Avvocati: l’iscrizione obbligatoria alla Cassa Forense è incostituzionale?

Redazione 01/07/16
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Potrebbe essere incostituzionale l’iscrizione obbligatoria degli avvocati alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense. A sollevare la questione è la sentenza n. 7353/2016 del 24 giugno 2016 del T.A.R. del Lazio, che, giudicando il caso di alcuni avvocati che avevano impugnato la recente normativa di iscrizione, non esclude la possibilità che tale regolamento possa essere illegittimo.

Leggi la sentenza del T.A.R. del Lazio n. 7353/2016 del 24 giugno 2016

Il regolamento attuativo dei commi 8 e 9 della Legge 31 dicembre 2012, n. 247, approvato con la delibera n. 20 del Comitato dei Delegati della Cassa Forense il 20 giugno 2014, ha imposto per tutti gli avvocati iscritti all’albo professionale l’iscrizione automatica anche alla Cassa. Questo comporta il pagamento di un contributo minimo obbligatorio alla Cassa, pena la cancellazione dall’albo.

Il regolamento è controverso perché, di fatto, penalizza gli avvocati che versano in condizioni economiche più precarie o quelli che comunque percepiscono un reddito molto basso dall’esercizio della professione. Gli avvocati più giovani, in particolare, spesso faticano a entrare nei parametri previsti e rischiano di trovare nel regolamento un ostacolo permanente all’iscrizione all’albo e all’accesso alla professione.

Sono questi i motivi principali che hanno spinto alcuni avvocati a chiedere al T.A.R. del Lazio di riconoscere l’illegittimità del regolamento attuativo della Cassa Forense. Prima dell’entrata in vigore della Legge n. 247/2012, i ricorrenti non risultavano iscritti alla Cassa ma solo all’Albo degli Avvocati; con l’approvazione del regolamento attuativo del 20 giugno2014, tuttavia, sono stati iscritti d’ufficio anche alla Cassa e obbligati a pagare i contributi.

I ricorrenti avevano però percepito nell’anno 2013 “un reddito molto basso ovvero pari a zero”, come da documentazione regolarmente inviata alla Cassa. Volendo evitare la cancellazione dall’albo ed essendo convinti dell’illegittimità del regolamento della Cassa Forense, gli avvocati hanno quindi deciso di impugnare la recente normativa.

La sentenza del TAR Lazio e le sue possibili conseguenze

Nelle motivazioni dei ricorrenti si legge come la normativa violerebbe gli artt. 3, 23, 97 e 113 della Costituzione in quanto “conferisce tout court alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense il potere di determinare con proprio regolamento la misura dei contributi minimi dovuti” e le lascia il potere di “fissare un minimo obbligatorio svincolato da qualsiasi parametro di controllo”.

La normativa violerebbe inoltre gli artt. 2, 4, 33, 41 e 53 della Costituzione perché “l’ente di previdenza è composto esclusivamente da rappresentanti del vertice del ceto professionale degli avvocati” e sarebbe quindi condizionato “dall’interesse corporativo di limitare l’accesso alla professione“.

Con la sentenza n. 7353/2016, il TAR del Lazio dichiara il difetto di giurisdizione e rimanda la questione al giudice del lavoro in quanto le contestazioni “investono questioni di ordine e natura squisitamente previdenziale” e quindi involvono diritti soggettivi”.

Prima dell’emissione della sentenza, tuttavia, il Tribunale analizza in diversi punti le motivazioni dei ricorrenti senza emettere alcun parere negativo. Si legge nella sentenza che l’interpretazione dell’art. 21, comma 9, della legge n. 247/2012 “costituzionalmente orientata” è quella secondo cui tutti gli avvocati, e quindi anche quelli che non rientrano nei parametri economici stabiliti, “hanno il diritto di permanere nell’unico sistema previdenziale” e avere “pari dignità professionale e pari diritto a restare nel mercato“.

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