Governare l’economia 4.0: digital intensity index, paesi e imprese digitali

Redazione 09/10/19
Scarica PDF Stampa
Il comportamento delle imprese in tema di sviluppo digitale viene valutato sulla base dell’indicatore composito di digitalizzazione delle imprese Digital Intensity Index, elaborato da Eurostat con una indagine annuale sull’utilizzo delle TIC e il commercio elettronico nelle imprese. Il Digital Intensity Index (DII) misura la disponibilità a livello di impresa di 12 diverse tecnologie digitali: internet per almeno il 50% di persone occupate, ricorso a specialisti in TIC; banda larga veloce (30 Mbps o superiore); dispositivi Internet mobili per almeno il 20% delle persone impiegate; un sito web o una homepage; un sito web con sofisticate funzioni; social media, condivisione dei dati di gestione della catena di approvvigionamento elettronica; l’uso di pacchetti software per Enterprise Resource Planning (ERP); l’uso del Customer Relationship Management (CRM); le vendite sul web dell’e-commerce rappresentano oltre l’1% del totale fatturato e le vendite web business-to-consumer (B2C) di oltre il 10% di vendite web totali. Di seguito viene analizzato l’indice a livello europeo per intensità digitale e per settore, e in Italia per dimensione d’impresa. Poi una breve descrizione, attraverso alcuni contributi, di segmenti dell’economia digitale e di specialisti dell’ICT.

> Lo Speciale Economia 4.0 <

ECONOMIA 4.0 E DIGITAL INTENSITY INDEX IN UE: PERFORMANCE PER PAESE E SETTORE

All’interno dell’Unione Europea la Danimarca è l’unico paese in cui la percentuale di imprese con un DII molto elevato (cioè che possiedono almeno 10 su 12 tecnologie digitali monitorate) è superiore all’ 11%, la Svezia raggiunge l’8% circa. Al contrario, in paesi come Bulgaria, Romania, Grecia, Lettonia, Spagna, Polonia, Ungheria, Italia, Slovacchia, Portogallo, Croazia, Francia, e Repubblica Ceca la maggioranza delle imprese (oltre il 50%) non ha ancora investito molto in tecnologie digitali, ovvero hanno un DII molto basso, al di sotto della media UE.

Graf.1 Digital intensity index per livello d’intensità digitale, 2018

grafico 1

Dall’analisi dell’andamento dell’indice per livello d’intensità si osserva in media nell’UE nel 2018, rispetto al 2017, una crescita della percentuale di imprese che possiedono un numero molto basso di tecnologie digitali e una diminuzione di quella relativa ad imprese con un numero alto e molto alto di tecnologie.

Graf.2 Digital intensity index per livello d’intensità digitale, Unione Europea 2015-2018

grafico 2

In termini settoriali tendono ad essere più digitalizzati  i segmenti del settore delle TIC (dalle telecomunicazioni, all’attività informatica, alla riparazione e fabbricazione di computer e ai media). Mentre risulta ancora impermeabile al digitale  sia il settore costruzioni, che l’industria dei metalli.

Graf.3 Percentuale di imprese con un alto livello di digitalizzazione per settore di attività, 2018

grafico 3

Fonte: elaborazioni su dati Commissione Europea, (per approfondimenti)

ECONOMIA 4.0 E DIGITAL INTENSITY INDEX IN ITALIA: PERFORMANCE PER DIMENSIONE D’IMPRESA

Secondo i dati Istat pubblicati a inizio anno relativi all’indagine sull’utilizzo dell’ICT, nel 2018 l’86,1% delle imprese italiane con almeno 10 addetti si colloca ad un livello basso o molto basso di adozione dell’ICT (82,0% per l’UE28), non essendo coinvolte in più di 6 attività tra quelle considerate; il restante 13,9% svolge invece almeno 7 delle 12 funzioni, posizionandosi su livelli alti o molto alti di digitalizzazione. Tra i 12 indicatori considerati (indicati nella tabella sotto) il divario dimensionale maggiore si registra nella presenza di specialisti ICT (il 12,2% nelle piccole imprese e il 72% nelle grandi). Altra caratteristica che presenta una forte variabilità per classe dimensionale è la velocità di connessione almeno pari a 30 Mbit/s (26,7% nelle piccole e 66,7% nelle grandi imprese).

