0 nella graduatoria generale, confermandosi la provincia con la qualità di vita complessivamente più bassa. Subito sopra troviamo Crotone e Reggio Calabria, entrambe ancora molto lontane dagli standard medi nazionali. Nella parte bassa della classifica compaiono anche Foggia, Agrigento, Taranto, Siracusa e altre province del Sud.
L’indagine sottolinea però che, rispetto al passato, non tutte le province meridionali stanno peggiorando. In media, il punteggio complessivo delle province “insufficienti” del Sud è salito di oltre 10 punti rispetto all’anno precedente. Il numero delle province meridionali giudicate “insufficienti” resta 22, ma la loro media passa da circa 165 a circa 177 punti, un piccolo segnale di recupero dopo anni di arretramento continuo.
Alcune realtà mostrano infatti una certa resilienza. Lecce e Cagliari vengono indicate come le sorprese positive: crescono grazie al turismo, ai servizi e a una qualità urbana che, su diversi aspetti, si avvicina agli standard del Centro Italia. Bari mantiene una posizione stabile, mentre Potenza e Campobasso recuperano qualche posto in classifica. Allo stesso tempo, però, province come Caltanissetta, Trapani e Reggio Calabria continuano a far registrare performance molto lontane dalla media nazionale, specie su redditi, servizi e sicurezza sociale.
Il risultato è un Mezzogiorno “spaccato”: da un lato poli dinamici, che sfruttano turismo, servizi e in alcuni casi reti universitarie; dall’altro territori bloccati, dove il disagio sociale resta forte. Il divario Nord-Sud non scompare, ma si sposta all’interno del Sud stesso, diventando meno geografico e più legato alle condizioni economiche e sociali del singolo territorio.
Sanità, redditi, sicurezza: cosa c’è dietro i punteggi
Tra le nove categorie dell’indagine, la sanità è quella che nel 2025 dà il contributo più positivo. Quasi tutte le province italiane registrano un aumento di punteggio, con una crescita media di oltre 150 punti rispetto al 2024. Scende in modo netto il numero di province con risultati molto bassi: se l’anno scorso erano 78 le province sotto i 500 punti nella voce “sanità”, quest’anno sono 34. In molte regioni, anche del Centro e del Sud, aumentano leggermente i posti letto, migliorano i tempi di attesa e si rafforzano le reti di assistenza territoriale.
Il quadro è però meno positivo quando si guarda a reddito e sicurezza sociale. Le categorie “Reddito e ricchezza” e “Sicurezza sociale” segnano nel 2025 un peggioramento medio: il punteggio nazionale cala di circa 40 punti per la prima e di oltre 30 punti per la seconda rispetto all’anno precedente. A pesare sono il rallentamento economico, l’inflazione che erode il potere d’acquisto e il costo della vita in continua crescita. Questo quadro penalizza soprattutto le aree urbane e i ceti medi, cioè proprio lavoratori dipendenti e famiglie che vivono di stipendio o pensione.
Le economie più legate al turismo o ai servizi, come Rimini, Verona o Firenze, mostrano redditi più “ballerini”, influenzati dai flussi stagionali e dalla frenata dei consumi interni. Sul fronte della sicurezza sociale, l’analisi cambia anche per effetto di nuovi indicatori: non si guarda più solo ai dati legati alla pandemia o all’inattività giovanile, ma si utilizzano parametri come la quota di giovani NEET (che non studiano e non lavorano), gli omicidi stradali, i decessi per abuso di alcol o droghe e l’affollamento delle carceri. Anche con questi nuovi strumenti, la tendenza generale resta la stessa: la maggior parte delle province che ottiene i risultati migliori si trova al Nord e al Centro, con poche eccezioni meridionali come Ragusa; le fasce più basse restano occupate in gran parte da territori del Sud.
Un’Italia leggermente peggiorata ma un po’ meno spaccata
Nel complesso, gli autori dell’indagine parlano di un’Italia che entra in una fase di “consolidamento lento” dopo un decennio caratterizzato da forti scosse: crisi economiche, pandemia, inflazione. La media della classifica generale scende di circa 30 punti rispetto al 2024, segno di una qualità della vita percepita come in calo, ma allo stesso tempo quello che emerge è un quadro meno polarizzato: le province sono più concentrate nella fascia centrale della graduatoria, con meno situazioni estremamente positive e meno casi di crollo totale.
La crescita dei servizi, il lieve miglioramento della sanità e la diffusione di modelli di sviluppo locale più equilibrati stanno lentamente ridisegnando la mappa del benessere italiano. Il Nord e il Centro restano le aree più solide, mentre il Mezzogiorno continua a essere la parte più fragile ma anche quella dove, in alcuni territori, si vedono i segnali di cambiamento più interessanti. Per ora, però, il divario con le province del Centro-Nord rimane netto, sia sul piano dei redditi sia su quello della qualità dei servizi.
Per lavoratori, famiglie e disoccupati, questa fotografia non porta automaticamente uno stipendio più alto o un affitto più basso, ma aiuta a capire come si muovono i territori: dove le politiche pubbliche e gli investimenti in servizi stanno dando risultati, e dove invece la qualità della vita rimane bassa nonostante piccoli passi avanti. È da questi dati che amministrazioni locali e Governo dovrebbero partire per decidere dove e come intervenire, se davvero l’obiettivo è ridurre le distanze e garantire condizioni dignitose di vita non solo a chi vive nelle province “vincenti”, ma anche a chi oggi abita nelle zone ancora in coda alla classifica.
Foto copertina: istock/SimonSkafar