Tracciabilità delle retribuzioni: la violazione non è diffidabile

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Non è diffidabile la violazione dell’obbligo di tracciabilità delle retribuzioni, in quanto l’illecito non è materialmente sanabile. A specificarlo è l’Ispettorato nazionale del lavoro con la Nota protocollo n. 4538/2018, che fornisce i primi chiarimenti in merito all’obbligo imposto in capo ai datori di lavoro del settore privato di retribuire i dipendenti soltanto con mezzi tracciati, essendo vietato pagarli in contanti.

Pertanto, l’eventuale contestazione dell’illecito al trasgressore sarà sanzionata nella misura ridotta (ex art. 16 legge n. 689/1981), pari a 1.667 euro e, in caso di mancato versamento, sul codice tributo 741T, l’autorità competente a ricevere il rapporto, è l’Ispettorato territoriale del lavoro. Il pagamento della sanzione irrogata deve essere versata entro 60 giorni dalla notifica della violazione. In ogni caso, precisa l’Ispettorato del lavoro, è possibile impugnare il verbale, entro 30 giorni, facendo ricorso amministrativo al direttore della sede territoriale dell’Ispettorato.

Tracciabilità delle retribuzioni: obbligo importo dal 1° luglio 2018

La Legge di Bilancio 2018 (L. n. 205/2017) all’art. 1, co. da 910 a 914, ha introdotto una norma destinata ad avere un fortissimo impatto sulle aziende, soprattutto per quanto concerne le Pmi. La novità influisce non soltanto sulle aziende ed i dipendenti, che sono i diretti interessati, ma anche sugli operatori del settore (quali consulenti del lavoro e dottori commercialisti) che dovranno poi nella pratica elaborare i cedolini in base alle nuove norme e interfacciarsi con il proprio cliente.

La novità, operativa dal 1° luglio 2018, consiste nel divieto per i datori di lavoro o committente di non poter più retribuire i dipendenti o collaboratori in denaro contante. Dunque, la pratica tanto diffusa delle aziende di retribuire i propri dipendenti senza traccia alcuna, dovrà essere presto abbandonata. Addio, quindi, all’abitudine per i furbetti di pagare solo metà della busta paga o stipendi che non raggiungono il mimino stabilito dal CCNL applicato: come prova del pagamento vale solo la tracciabilità del denaro.

Altro aspetto importante è che la firma sulla busta paga non costituirà prova dell’avvenuto pagamento. Anche in questo caso, la scusa del datore di lavoro di far valere la firma del dipendente sul cedolino come prova del fatto di aver versato l’importo indicato sullo stesso, non più essere fatto valere.

Tracciabilità delle retribuzioni: a chi si applica?

I soggetti interessati dalla norma sono i datori di lavoro o committenti del settore privato che abbiano assunto direttamente il lavoratore, qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato. Si ricorda che per “rapporto di lavoro”, s’intende: “[…] ogni rapporto di lavoro subordinato di cui all’articolo 2094 del codice civile, indipendentemente dalle modalità di svolgimento della prestazione e dalla durata del rapporto, nonché ogni rapporto di lavoro originato da contratti di collaborazione coordinata e continuativa e dai contratti di lavoro instaurati in qualsiasi forma dalle cooperative con i propri soci ai sensi della legge 3 aprile 2001, n. 142”.

Quindi, l’obbligo si applica:

  • ai rapporti di lavoro subordinato di cui all’ 2094 c.c., indipendentemente dalla durata e dalle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa;
  • ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa;
  • ed infine ai contratti di lavoro stipulati in qualsiasi forma dalle cooperative con i propri soci.

Restano espressamente esclusi dal predetto obbligo:

  • i rapporti di lavoro instaurati con le pubbliche amministrazioni di cui al comma 2 dell’art. 1 del D.Lgs. n. 165/2001;
  • i rapporti di lavoro domestico;
  • i compensi derivanti da borse di studio, tirocini e rapporti autonomi di natura occasionale.

Tracciabilità delle retribuzioni: quali mezzi di pagamento utilizzare?

Ma quali sono i mezzi attraverso i quali i datori di lavoro possono retribuire i propri dipendenti? Il comma 910 della legge in commento afferma che la corresponsione della retribuzione può avvenire solo utilizzando i seguenti strumenti:

  • bonifico sul conto identificato dal codice IBAN indicato dal lavoratore;
  • strumenti di pagamento elettronico;
  • pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento;
  • emissione di assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato.

Da evidenziare che la violazione della norma si ha anche:

  • quando la corresponsione delle somme avvenga con modalità diverse da quelle indicate dal legislatore;
  • nel caso in cui, nonostante l’utilizzo dei predetti sistemi di pagamento, il versamento delle somme dovute non sia realmente effettuato, ad esempio, nel caso in cui il bonifico bancario in favore del lavoratore venga successivamente revocato ovvero l’assegno emesso venga annullato prima dell’incasso; circostanze che evidenziano uno scopo elusivo del datore di lavoro che mina la stessa ratio della disposizione.

Daniele Bonaddio

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