Migliorano, rispetto allo scorso anno, i due indicatori relativi alle vendite online soprattutto nelle imprese con 10-49 addetti per le quali il fatturato online è almeno pari all’1% dei ricavi passa dal 7,4% al 9,3% (nelle grandi è del 23,9%) e quelle per le quali il fatturato web è almeno pari all’1% dei ricavi e le vendite business-to-consumer sono maggiori del 10% passa dal 4,7% al 5,9% (che raggiunge il 7,4% nelle grandi). Si rilevano infine miglioramenti anche nell’ambito dell’area della digitalizzazione dei processi aziendali per la fatturazione elettronica dove la quota totale di imprese passa da 30,3% del 2016 a 41,6% del 2018, e nelle piccole imprese risulta del 40% e nelle grandi raggiunge il 66,2%.

Tab.1 Indicatori di digitalizzazione in Italia per classi dimensionali al 2018,%

tabella 1

Fonte: elaborazioni su dati Istat (dati disponibili anche su BlogDataOfficer)

ECONOMIA 4.0 E FABBRICA DIGITALE: innovazioni, applicazioni, CIO e FabLab (a cura di Angelica Craveli) (Università LUISS Guido Carli  e Cybersecurity Analyst presso Business Integration Partners)

Con il termine Digital Transformation si va ad identificare un insieme di cambiamenti prevalentemente tecnologici, ma anche sociali, organizzativi e culturali, che consentono all’impresa di andare a ridisegnare l’offerta del proprio business rendendola più competitiva e più aderente alle aspettative dei consumatori grazie alle tecnologie digitali. Queste ci consentono di progettare e realizzare quasi tutto ciò di cui necessitiamo e diventano funzionali alla moderna “evoluzione democratica” che sta subendo la fabbricazione di beni.

Infatti, l’intuizione di un singolo individuo può diventare qualcosa di concreto, prodotto a bassissimo costo tramite i processi di Fabbricazione Digitale, come la Stampa 3D o la tecnologia wearable, che avvengono in laboratori specializzati come i FabLab. Questi sono spazi per la sperimentazione di tecnologie digitali e lo studio di come queste possano influenzare lo sviluppo di prototipi, oggetti innovativi e soluzioni per Smart City, per l’utilizzo di software open source e dell’analisi dei big data. L’intero sistema è poi ampliato tramite le dinamiche di condivisione, che permettono la diffusione continua di idee e innovazioni, la parola “Openness” sta diventando così la chiave per nuovi ed interessanti sviluppi sostenibili.

In questo ambito emerge una nuova figura professionale, quella del CIO (Chief Innovation Officer), caratterizzata da un profilo innovativo, che racchiude in sé uno stratega, un IT manager, esperto del mercato e della gestione dei sistemi informativi. Deve saper comprendere e, ove possibile, migliorare e razionalizzare i processi aziendali, conoscere il business dell’impresa, valorizzare le risorse umane, definire e amministrare il budget destinato ai sistemi informativi e organizzarne la gestione e il continuo aggiornamento.

Questi trend ci mostrano quanto stia diventando necessario, per le imprese, riuscire ad essere dinamiche e competitive, rendendo la tecnologia parte integrante della cultura dell’aziendale puntando sullo sviluppo interno di figure appropriate al raggiungimento di tali obiettivi.

ECONOMIA 4.0 E TURISMO DIGITALE: Il sistema produttivo culturale e il Digital Tourism Manager (a cura di Lidia Caprara)

Nel 2018 il Sistema Produttivo Culturale e Creativo in Italia ha sfiorato i 96 miliardi di euro, ovvero il 6,1% del PIL, grazie all’impiego di 1,55 milioni di occupati (6,1% sul totale economia). La filiera cresce sia in termini di valore aggiunto, ancor più dell’anno precedente (+2,9%), sia di occupati (+1,5%), registrando performance migliori dell’economia italiana nel suo complesso.

