Nelle imprese con più di 15 dipendenti l’assenza di qualsiasi motivazione al licenziamento non è una semplice violazione formale ma, dal momento che impedisce l’identificazione stessa del fatto e l’esercizio del diritto di difesa da parte del lavoratore, determina l’illegittimità originaria del recesso, con conseguente reintegra del dipendente.
A stabilirlo la Corte di Cassazione con sentenza 9544 dell’11 aprile 2025, con cui gli Ermellini si sono pronunciati sul caso di un licenziamento intimato nel 2017 per cui il lavoratore ha ottenuto in secondo grado la sola tutela indennitaria pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Ecco chi deve essere reintegrato in questi casi.
Indice
La controversia sul licenziamento
La controversia all’esame della Cassazione prende le mosse dalla pronuncia della Corte di Appello di Firenze che, a parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiara a partire dal 2014 l’esistenza di un formale contratto a progetto, convertito (ai sensi dell’articolo 69, comma 1, Decreto Legislativo numero 276/2003) in rapporto di lavoro subordinato per mancanza, appunto, del progetto.
In considerazione del fatto che con il lavoratore interessato (il quale svolgeva attività di perito assicurativo e liquidatore) la Corte territoriale ravvisa la presenza di un rapporto di lavoro subordinato, si accorda altresì la tutela per licenziamento inefficace per violazione del requisito della motivazione, ai sensi dell’articolo 18, comma 6, Legge numero 300/1970 (Statuto dei lavoratori) come modificato dalla cosiddetta Riforma Fornero (Legge numero 92/2012).
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Tutele in caso di licenziamento
Ai sensi dell’articolo 2, commi 2 e 3, Legge numero 604/1966 la comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato.
Il licenziamento intimato senza l’osservanza delle disposizioni citate è inefficace.
La tutela indennitaria
L’articolo 18, comma 6, Statuto dei lavoratori, dispone che, nell’ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione del requisito di motivazione di cui all’articolo 2, comma 2, Legge numero 604/1966, si applica il regime di cui al quinto comma, con attribuzione al lavoratore di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento.
In quest’ultima ipotesi operano, in luogo delle tutele previste dal comma 6, le disposizioni di cui ai commi quarto, quinto o settimo.
La reintegra attenuata
A norma dell’articolo 18, comma 4, il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa:
- annulla il licenziamento;
- condanna l’azienda alla reintegrazione nel posto di lavoro e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, calcolati dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegrazione, maggiorato degli interessi nella misura legale, senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione;
- condanna l’azienda al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il dipendente ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione.
In ogni caso, la misura dell’indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto.
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Per la Corte d’Appello basta l’indennità
Il giudice di secondo grado, ritenuta l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ai sensi dell’articolo 69, Decreto Legislativo numero 276/2003, sostiene l’illegittimità del recesso intimato al lavoratore con comunicazione del 26 settembre 2017, da qualificarsi come licenziamento inefficace visto il contesto del rapporto di lavoro subordinato e la mancanza di qualsiasi motivazione.
Secondo la Corte di Appello, considerate le ragioni addotte dal datore di lavoro nel corso del giudizio, si tratta di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo al quale si applica la tutela di cui all’articolo 18, comma 6 con:
- dichiarazione di inefficacia del licenziamento;
- attribuzione di un’indennità risarcitoria tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità;
a meno che il giudice accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del recesso.
Nel caso di specie, ad avviso della Corte di Appello, poiché il lavoratore reclamante non ha dimostrato la mancanza della giustificazione addotta in giudizio e non l’ha in effetti neppure contestata gli spetta un’indennità che, avuto riguardo alla gravità della violazione, è congruo stabilire nella misura massima di dodici mensilità.
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La Cassazione ribalta tutto
Investita della questione la Suprema Corte afferma il principio di diritto per cui, in tema di vizi della motivazione del licenziamento, nel regime delle imprese con più di quindici dipendenti, l’omessa o generica individuazione del fatto non integra una mera violazione formale ma, poiché impedisce che si possa pervenire alla stessa identificazione del fatto che, pertanto, dovrà essere dichiarato insussistente dal giudice, ha una ricaduta sostanziale che determina l’illegittimità originaria del licenziamento, con applicazione della reintegra attenuata di cui al comma 4 dell’articolo 18.
Pertanto, nel caso di specie, la causa è rinviata alla Corte territoriale, la quale, in diversa composizione, è chiamata ad applicare l’articolo 18, comma 4 e provvedere sulle relative conseguenze.
A parere della Suprema Corte nelle ipotesi in cui vi sia carenza di motivazione manca al tempo stesso anche la ragione giustificativa del licenziamento, con applicazione della tutela di cui al quarto comma dell’articolo 18, atteso che in tale fattispecie non è neppure possibile identificare il fatto (se disciplinare o organizzativo).
Non si discute perciò di un vizio formale minore che produce semplicemente l’inefficacia del recesso con applicazione del comma 6, articolo 18 ma di un vizio grave e radicale che incide sulla legittimità stessa dell’atto e che non è riconducibile nella disciplina di cui al medesimo comma sesto.
In sostanza
In parole semplici, la Cassazione ha stabilito che se un’azienda con più di 15 dipendenti licenzia un lavoratore senza indicare alcuna motivazione, il licenziamento non è solo irregolare, ma totalmente illegittimo: manca infatti la base stessa su cui il lavoratore potrebbe difendersi. Di conseguenza il giudice deve annullare il recesso e disporre la reintegra del dipendente (con la tutela prevista dall’art. 18, comma 4: rientro al lavoro, contributi versati e indennità fino a 12 mensilità).
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