Cultura e creatività hanno un effetto moltiplicatore sul resto dell’economia: l’intera filiera culturale produce 265,4 miliardi di euro, il 16,9% del valore aggiunto nazionale, col turismo come primo beneficiario di questo effetto volano. Il sistema produttivo e culturale rappresenta l’insieme di attività produttive che concorrono a generare valore economico ed occupazione e che sono in parte riconducibili ai settori della dimensione culturale e creativa in parte ad attività che, pur non facendo parte della filiera, impiegano contenuti e competenze culturali per accrescere il valore dei propri prodotti.

Sostanzialmente, si tratta di tutte quelle attività sia di raccordo, finalizzate alla promozione e sviluppo, di medio-lungo periodo, delle attività presenti sul territorio, sia di rappresentazione delle opportunità che il contesto istituzionale, imprenditoriale, sociale ed economico offre a potenziali iniziative in grado di inserirsi in modo coerente rispetto alle variabili endogene che caratterizzano e contraddistinguono l’ambientale territoriale oggetto dell’azione. Lo strumento per raggiungere tali risultati è rappresentato dal marketing territoriale.

In Italia, negli ultimi anni, è emersa la necessità di disporre di esperti e figure tecniche professionali, in grado di cogliere il valore del territorio, e di far conoscere l’immensa ricchezza derivante dal patrimonio culturale attraverso tutti i più moderni strumenti digitali.

Il digital Tourism manager, è una figura professionale innovativa nata recentemente nell’ambito della promozione turistica, che impiega tutti gli strumenti, le tecniche di marketing e di comunicazione necessari a valorizzare le risorse locali al fine di ottenere un ritorno economico nel settore turistico. Oggigiorno, a fronte di un mercato turistico sempre più competitivo, si rendono necessarie figure dirigenziali innovative che sappiano sfruttare le nuove opportunità del settore, valorizzando allo stesso tempo le risorse peculiari di un dato territorio per rispondere alla domanda espressa dal turista moderno sempre più digital.

Si tratta di una figura competente, che può operare autonomamente come consulente turistico, che conosce il territorio e la sua storia, le sue unicità e che al tempo stesso, crede nello sviluppo economico ecosostenibile. Il digital Tourism manager si occupa della promozione e del rilancio turistico di un territorio soprattutto utilizzando strumenti e strategie digitali. È in grado di ottimizzare l’impiego delle risorse umane ed economiche a disposizione al fine di valorizzare le peculiarità culturali, ambientali, enogastronomiche che costituiscono l’attrattiva turistica della destinazione stessa.

ECONOMIA 4.0 E DIGITAL LEARNING: la formazione digitale e il Digital Learning Specialist (a cura di Maria Gentile Poggi)

Viene chiamata così: “società dell’informazione”. Sembrerebbe proprio l’accezione perfetta da usare per incorniciare la nostra società odierna in cui la tecnologia ha un ruolo da protagonista. Soffermarsi su quanto la rapida diffusione di quest’ultima abbia portato cambiamenti e rivoluzioni nella nostra vita sembra scontato, eppure è questo il concetto di base dal quale partire per poter analizzare tematiche più specifiche come il Digital Learning. Per digital learning si intende il fenomeno della formazione a distanza veicolato dalle nuove tecnologie nello specifico all’interno delle imprese, volto in prima battuta alla crescita professionale di coloro che lavorano dietro le quinte: i dipendenti. Il futuro sarà quello di riuscire a riprodurre in questo ambito lo stesso approccio che l’utente ha quotidianamente verso le nuove tecnologie di informazione e comunicazione come ad esempio i social network.

Il Digital Learning è quel “cambiamento” che in primo luogo modifica e rinnova un campo aziendale meno visibile all’esterno dal cliente finale ma non per questo meno importante: le risorse umane. Ma cos’è il digital learning? Per comprenderlo appieno bisogna compiere un veloce passo indietro nel tempo partendo dal cosiddetto “E-Learning”. Si tratta della ormai conosciuta formazione a distanza (FAD) basata sull’utilizzo di tecnologie digitali che in particolar modo viene oggi usata nell’ambito dell’educazione scolastica a tutti i livelli. I corsi fruiti abbattono i confini spazio tempo in una logica di globalizzazione del sapere, permettendo a chi ne usufruisce di accedervi da qualsiasi luogo e in qualsiasi orario, supportati da tecnologie interne ed esterne che mettono a disposizione una comunicazione a 360° attraverso forum, chat ed e-mail. L’affermarsi del life-long learning, ovvero la formazione come processo che accompagna l’intera vita lavorativa, ha visto aumentare rapidamente la domanda ed ha coinvolto ampie fasce di popolazione, dando spazio ad una nuova gamma di fornitori di contenuti specializzati (aziende, consulenti, centri di ricerca ed enti pubblici), che hanno affiancato scuole e università. L’e-learning non ha più arrestato il suo sviluppo, confermando la sua innovazione ed usabilità anche in ambiti di applicazione differenti dall’educazione.

Riferendosi però al mondo del business e delle imprese l’e-learning cambia nome trasformandosi nel cosiddetto digital learning, integrando le piattaforme “tradizionali” con nuovi strumenti e modelli maggiormente interattivi ed innovativi. La novità sta principalmente nella possibilità di consentire alle aziende di distribuire su larga scala percorsi formativi personalizzati e accesso a comunità di apprendimento come mai prima d’ora, sfruttando caratteristiche fondamentali che tratteggiano i contorni del concetto di digitale oggi: immediatezza, (rapid learning) dinamicità e contenuto.

Le nuove tecnologie quindi vanno a supportare e migliorare gli strumenti di un aspetto che desta maggiore attenzione da parte delle imprese, importante per il successo aziendale: la continua formazione professionale in qualsiasi ambiente lavorativo e produttivo, necessaria per far sì che si operi in modo efficiente e compatto rendendo partecipe tutti i dipendenti e coinvolgendoli in un lavoro mirato al raggiungimento di un obiettivo condiviso. Una strada strutturata in questo modo, permetterà non solo di stabilire una cultura aziendale chiara ed un clima lavorativo nel quale il dipendente si senta valorizzato qualsiasi sia il suo ruolo, ma anche ottime possibilità che l’andamento dell’impresa raggiunga livelli migliori e costanti. Nasce quindi l’esigenza di una figura professionale ad hoc, che rientra nella categoria delle “nuove professioni digitali”, in grado di gestire in modo competente questa trasformazione.

Stiamo parlando del Digital Learning Specialist: la sua evoluzione sta nel riuscire ad utilizzare le tecnologie di digital learning più avanzate ed integrare quelle utilizzate nella realtà digitale che ognuno di noi vive. Scegliere uno strumento che abbia un’interfaccia ed una costruzione simile a quelli che l’individuo conosce già e che gestisce nel quotidiano, renderà maggiormente fluida e naturale l’esperienza di formazione sia per un effetto di familiarità e facilità nella gestione, sia perché si rispecchierà la modalità di apprendimento usata nella vita quotidiana quando si consultano siti internet, si leggono blog e si esplorano social network. Bisogna tener presente che il dipendente è prima di tutto una persona e poi è anche un consumatore: protagonista, attento ed attivo.

Sappiamo quanto il contesto circostante abbia avuto il potere di scuotere le persone, di costruire in loro la voglia di partecipare, di esprimersi, di esserci: un’azienda che produce questo nel dipendente, avrà maggiori possibilità di vedere livelli di coinvolgimento e di crescita migliori. Puntando a questa interconnessione con la realtà digitale che influenza in modo esponenziale il nuovo concetto di impresa, il ruolo dei social network non dovrebbe soltanto ispirare ma diventare parte integrante del digital learning.

ECONOMIA 4.0 E DIGITAL MARKETING: i vantaggi del digital marketing e il CMO (a cura di Ambra Taccola)

Man mano che le nuove tecnologie si diffondono, il marketing digitale si sta facendo largo (anche se con ritmi più contenuti rispetto ai numeri visti sinora) all’interno delle aziende che, oggi, si avvalgono sempre più di campagne SEO, Pay-Per-Click, di content marketing, di e-commerce marketing, social media marketing e DEM e di molti altri strumenti legati al mondo digital.

Il presupposto per un buon risultato in termini digitali, però, si fonda su una delle basi del marketing tradizionale: una corretta segmentazione del mercato di riferimento.

La segmentazione è il processo con cui un mercato viene suddiviso in cluster di persone sulla base di alcune caratteristiche che fanno sì che il cluster al proprio interno sia molto omogeneo, e molto eterogeneo rispetto agli altri cluster.

Con gli strumenti digitali un’azienda ha la possibilità di segmentare con maggiore efficacia la propria audience di riferimento (considerato l’elevato numero di informazioni relative al singolo utente monitorabile sul web)  e, di conseguenza, di personalizzare i messaggi rivolti idealmente a ciascun utente. Inoltre, avvalendosi delle nuove tecnologie, un’azienda può costantemente monitorare l’andamento di una tattica digitale.

Ogni azione intrapresa sul web, infatti, può essere tracciata, misurata e analizzata. Questo è un indubbio vantaggio correlato all’avvento del digitale poiché, sebbene sia indiscussa l’efficacia di alcuni media tradizionali, spesso è difficile risalire alle ragioni sulla base per cui tali media funzionino. Tramite il web analytics, invece, il digital marketing manager può avere un valido supporto per conoscere il reale intento dell’audience di riferimento.

Occorre sottolineare come attività spot online, non coordinate né collegate da una strategia coerente, non possono essere inquadrate come digital marketing strategy. Infatti, una volta stabilita la marketing strategy complessiva, occorre costruire e adattare su di essa un piano di azioni coerenti che sfruttino tutte le opportunità offerte dal mondo digitale.

Soffermiamo la nostra attenzione sui principali strumenti del digital marketing, così da avere una panoramica delle leve a disposizione dei manager delle aziende che sono già digitalizzate o stanno promuovendo iniziative volte alla digitalizzazione, tenendo sempre presente il fatto che nessuna strategia di marketing è completa se non prevede una componente digitale.

Nell’implementazione di una strategia di marketing digitale occorre che l’utente sia messo al centro di ogni decisione, nell’ottica in cui con gli strumenti digitali è possibile un’altissima interazione con lo stesso, interazione che può facilitare l’engagement tramite le esperienze interattive a lui rivolte. Dato che internet permette un quasi istantaneo feedback, occorre che la strategia di marketing digitale evolva continuamente, ma mantenendosi in linea con gli obiettivi di fondo dell’organizzazione cui la strategia fa capo.

Secondo Kotler, il Chief Marketing Officer è “colui che deve rappresentare quello che i clienti vogliono e cosa  essi pensano della compagnia. Qualcuno che possa dirci dove soffia il vento e come sta cambiando. Qualcuno che sia in grado di proteggere il brand e rafforzarlo. Qualcuno che possa rinnovare la tecnologia marketing attraverso l’analisi di gruppo o l’analisi di fattore”. E infine egli deve anche essere “qualcuno che misura il ROI del marketing”.

Il crescente potere del consumatore che si è evoluto anche in termini di condivisione dell’esperienza, e le maggiori aspettative nei confronti delle aziende unite a una maggiore consapevolezza e capacità di esprimere opinioni (positive e negative) pongono il CMO di fronte a nuove sfide che prima non erano attese, sfide che richiedono di essere assunte con consapevolezza e che non possono più essere ignorate.

Per saperne di più sull’argomento consigliamo il volume:

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento